venerdì 25 agosto 2017

Dove andrai tu, andrò anch'io - Noemi e Rut: storie di donne nella Bibbia

Una storia di famiglie, di povertà, di riscatto, di stranieri, di donne, di Provvidenza, di fedeltà, di amore... Ne volete ancora? Tutto questo e anche di più nel prossimo ritiro d'inizio anno!

INFORMAZIONI:

Il ritiro è rivolto a quanti desiderano approfondire la Parola di Dio, 
laici, religiose, presbiteri.

Per esigenze organizzative si chiede di iscriversi alla giornata 
telefonando al 340 123 9428 dal lunedì al venerdì dalle 20:00 alle 21:30.

PROGRAMMA:

Ore 10:30 – Meditazione
Ore 12:00 – Eucaristia
Ore 13:00 – Pranzo (al sacco)
Ore 15:00 – Meditazione e condivisione
Ore 16:30 – Conclusione

Terrà le meditazioni don Marco Statzu

domenica 20 agosto 2017

Una casa e ritornare sani e salvi al porto

Quando ero un bambino trascorrevo circa un mese tra luglio e agosto a Marceddì, il nostro villaggio di pescatori. Trent’anni fa durante l’estate il paese si riempiva di famiglie dei pescatori e non solo, e di tanti bambini.



Ricordo che mi appassionava leggere il nome delle barche. Sapete che i pescatori dànno un nome alla loro imbarcazione, un nome di buon auspicio, come “Dio mi salvi”, oppure il nome della propria amata, o di una figlia, o della mamma: “Marinella”, “Margherita”, “Simona”, “Ada”. Sempre un nome di donna, perchè le barche son femmine.
Oggi ho partecipato, dopo alcuni anni, alla festa della Madonna di Bonaria e questo ricordo mi è tornato prepotentemente alla memoria.





















Perché? Ho pensato che i pescatori conoscono le insidie del mare, la sua difficoltà, il pericolo. E cosa desiderano più di tutto? Ritornare a casa sani e salvi.
Sì, queste sono le due coordinate di ogni uomo e di ogni donna: una casa e la salvezza. Sono iscritte nel cuore dell’uomo. Vengono fuori con dolcezza e con totale naturalezza: davanti alle situazioni pericolose, tutti cerchiamo di essere coraggiosi, ma allo stesso tempo vogliamo tornare sani e salvi al luogo in cui sappiamo di essere accolti e amati, alla/e persona/e che ci ama/no e che amiamo.
Questo desiderio così grande, iscritto nel cuore dell’uomo, è il desiderio di una casa e di una salvezza che durino sempre, che siano veramente stabili.

In certi momenti, momenti carichi di pienezza e di bellezza, desidero che questa casa e questa salvezza possa trovarla presto anche io. La vita è bella, per quanto difficile e pericolosa.
La vita con Dio è bella in modo inimmaginabile anche per la più fervida fantasia: una casa, la salvezza, l’amore. Un tesoro che non si corrompe, non si perde, non marcisce.


Talvolta mi pervade questo desiderio struggente, pur nelle mie contraddizioni e nella mia povertà umana: amare ed essere perfettamente riamato, senza alcuna traccia di egoismo, di negatività, di quel male terribile che si chiama egocentrismo. 
Amare tutto e tutti, essere amato completamente, fin nella fibra più nascosta e segreta: e scoprire che questa assoluta novità è un ritorno, ritorno alla casa del Padre, nella quale siamo attesi da sempre, nella quale Gesù è andato a prepararci un posto, che è pronto per noi fin dalla fondazione del mondo.
Facci ritornare a te Signore, e noi ritorneremo! (Lam 5,21)


martedì 15 agosto 2017

Omelia per l'Assunzione della Beata Vergine Maria - Guspini



Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,39-56)


