venerdì 5 maggio 2017

Pauli Arbarei - Omelia per la festa della conversione di Sant'Agostino

Senza torrone e pistoccusu che festa è?

Celebrare la festa della conversione di un santo come Agostino significa ritornare a farci le domande essenziali, quelle che attanagliano gli uomini e le donne di tutti i luoghi e di tutti i tempi.
Agostino era un giovane intelligentissimo, un avido lettore, uno che non si accontentava di storielle da vecchierelle, eppure per nove anni, dai 19 ai 28, la sua ricerca fluttuò fra dottrine eretiche e pensieri filosofici lontani dal cristianesimo.
L’incontro con la dottrina di un certo Mani, se non lo aveva mai convinto del tutto, certamente lo aveva potentemente affascinato.
Agostino si guarda intorno e si chiede: da dove viene il male? È la domanda che prima o poi ci poniamo anche noi, soprattutto quando il male si fa imponderabile e inspiegabile.
Mani insegnava che esistevano due principii uguali e contrari: uno buono (Dio) e l’altro malvagio.
Questi due principi sono come mescolati nell’uomo, in una lotta per uscire dalle tenebre alla luce. Ma il manicheismo, così si chiamava questa dottrina, nutriva una profonda sfiducia nell’uomo, frutto del male, intriso di tenebre e di peccato.
Questa visione così pessimistica della natura umana si accompagnava ad uno stile di vita che richiedeva una purificazione che si doveva compiere attraverso la rinuncia all’esercizio della sessualità a scopo riproduttivo e un’ascesi molto severa.
Il pensiero sull’uomo era poi riflesso nei fatti e negli avvenimenti della storia, dove questa lotta tra il bene e il male sembra essere sotto gli occhi di tutti: due “entità” uguali che lottano. E il male sembra sempre prevalere.
Agostino era affascinato da questa interpretazione della realtà, che in fondo portava l’uomo a non essere responsabile dei propri atti malvagi, dei propri peccati. Se tutto si può descrivere come una lotta tra il bene e il male dentro di me, in fondo, io non sono più tanto padrone di me stesso.
Badiamo che questa eresia, sviluppata in Oriente nel III-IV secolo, quindi non molto tempo prima della nascita di Agostino, affascinava tante persone in un’epoca in cui non esisteva un pensiero scientifico, e la realtà veniva interpretata attraverso tante superstizioni.
Sembrano concetti molto difficili, ma penso che tanta gente ancora oggi creda che in fondo le cose vadano davvero così: che esistono due principii che si fronteggiano, il bene e il male, che noi siamo un miscuglio di bene e di male, e che la lotta tra le tenebre e la luce sia ancora viva in noi.
Agostino penserà per lungo tempo che la fede cristiana lo allontani dalla vera sapienza, che egli ricercava nelle filosofie più in voga al suo tempo, e nelle dottrine di Mani.
Era un gran ricercatore della verità e pensava di tendere alla verità, ma in realtà andrà dalla parte opposta.
Agostino seguirà questi pensieri, insieme a un amore viscerale per il successo e gli applausi, e a un materialismo che lo portava a non poter credere che Dio fosse puro spirito, e che tanto meno il Figlio di Dio potesse incarnarsi in una natura corrotta senza appello.
I Manichei inoltre affermavano che gli scritti del Nuovo Testamento fossero stati falsificati non si sa bene da chi, e che la Chiesa teneva nascoste queste cose o comunque aveva modificato la verità rivelata. Erano persone fervorose che pregavano di giorno e di notte, austeri, incutevano sicuramente un certo fascino.
Ci vorranno anni di riflessioni, di pensieri, di incontri, di delusioni, di ricerca, e soprattutto l’incontro con un altro grande santo che conobbe a Milano, il Vescovo Ambrogio, a Milano dove ottenne una cattedra statale (diventando una sorta di professore universitario, massimo scalino a cui ambiva la sua superbia spirituale).
