domenica 21 maggio 2017

Omelia per la festa di San Bernardino da Siena - Mogoro

Cari fratelli e sorelle.
La festa del vostro santo patrono è una bella occasione per parlare di un tema che è stato il centro della vita di san Bernardino, e che certamente è riecheggiato nella liturgia della Parola di questa sesta domenica di Pasqua. Il tema è l’evangelizzazione.
Possiamo affermare infatti che tutta la sua vita, Bernardino la passò a evangelizzare, con lo studio, con la preghiera, con la predicazione, con il governo dell’ordine dei frati minori.
A me pare che l’evangelizzazione abbia almeno tre caratteristiche.
La prima: essa è testimonianza di vita di tanti poveri cristiani, persone semplici e umili, come Filippo, come Pietro, come Giovanni, come tante umili persone, la cui vita rispecchia la bellezza del vangelo e della vita in Gesù Cristo. Persino i samaritani si convertono, ci raccontano gli Atti degli Apostoli! Qui non si tratta solo di prediche, ma di una testimonianza di vita.
Ma l’evangelizzazione non è fatta soltanto di una testimonianza che chiameremmo “privata”, di una «adorazione del Signore Cristo nei nostri cuori». Essa ha anche una seconda caratteristica: è apostolato esplicito, pubblico, secondo l’esortazione di San Pietro che abbiamo ascoltato: «Pronti sempre a rendere ragione (logos) della speranza che è in voi», potremmo quasi tradurre: pronti a mostrare la logicità, l’aderenza a Gesù Cristo (Logos) della vostra speranza. Questo spiega il grande impegno che per decenni Bernardino applicò allo studio della Parola di Dio e alla Teologia.
Occorre coraggio e non timore, come ne occorreva ai suoi tempi per predicare la pace a città in guerra tra loro. Occorre coraggio e non timore non per conquistare spazi nella società, per avere una tribuna da cui parlare, ma perchè ciò che noi siamo interroghi l’altro, soprattutto lo scettico, il non credente, l’agnostico, soprattutto tra i giovani e i giovani adulti, quel «mondo che non vede e non conosce lo Spirito», e dunque non può riceverlo!.
Il problema oggi è che noi non siamo più una domanda per il mondo, quindi nessuno ci chiede più ragione della speranza che dovrebbe essere in noi!
Quali sono le cause di questa nostra insignificanza nel mondo contemporaneo?
Certamente una fede ancora troppo acerba tra i cristiani, poco matura, poco convinta, poco conosciuta, che diventa fertile terreno per superstizioni e per errori di ogni genere.
Occorre una formazione più seria nella nostra vita di cristiani, in modo particolare di tutti coloro che in essa svolgono un ministero: catechisti, educatori di oratorio, capi scout, membri di confraternite, operatori della carità, ministri straordinari della comunione... etc. Tutte le attività della parrocchia sono belle, ma al centro deve esserci l’ascolto e l’approfondimento della Parola di Dio, senza i quali la Chiesa diventa una ONG.
Questo ascolto attento e profondo della Parola di Dio ci porta a una seconda considerazione: Dio non si presenta come oggetto di una campagna pubblicitaria, coi manifesti appesi ai muri, con le reclames in TV o alla radio, con i banner sul web.
Dio viene, si manifesta, dice il Vangelo di Giovanni, laddove la Chiesa realizza il mandato di Cristo: amatevi come io vi ho amati, lavatevi i piedi gli uni gli altri. «Io vivo e voi vivrete», dice Gesù: la sua presenza viva in mezzo a noi si realizza nell’amore serio, nel perdono reciproco, nella riconciliazione tra famiglie e tra parrocchiani, nell’accoglienza del povero, del diverso. Qui si realizza questa comunione intima di cui parla Gesù, tra il Padre e lui, e tra loro e il cristiano. Qui Gesù si manifesta! E questo è il senso di quella litania che pare Bernardino pronunciasse ogni giorno: «Manifestavi nomen tuum hominibus» (Gv 17,6), «Ho manifestato il tuo nome agli uomini», che lo portava a mostrare a conclusione delle sue prediche una tavoletta con inciso in caratteri d’oro le tre lettere «IHS», che ben conosciamo (Iesus hominum salvator).
