lunedì 1 maggio 2017

Se dovessi... (Un testo di padre Michele Pellegrino)

Se dovessi... vorrei prendere le cose non troppo sul serio. Mi spiego: che un vescovo non prenda sul serio i suoi doveri pastorali è cosa inconcepibile. Ma può accadere a un vescovo, a un parroco, a un prete o non prete investito comunque di responsabilità, di prendere le cose troppo sul serio. In vari sensi: primo, nel senso di portare l’attenzione soprattutto sulle difficoltà e sugli aspetti negativi e di vedere le une e gli altri con la lente d’ingrandimento; secondo, nel senso di lasciarsi prendere dall’agitazione, dall’affanno, di voler affrontare in blocco tutti o quasi tutti i problemi; terzo (ed è quello a cui debbo stare più attento), di pensare con un poco d’ingenua presunzione che tocchi proprio a me, il vescovo Michele, come avete ripetuto in questi anni, governare la diocesi di Torino dimenticando la sproporzione incalcolabile che c’è fra quello che debbo o posso fare io e quello che fa lo Spirito santo che ha posto i vescovi a reggere la chiesa di Dio, che suggerisce loro ciò che debbono dire e fare, che fa crescere il seme che noi abbiamo piantato e innaffiato anche quando dormiamo i nostri placidi sonni, secondo la breve parabola di Marco. Se dovessi... vorrei tener presente una massima familiare, se ben ricordo, a un delegato apostolico, poi cardinale. Cos’è dei nostri “problemi” su cui tanto ci affanniamo? Il 25 per cento si risolvono da sé e come per caso, un altro 25 per cento forse li risolviamo noi, e il rimanente 50 per cento resteranno sempre da risolvere (posso confondermi sulle percentuali, ma resta il senso di fondo). Osserverò solo, per essere coerente con quel che dicevo prima, che chi risolve veramente i problemi è lo Spirito santo
Se dovessi... vorrei ricordarmi più spesso dell’esortazione che mi ripete ogni martedì della seconda settimana il salmo  36: Confida nel Signore e fa’ il bene, abita la terra e vivi con fede. Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore. Manifesta al Signore la tua via, confida in lui: compirà la sua opera ... Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui “ (vv. 3-5.7).
Se dovessi... vorrei drammatizzare meno le situazioni, vederle con maggior distacco e non lasciarmi facilmente turbare. Perché serenità e pace sono doni di Dio che bisogna conservare, sono anche un esercizio di fede in Dio Padre nostro, sia perché quando si drammatizzano le cose minaccia di oscurarsi il vero senso dei problemi, si viene facilmente a mancare di carità e di pazienza verso il prossimo, come so di aver mancato non poche volte interiormente ed esteriormente, facendo soffrire i fratelli senza necessità e dando cattivo esempio …
Se dovessi ... vorrei essere veramente uomo del dialogo. Di dialogo si parla tanto (ne ho parlato tanto anch’io), ma, soggiunge Hélder Câmara, il vero dialogo è tutt’altro che facile. Vorrei essere veramente uomo del dialogo, che prima di tutto sa ascoltare con attenzione, con simpatia, senza fretta, con pazienza se è necessario. Vorrei essere disponibile al dialogo con tutti: con i vicini e i lontani, con quelli che la pensano come me (allora il dialogo è facile) e con quelli che la pensano diversamente (e allora il dialogo è meno facile). Con quelli che stanno in alto e con quelli che stanno in basso, privilegiando i poveri e gli umili, perché così ha fatto il Signore.
Ma forse dovrei spiegarmi meglio quando dico che vorrei essere uomo del dialogo. Non penso soltanto alla discussione su questo o su quell’argomento, sia pure importante, per esempio nel campo pastorale. Intendo il dialogo come un essere vicino, essere con la gente, anche fuori degli impegni prestabiliti e doverosi. Un esempio servirà più dei ragionamenti. Nel 1975 mi trovai, insieme con don Franco Peradotto, a Recife, per un incontro con l’arcivescovo Hélder Câmara. Volle accompagnarci a visitare alcune zone tra le più povere, colpite dalla recente alluvione. Ciò che mi fece pensare non fu tanto il gesto in sé, quanto il tono degli incontri con la gente. Nessun moto di sorpresa da parte degli uomini che lavoravano a ricostruire le case – se si possono chiamare tali – piantando qualche palo nel terreno fangoso, delle donne che sfaccendavano nei tuguri, dei bambini che giocavano con i rottami di bambole, vittime anch’esse della comune sciagura. Tanto meno si sarebbe potuto notare un qualche segno di timore reverenziale di fronte al vescovo. Dominava chiaramente un senso di familiarità, rispettosa ed affettuosa; si sentiva che questi incontri facevano parte della loro vita quotidiana, che il vescovo era uno di loro. Se dovessi ricominciare mi piacerebbe fare il vescovo a questo modo: ma so bene che non è facile.
Tratto dal sito del Monastero di Bose

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