Nel suo vero passaggio dalle tenebre dell’errore manicheo alla luce della fede cattolica, Sant’Agostino troverà due luci fondamentali: capirà che la fede non lo allontana dalla sapienza, anzi: può essere l’ingresso decisivo, e crederà finalmente nella Sacra Scrittura, dopo averla riconosciuta autentica e donata da Dio attraverso la Chiesa.
Questo pensiero Agostino lo sviluppa nella sua predicazione e nelle sue opere, confutando il manicheismo e dandoci una interpretazione semplice ma efficace del male.
«Cos’è il male?», si chiede ora. Il male non è un’entità alla pari del bene, ma possiamo dire che esso è una privazione del bene.
Per fare un esempio semplice: cos’è una malattia? La malattia è la mancanza del bene della salute. Il freddo non esiste, esso è semplicemente la mancanza di calore. Il buio non esiste, esso è in effetti la mancanza di luce.
Per cui ogni male si può riconoscere e spiegare come una privazione, o una mancanza del bene a cui si oppone. E pertanto il male, in senso stretto, non è una realtà allo stesso modo del bene, perchè si può affermare solo in negativo, come una mancanza.
Agostino ricupera fiducia nella bontà della creazione, fatta da Dio, non come un miscuglio di bene e di male, ma come “cosa buona”, e l’essere umano come “cosa molto buona”.
Agostino ricupera fiducia in un Dio che ci dona la piena libertà di preferire il male al bene, che ci offre la libertà di scelta. Noi non siamo dei burattini nelle mani del male, ma abbiamo la possibilità di opporci ad esso.
Rileggendo la propria storia in quell’opera fondamentale a cui dà il titolo di Confessioni, egli affermerà che la Provvidenza di Dio aveva segretamente guidato ogni suo passo, compresa la fuga da Cartagine a Roma, per cercare fortuna e allontanarsi dalla sua madre, forse presenza un po’ ingombrante per i suoi gusti. Che anche il suo vagare per anni tra dottrine false e pensieri sbagliati fu in realtà la pedagogia di Dio nei suoi confronti: non lo costrinse a credere, ma lo portò alla fede attraverso una scrematura di tanti dubbi, di tanti pensieri sbagliati, e anche, perchè no, di tante ricerche andate a vuoto. «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1Gv 4). Dio lo aveva prevenuto, lo aveva seguito, lo aveva accompagnato. E da quel momento è rimasto nell’amore, non si è più allontanato.
Sono ancora sue quelle parole infuocate di amore che scrive nelle Confessioni, quando prostrato e disperato, perchè non vede luce, a un certo punto sente un bambino o una bambina canticchiare: «Prendi e leggi, prendi e leggi» (Conf. VIII, 12). E legge la Lettera i Romani di San Paolo «Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne. Accogliete chi è debole nella fede» (Rm 13).
Ecco finalmente che si dissipa il buio interiore ed esplode il canto:
«Tardi ti ho amato, o bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ecco, tu eri dentro di me, io stavo al di fuori: e qui ti cercavo, deforme quale ero, mi buttavo su queste cose belle che tu hai creato. Tu eri con me, e io non ero con te, tenuto lontano da te proprio da quelle creature che non esisterebbero se non fossero in te! Mi chiamasti, gridasti, e vincesti la mia sordità; folgorasti il tuo splendore e mettesti in fuga la mia cecità; esalasti il tuo profumo, lo aspirai e ora anelo a te; ti assaporai, e ora ho fame e sete; mi toccasti, ora brucio di desiderio per la tua pace» (Conf. X, 27) .
 Allora, la festa di oggi deve aiutarci: a ritrovare fiducia in Dio, unico e sommo Buono, a ritrovare fiducia nella nostra umanità, a imparare che possiamo fare il bene, perchè abbiamo la volontà, a credere che Dio perdona veramente e definitivamente i nostri peccati, ad approfondire la nostra fede attraverso la Parola di Dio, per evitare che essa diventi superstizione o creda a tutto ciò che sentiamo.
L’intercessione di quel grande cercatore di Dio che fu Sant’Agostino, aiuti a sostenga la nostra ricerca di Dio! Amen

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