In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

oooOooo


Simulacro della Beata Vergine Maria Assunta - Dormitio
Nella storia ci si è spesso illusi che le rivoluzioni fossero a portata di mano del popolo, in una continua ricerca volta ad abbassare i potenti di turno per sollevare gli umili. Spesso però questo capovolgimento non è stato un vero capovolgimento, ma soltanto una inversione di ruoli: chi ha fatto le rivoluzioni è diventato a sua volta oppressore. Lo abbiamo visto tragicamente a partire dalla rivoluzione francese, poi nelle rivoluzioni socialiste, in Messico, in Spagna, in Russia e nei paesi dell’Est Europa. E così le rivoluzioni che partivano da ideologie fasciste e naziste.
E ancora le rivoluzioni più recenti, quelle arabe. Il presidente cinese Deng Xiao Ping intervistato da Oriana Fallaci quarant’anni fa, disse che Mao Tze Tung, portando avanti la Rivoluzione culturale (che fece milioni di vittime), aveva compiuto “un errore di valutazione della realtà”, e la giornalista, parlando di altre amenità che accadevano nella Cina di Mao diceva: «Ciò dimostra che le rivoluzioni non cambiano l’Uomo e che dopo una rivoluzione vale il proverbio: “Tutto cambia e rimane come prima”».
Andy Warhol - Mao
Chiedo scusa per questa digressione, ma preparando l’omelia per questa bellissima festa grande mi sono chiesto a cosa servisse ascoltare oggi un Vangelo così rivoluzionario. Sì, perchè questo canto che l’Evangelista Luca ci ha trasmesso, ci porta al centro di tutti i misfatti della storia e dentro ogni casa di poveraccio, all’interno di tutti i palazzi del potere di questo mondo e nell’intimo di ogni reazione al male.
Il Canto di Maria ci racconta sì di una rivoluzione, ma di una rivoluzione che fa Dio, e che fa non con chi è forte, ma con gli umili. E la forza dell’umiltà di Maria consiste nel metterci la faccia, nel metterci il grembo, nel metterci la sua stessa carne. Il suo fiat diventa possibilità di far agire Dio nella storia. La sua umiltà è quella di chi si gioca completamente, non per apparire, ma per far apparire Dio nel mondo.
Quante volte si sente parlare di apparizioni, e dimentichiamo che se una “apparizione” c’è nella vita di Maria, è l’apparizione di Dio nella sua esistenza, e attraverso di lei nella storia del mondo.
Dio è rivoluzionario, ci ricorda Maria. Sì, ma in un modo del tutto speciale: non ci trasporta in una utopia irrealizzabile, ma aderisce completamente alla realtà fino a diventare uno di noi, uno tra noi, nato da donna.
Dietro il canto di Maria c’è un processo e un progetto iniziato già a partire dalle promesse fatte ai padri e ora realizzato attraverso di Lei in Gesù Cristo.
Maria col suo canto ci riporta a una storia che ha un fine, che ha un orizzonte, una meta, e non ci fa appiattire in quello che con uno slogan pubblicitario potremmo dire life is now.
Sì, cari fratelli e sorelle: la vita non è un mordi e fuggi, un takeaway dello spirito, ma richiede a noi cristiani prima di tutto, ma direi a tutta la società civile, di non ingabbiarsi in due tentazioni ugualmente pericolose: quella che ci garantisce delle nostre strutture e delle nostre conquiste, e quella che ci fa sentire eterni bambini alla ricerca di attimi di felicità in una precarietà assoluta, cioè slegata dalla realtà.
La tentazione delle strutture: è quella che il canto di Maria chiama i «superbi e i pensieri del loro cuore», e i «troni dei potenti». Cosa sono questi pensieri dei superbi, questi troni dei potenti che vengono capovolti?
Sono il senso di predominio che spesso pervade chi si crede sicuro del proprio potere, civile, religioso, spirituale, economico. Perché ha palazzi, perchè ha strutture, perchè copre con i suoi tentacoli molti ambiti vitali...
Neil Armstrong pianta la bandiera americana sulla Luna
È la tentazione – parlo alla comunità cristiana, ma potrei fare un discorso altrettanto forte per la comunità civile – di chi pensa che la Chiesa sia un apparato da allargare al massimo, e che il Vangelo ci chieda di coprire sempre più ambiti e sempre più spazi che altri lasciano vuoti. È la tentazione dell’espansionismo mascherato da spiritualità. Dio ci capovolge se noi pensiamo che questo sia il modo di avvicinare il suo Regno!
Cari fratelli e sorelle: il Regno di Dio si manifesta negli umili che sono innalzati, ma che restano umili, negli affamati ricolmati di beni, che non per questo affamano gli altri, perchè l’umile, anche quando compie gesti forti, resta totalmente slegato dal potere mondano: nelle Sante Scritture povero non è il contrario di ricco, ma di potente!
Maria non si vanta di essere grande, ma benedice Dio perchè Egli ha fatto in lei cose grandi! Il suo centro non è in lei, ma è fuori di lei, in Dio, ed è per questo che la sua vita è pienamente realizzata, perchè ha smesso di guardarsi allo specchio e ha cominciato a contemplare il volto di Dio: quanto dobbiamo imparare noi concentrati troppo spesso sul nostro ombelico e totalmente autoreferenziali!
Il regno di Dio è capovolgimento prima di tutto di un modo di pensare rivoluzionario dove alcuni si sostituiscono ad altri, e ci dice in realtà che c’è spazio per tutti, perchè il nome di Dio è Misericordia, un cuore grande spalancato per i suoi figli e le sue figlie.
Poi c’è la seconda tentazione, quella di cercare attimi di felicità senza progettare un avvenire, come se la vita fosse una semplice successione di singoli momenti, slegati l’uno dall’altro.
Il canto di Maria ci mostra che la storia è un ordito ricco e variopinto, che richiede il nostro coinvolgimento per poter essere ancora tessuto nelle trame della nostra quotidianità.
Ci racconta la storia di un Dio che, coinvolgendosi nel mondo, non sconvolge le leggi di questo mondo, non fa una magia, non modifica le leggi fisiche, non cambia forzatamente i pensieri dell’uomo, non lo costringe a crederGli.
Guspini - Simulacro della Beata Vergine Maria Assunta - Dormitio
È piuttosto una novità che chiede di essere accolta, come quando nasce un bambino in casa: bisogna prendere atto che prima non c’era e ora c’è: piange, ha fame, ha sete, ha bisogno delle coccole, ha bisogno di cura.
Anche il Regno di Dio, lo capiamo attraverso le parole di Maria, ha chiesto il suo coinvolgimento, ha richiesto la sua cura perchè si manifestasse il Figlio di Dio, e chiede la nostra cura perchè oggi, nel tempo della Chiesa, il Figlio di Dio continui a manifestarsi.