Per entrare in questo percorso occorre una continua conversione: un cristianesimo «seduto», che non parla più al mondo di oggi, che non dice più nulla, che è insipido per gli uomini e le donne del nostro tempo, è il grande sintomo di una fede che si è raffreddata, che non è alimentata e riscaldata dall’ascolto serio della Parola di Dio e dall’amore reciproco.
È il più grande sintomo che in fondo stiamo bene così come stiamo, che la fede non scalfisce le nostre abitudini, i nostri modi di pensare e di agire. Che non c’è bisogno che la nostra fede in Dio metta in noi ulteriori preoccupazioni. Del resto non diciamo sempre che abbiamo bisogno di calma e di serenità?
Questo ci porta a considerare la terza caratteristica della evangelizzazione: la fede deve diventare vita, e la vita deve essere trasformata e fatta lievitare dalla fede.
San Pietro dice che il nostro rendere ragione della speranza che ci abita, quindi quello che abbiamo chiamato l’apostolato esplicito, deve esser fatto «con dolcezza, con rispetto, con retta coscienza, perchè nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo». La questione però è che spesso si parla male di noi – noi frequentatori abituali, noi cristiani “eucaristici” – non perchè siamo cristiani, perchè andiamo a Messa o preghiamo, ma perchè, proprio facendo queste cose, in nulla siamo diversi da chi non lo è, anzi talvolta siamo peggiori. Una volta mi è capitato di sentire una persona rammaricata di non poter partecipare alla processione della Madonna perchè stava male, ma per niente dispiaciuta di aver litigato con un familiare stretto e di non volergli rivolgere neppure la parola!
Capite dove sta la separazione tra vita e fede?
Quindi in fin dei conti, spesso si parla male di noi a ragion veduta: se chi è fuori vede in noi questi comportamenti, questi modi di pensare, come potrà credere che davvero il Vangelo può cambiare la nostra vita?
Allora però noi oggi rinnoviamo in questa Eucaristia l’adesione a Cristo, la devozione a San Bernardino, il desiderio e l’idea di corrispondere un po’ di più alla scia tracciata dal nostro santo Patrono.
La Chiesa (quindi anche voi, comunità di Mogoro) potrà diventare sempre più sé stessa soltanto accogliendo lo Spirito Santo promesso da Gesù, lo Spirito della verità che rimane in noi, perchè Egli ci trasforma nel corpo di Cristo nel mondo, fa di noi una vera e propria transustanziazione, come nell’Eucaristia l’azione dello Spirito rende un po’ di pane e di vino comuni il vero Corpo e Sangue di Cristo.
Se la Chiesa è amore, se la comunità cristiana sperimenta e fa sperimentare, fa gustare l’amore a tutti i livelli, ci sarà anche chi potrà rifiutare, chi potrà chiedersi come mai, interrogarsi su questo stile di vita, ma certamente non potranno non vedere.
Allora preghiamo perchè possiamo essere testimoni umili del Vangelo, perchè impariamo a rendere ragione della speranza che è in noi, perchè davvero è in noi e la alimentiamo quotidianamente, e perchè tutta la nostra vita sia trasformata dalla nostra fede e dalla nostra preghiera.
Così permetteremo a Dio e a suo Figlio Gesù di «abitare in noi» secondo la sua promessa, di essere una sola cosa col Padre e col Figlio, e quindi di essere significativi, saporiti, di suscitare domande per questo mondo che spesso arranca nel buio, nella divisione, nella confusione.
Portiamo la nostra fede con umiltà, non come maestri ma come fratelli.

E allora Gesù si manifesterà ancora a noi, e attraverso di noi, condurrà a sé ancora tanti fratelli e sorelle. E così sia.

Nessun commento:

Posta un commento