mercoledì 10 maggio 2023

Sempre son state lacrime mie le lacrime di chi piange

 Chissà perché parlare della morte ci viene più immediato che parlare della vita, perché la morte in genere ci lascia senza parole, e allora per esorcizzarla ci mettiamo a parlare, mentre la vita nascente, l’in-fanzia, le parole le porta fuori pian piano, con dolcezza, con la lingua materna.

Forse per questo motivo le ultime ventiquattro ore di Gesù hanno nei Vangeli una rilevanza quantitativamente maggiore del resto dei suoi trentatré anni.

Oggi abbiamo celebrato il funerale di Kristian, un giovane uomo della comunità Rom di San Nicolò d’Arcidano, che avrebbe compiuto 25 anni il mese prossimo e che si era trasferito di recente a Terralba, in una casetta che aveva risistemato per sé, per Fatima e per le due bambine, e per un terzo in arrivo che non conoscerà mai il papà. 

Kristian è morto nel giro di un mese, dopo le prime avvisaglie di un male terribile che l’ha portato progressivamente all’ospedale, poi a Milano, poi in uno stadio irreversibile che ne ha determinato il decesso due giorni fa.

Prima di portare la bara in chiesa, alcuni membri della banda musicale del paese hanno suonato una marcia funebre e la vedova, insieme con i fratelli del defunto hanno strappato tutti i petali dei fiori, spargendoli a terra davanti alla bara di Kristian.



Un’immagine struggente e commovente di come breve sia la vita, e di come difficile sia il distacco. Questo gesto esprimeva plasticamente la morte, il disfacimento, il lutto, la desolazione.

E mentre i fiori venivano sparsi, copiose scendevano le lacrime.

Sempre son state lacrime mie le lacrime di chi piange, forse perché conosco, anche se di rimbalzo, il dolore per la perdita di un giovane genitore, la vedovanza, l’orfanezza nella mia famiglia.

Le parole di don Mattia sono state parole di speranza, parole comprensibili davanti all’incomprensibile, e l’annuncio: “Cristo è risorto!”, con la testimonianza di una comunità unita attorno alla vedova, alle piccole figlie, ai genitori e ai fratelli che piangevano la morte che si è portata via una così giovane esistenza.

Chissà perché parlare della morte ci viene più immediato che parlare della vita, lasciandoci a guardare per terra fiori strappati.

La vita è come un soffio, canta il salmista, come un fiore del campo che fiorisce al mattino e alla sera è falciato e secca.

La morte, questo dragone, questo serpente antico, questo leviatano, questo mostro degli abissi inferiori, è l’ultimo nemico che sarà annientato. Nemico dell’umanità, nemico dell’uomo, nemico di Dio. La morte è nemica, va combattuta, va affrontata, va catturata.

A nessuno è risparmiata la tragedia del morire, ad alcuni non è risparmiata la tragedia del veder morire un figlio. 

Chissà perché parlare della morte ci viene più immediato che parlare della vita. Forse non lo sappiamo, e per questo continuiamo a chiederci perché, e per questo non ci stanchiamo di guardare a Gesù Crocifisso, che la morte l’ha affrontata da uomo autentico, pienamente, con pianti, lacrime e grida forti.

E davanti ai miei occhi, ancora bagnati di lacrime, restano quei fiori a terra. Quei petali strappati.

L’uomo è come un soffio... Ma tu vieni Signore, Maranatha!