Cosa ha a che fare tutto questo con la nostra vita?
Il Regno di Dio richiede oggi una virtù spesso dimenticata o fraintesa: la Speranza, virtù teologale con la Fede e l’Amore, che sovente viene considerata un’illusione che sfocia poi in una delusione.
Ma la speranza che ci suggerisce il Magnificat non ha niente a che vedere con la tiepida speranza del giocatore compulsivo di macchinette, che “spera” di vincere qualcosa.
La speranza evangelica non ha nulla di casuale, essa è radicata nella promessa di Dio. È una speranza che ha un nome e un volto: Gesù di Nazaret.
La speranza del cristiano, direi la speranza di colui che vede in Maria un esempio sicuro di santità, colei che totalmente e definitivamente ora sta con Dio con tutta sé stessa, è Gesù Cristo, la sua vita, la sua apparizione nel mondo attraverso i nostri gesti e le nostre parole.
La speranza del cristiano è capace di radicali novità, di incantamenti davanti a un germoglio che fiorisce, di occhi lucidi davanti a un bambino che nasce, di mani che accarezzano un malato che soffre.
La speranza del cristiano è trampolino di lancio per dei “sì” che hanno sapore di definitività anche quando siamo soltanto al primo passo di un’avventura, come nel matrimonio, come in qualunque impresa umana bella.
La speranza del cristiano è capace di gesti smisurati di amore che mettono al primo posto il bene dell’altro e della comunità, piuttosto che il mio benessere e i miei interessi, fino a dare la propria vita.
Beato Oscar A. Romero - Oggi avrebbe compiuto 100 anni
La speranza cristiana, la speranza mariana, è la struggente, e per certi aspetti non comprensibile, virtù propria di una madre, che contempla il volto del suo bambino, e lo vede già grande, e con un po’ di titubanza lo presenta al Padre perchè sa che solo Lui può compiere ogni desiderio di bene, solo lui può realizzare la Sua opera.
Cari fratelli e sorelle: la festa di oggi ci spinge a dilatare il nostro cuore, a esultare per il dono della fede non dimenticandoci dei tanti derelitti che oggi soffrono a causa delle guerre e delle persecuzioni, in Siria, in Iraq, nel Centro Africa e ovunque uomini, donne, bambini e anziani, sono offesi nella loro dignità, uccisi, repressi, annientati.
Si è spesso pensato che prima di evangelizzare occorresse umanizzare le persone, dare loro del cibo, un’istruzione, una casa e poi semmai annunciare loro Gesù Cristo.
Ma non pensiamo che il cristianesimo andrà avanti naturalmente, che si sarà ovviamente più cristiani perchè si sta bene economicamente! Tutt’altro: la nostra società opulenta ma che si scristianizza progressivamente ci dimostra l’esatto contrario.
La rivoluzione che ci canta Maria nel Magnificat interpella prima di tutto il nostro spirito: cosa ne facciamo del nostro spirito, della nostra anima? Verso dove vogliamo condurre la nostra vita, tutta la nostra vita? A quale meta tendiamo nel fare ciò che facciamo, persino nei gesti più quotidiani? L’Assunzione di Maria ci spinge a considerare che neppure un atomo di ciò che siamo è inutile agli occhi di Dio, e che tutto ciò che noi siamo, anche il nostro corpo, troverà pieno e definitivo compimento in Lui.
Simulacro della Beata Vergine Maria Assunta - Dormitio
Maria non ci fa evadere dalla realtà, pericolo sempre presente in ogni cristiano, ma semmai ci riporta con i piedi per terra: rifiuta di assecondare ogni ordine costituito, ma mette nel nostro cuore quello che qualcuno ha chiamato il “principio di insoddisfazione” (De Lubac): sì, Maria, immagine della Chiesa, porta il principio d’insoddisfazione fin dentro le realtà più materiali del mondo, per trasformarle dal di dentro, per essere vicina ai poveri e ai piccoli di ogni latitudine. Noi dobbiamo essere degli insoddisfatti in questo mondo, per poterlo rendere più bello, più umano, più all’altezza del suo Creatore.
Maria ci ricorda però che, se una lotta siamo chiamati a fare, è una lotta per ricordarci che non siamo semplicemente di questo mondo, ma siamo di Dio, e i poveri e i diseredati sono nel cuore di Dio in modo speciale. Per tutti loro, cercando noi stessi il modo di coinvolgerci nella storia di Dio che si coinvolge nella nostra storia, dicendo “sì” alla sua proposta di amore per noi, qualunque essa sia, anche noi oggi innalziamo con fede convinta il canto di Maria: La mia anima si dilata cantando Dio, perchè vedendo la mia piccolezza egli ha fatto in me grandi cose e Santo è il suo nome. Amen


giovedì 10 agosto 2017

La fede ha bisogno di NON VEDERE Dio (sì, avete letto bene)

Sempre più mi convinco che la fede ha bisogno di un oggetto - in senso filosofico [ Dall'Enciclopedia Treccani: 1. In filosofia, ogni cosa che il soggetto percepisce come diversa da sé, quindi tutto ciò che è pensato, in quanto si distingue sia dal soggetto pensante sia dall’atto con cui è pensato: orealeimmaginariosensibileidealematerialeimmaterialel’odella conoscenzadel pensierodella coscienzadella sensazionedelle percezioni, oppure la conoscenzala percezione degli o., la rappresentazione degli oalla mente. In questo senso, la parola non implica necessariamente l’esistenza in sé della cosa pensata; in altri casi, invece, indica una realtà che possiede un’esistenza propria, indipendente dalla conoscenza o dall’idea che ne può avere il soggetto pensante: oconoscibili e oinconoscibili.]-  che non sia tangibile immediatamente.
Sì, avete capito bene: un oggetto che non si vede, non si tocca, non si sente, non si gusta e non si odora.
Voglio dire che la fede ha bisogno di segni che rimandano ad altro, e non di visione.
Infatti noi non potremmo tollerare la potenza della visione di Dio (in questo senso il richiamo biblico: Nessuno può vedere Dio e vivere).
Perché se Dio è il Tutto che ha fatto tutto dal nulla, anzi di più, se egli è al di là del tutto come misura quantificabile, se egli è – come dice ogni filosofia della religione e come dice anche il più semplice catechismo – Colui del quale non si può dare una definizione, perché nel momento stesso in cui lo de-finiamo, egli supera l’angusto confine della parola...
Michelangelo - Mosè "cornuto" (foto J.B.Unna)
Se Dio è questo incommensurabile e l’incommensurabilità stessa dell’incommensurabile, Colui che tutto avvolge senza essere compreso in niente di quanto porta la sua pur debole traccia, se persino le parole più sapienti che ne hanno voluto parlare lo hanno descritto come Colui che passava dando le spalle al suo servo Mosè, facendo udire soltanto la Voce...
Ebbene se Dio è tutto questo e oltre tutto questo, come l’uomo, creatura finita e mortale potrebbe sostenere il peso di una visione del genere?
Come potrebbe sostenere l’energia dalla quale promana tutto l’universo e i mille e mille universi, e come potrebbe sostenere la visione di qualcosa che supera ogni possibilità di visione e non esserne incenerito all’istante? Come potrebbe sopravvivere l'uomo, se talvolta gli basta un tramonto per avvertire il senso della propria piccolezza, o gli basta la luna contemplata in una notte per contrapporre, come diceva il Pastore errante di Leopardi "questo vagar mio breve" con "il tuo corso immortale"?
Sì però. Sed contra. 
Sì però voi preti ci dite che Dio si è fatto uomo, che il Figlio di Dio è diventato uno di noi, e quindi a rigore un uomo non dovrebbe fare questo effetto soverchiante, per quanto un uomo specialissimo come il Figlio di Dio, sempre uomo è.
Sì. È vero. È totalmente uomo, e chi lo ha conosciuto ha potuto vedere attraverso di Lui il Padre.
Ma ora egli ha superato la barriera della mortalità, oggettivo ostacolo alla visione di Dio.
Ora Egli, quell’uomo Gesù di Nazaret, vive risorto alla destra del Padre. Diciamo così, un linguaggio mutuato dalle Scritture, se non vi piace, usate un altro modo, ma per dire la stessa cosa: che dopo la sua morte e risurrezione egli è tornato, da uomo, a essere Figlio di Dio anche nella sua abitualità. Se è lecito pensare che mentre ha vissuto la sua vita terrena, il Figlio di Dio passeggiasse sulla terra e pur unito al Padre attraverso lo Spirito ne era separato in quanto uomo, in tutto simile a noi, ora non è più così: ora è unito a Lui attraverso lo Spirito e in quanto uomo, totalmente e definitivamente uno col Padre nel suo essere uomo.

Dunque, se è così, noi non possiamo vederlo e rimanere vivi, perché questa visione supera ogni possibilità di visione, questa conoscenza esperienziale supera ogni possibilità di conoscenza.
E dunque cosa ci resta? Come facciamo a credere in Lui se non ci è possibile vederlo, né vederne dei segni che ci dicano chiaramente e definitivamente che Egli esiste ed è davvero Dio?
Gesù ha lasciato dei segni, che la Chiesa, anch’essa segno di Lui (suo corpo, la chiama l’Apostolo) chiama sacramenti. Segni che sono fatti di parole umane e di diverse materie: acqua, olio, pane, vino, alcuni gesti umanissimi, come una carezza, un tocco, una parola scambiata.
Possiamo credere in Dio a partire da questi segni?
Io direi che se non crediamo in Dio a partire da questi segni non abbiamo compreso nulla.
Infatti è grazie a questi segni che noi possiamo essere liberi: se Dio si mostrasse a noi nel fulgore della sua verità, noi ne saremmo atterriti, e lungi dall’adorare, ci inginocchieremmo per timore, davanti alla grandezza e alla potenza di una Forza che tutto ha fatto e che non si misura in kilotoni, per il semplice motivo che non basterebbero tutti i numeri del mondo a quantificarla.
Crederemmo, se anche rimanessimo vivi, per il terrore di una forza così grande. Allo stesso modo in cui gli antichi scambiavano i terremoti e i vulcani per Dio che si faceva udire, e si inginocchiavano impauriti e adoravano un Dio che non conoscevano.
Soltanto che qui non si tratta di terremoti o vulcani, o di eventi atmosferici o geologici.
Qui si tratta di una forza che sovrasterebbe la nostra mente, non come un lavaggio di cervello, ma come una impossibilità di opporre resistenza, fosse anche per dire: Sì, io credo.
In altri termini, se Dio ci apparisse ora nello splendore della sua grandezza, noi non saremmo liberi di crederGli.
Ecco perchè si mostra a noi attraverso segni che vanno accolti con un atto di fede. Perché attraverso quei segni, sacramenti, noi possiamo esercitare la nostra libertà. Piccoli e poveri segni nei quali Egli ci ha promesso la sua presenza non sovrastante ma leggera, semplice, comprensibile a tutti, sebbene non interamente e definitivamente chiara (vediamo per speculum et in enigmate).
Se non credo attraverso questi segni la mia fede non è libera. Se per credere aspetto di vederlo a faccia a faccia, e così crederò... beh... c’è da dubitare che sia sulla strada giusta. Forse sto cercando un Dio Padrone, un Dio Potente, un Dio che non mi lascia neanche lo spazio della mia libertà.
Invece Egli, proprio facendo così, diventa il custode più geloso della libertà dell’uomo, attento a far sì che nessuno creda a Lui per timore, ma solo in un estremo gesto di abbandono filiale.

Beati coloro che pur non avendo visto, crederanno.

mercoledì 9 agosto 2017

Omelia per la festa di San Ciriaco Martire

Eb, 10, 32-36
1Pt 3,13-18
Mt 10, 17-22


In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.



La liturgia della Parola di questa festa di San Ciriaco ci riporta ai primi tempi del cristianesimo, tempi nei quali i cristiani sperimentarono sulle orme di Gesù una grande e penosa lotta, l’insulto, la persecuzione, la privazione della libertà.
Tempi che furono piuttosto lunghi e che – salvo piccole parentesi – furono caratterizzate spesso dal sangue sparso da tanti martiri, laici, uomini e donne, diaconi, preti e vescovi.
Questa fu la sorte anche di Ciriaco, insieme ad alcuni compagni che con lui vengono ricordati nel martirologio romano: Largo e Smaragdo.
Predizione del resto che già stava sulla bocca di Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo: la comunità cristiana a cui si rivolge Matteo è cosciente da subito che la persecuzione che soffre, da una parte all’interno stesso del popolo ebraico, perchè i cristiani sono ritenuti eretici, e dall’altra all’interno dell’impero romano, dal quale sono ritenuti atei, perchè non vogliono adorare l’imperatore, la comunità è cosciente che queste persecuzioni sono sofferte per il nome del Signore, cioè a motivo della loro fede.
Ora noi possiamo chiederci se nella vita di una persona normale ci sia qualcosa per la quale valga la pena morire, piuttosto che abbandonarla.
Certamente chi tra noi ha affetti carissimi, un figlio, una madre, un amico, potrebbe essere disposto a morire per lui o per lei, a mettere a repentaglio la propria vita per una persona che si ama e che si trova in pericolo.
Del resto questo tipo di eroismo non era sconosciuto ai pagani: sono tante le storie che raccontano di padri che si immolano per i figli e di amici che si fanno ammazzare per salvare l’amico del cuore.
Ma il martirio cristiano non è una forma particolare di eroismo, anzi: non ha nulla a che fare con l’eroismo. Perché qui non si tratta di salvare chi si ama, ma di salvare ciò che si ha di più intimo: Dio in sé stessi. Di salvare la propria umanità più autentica e più vera.
Si tratta di accettare di essere odiati, disprezzati, giudicati e condannati a morte non al posto di qualcuno, ma per Colui nel quale si è posta la fiducia, di andare a morire seguendo fino in fondo il suo stesso percorso umano.
Non so se riesco a spiegare questa differenza, che ritengo fondamentale: il martirio cristiano non ha uno scopo immediato. Il martirio cristiano è una scelta di vita che accompagna il cristiano fin dal primo momento in cui sceglie di seguire Cristo.
Sappiamo tutti che martirio significa testimonianza. Ma di cosa è testimone uno che si fa ammazzare pur di non rinnegare Gesù Cristo?
È testimone di un amore più grande, di un desiderio di vita più grande, di un perdono più grande: non parla con parole sue, ma con parole suggerite dallo Spirito Santo.
Non cerca di farsi ammazzare, tuttavia non si tira indietro davanti al boia.
I racconti dei martiri sono pieni di un coraggio e di una determinazione, di una perseveranza che fa veramente impressione. Persone altrimenti inermi e che non avrebbero fatto del male a una mosca, non si tirano indietro davanti al boia: bambini, giovani, anziani.
Tutti accomunati dalla fede in Gesù.
Ora vorrei trarre due pensieri dalla vita dei martiri.
Il primo: i martiri esistono ancora oggi. I cristiani sono attualmente la religione più perseguitata, in tutto il mondo. Uccisi direttamente in spregio alla fede, come accade spesso da parte dei terroristi islamici, soprattutto in Egitto, in Siria e in Irak, come in Nigeria domenica scorsa, dove qualcuno è entrato sparando in una chiesa durante la Messa e ha ucciso una decina di persone, oppure uccisi perchè diversi, perchè difendono i diritti dei piccoli e dei poveri, perchè vivono fino in fondo il Vangelo con i diseredati della Terra, come accade in America Latina dove proprio qualche giorno fa alcuni preti sono stati uccisi e moltissimi laici, e ne ricordiamo uno fra tutti: il Beato Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador.
Il martirio cristiano non è una storia del passato, di tempi antichissimi che non tornano più, dei Romani o di altri popoli .
L’impero romano non esiste più, ma i martiri esistono ancora, perchè i cristiani non hanno nemici, ma quando vivono veramente da cristiani si fanno molti nemici, a volte anche all’interno della propria casa.
E perchè fanno paura i cristiani?
Perché non sono disposti a rinnegare Gesù Cristo, non sono disposti a rinnegare colui che conoscono come il loro salvatore, come colui che dà senso alla loro vita, non come un’idea. Non ci si fa ammazzare per un’idea. C’è sempre tempo per cambiarla. Ma per una persona amata sì. Ecco: i martiri rinunciano alla loro vita non da eroi, ma da persone che amano.
E la seconda riflessione a partire da questa è una domanda che rivolgo a me e a ciascuno di noi qui presenti: cosa conta davvero nella nostra vita, nella nostra fede?
Di cosa andiamo in cerca?
Cerchiamo la tranquillità, la salute, la pace? E magari per cercare queste cose ci rivolgiamo a Dio che ci aiuti a trovarle. E Dio diventa in qualche modo soltanto uno che deve esaudire i miei desideri, deve ascoltare le mie preghiere, che sono per il bene, deve assecondare le mie scelte, deve curare le mie malattie.
Un Dio factotum alle mie dipendenze.
È ovvio che non dico davanti a un mitra, ma davanti al primo mal di denti siamo disposti a rinnegare tranquillamente un Dio così, perchè un Dio così è un idolo, è un feticcio, è vuoto.
Non è questo il Dio che ci ha fatto conoscere Gesù Cristo.
Il Dio di Gesù Cristo è invece il Padre, colui che sa già ciò di cui ho bisogno e che vuole rendermi veramente me stesso, vuole farmi sperimentare l’amore nella libertà, vuole condurmi per una strada che anche se io non conosco a priori, è la strada che porta a Lui.
E allora mi chiedo e vi chiedo: cosa paghiamo per la nostra fede? Non in termini economici, ma della nostra vita.
Quanto ci costa essere cristiani?
Perchè se la fede non ci costa nulla, se decidiamo per esempio che “tanto non fa nulla se non mi converto davvero, se non mi pento dei miei peccati, se non mi confesso... che tanto non fa nulla se non partecipo sempre alla Messa domenicale, l’importante è il cuore, se tanto non fa nulla che non sempre sia disponibile e amorevole con le persone che amo, se tanto non fa nulla se non prego mai o prego distrattamente... beh, se tanto non fa nulla... se la mia fede non mi costa, c’è da dubitare che sia fede.
Forse è una credenza religiosa, forse è un’eredità culturale che mi porto dietro e che mi dà sicurezza, ma al primo turbamento e alla prima delusione me ne vado sbattendo la porta.
Carissimi fratelli e sorelle, se cerchiamo sicurezza nella vita, forse la otterremo, perchè la bontà di Dio supera infinitamente le nostre richieste. Ma la nostra vita non sarà una vita di amore e di libertà. Sarà una vita di schiavitù alla continua ricerca di ciò che mi fa star bene.
Se cerchiamo il Regno di Dio nella nostra vita, può darsi che questo ci costi in termini di serenità, di salute, di sonno, di libertà. Ma saremo davvero noi stessi, ci accorgeremo di avere un coraggio che non viene da noi, di avere una forza che non viene da noi. Ci accorgeremo che sappiamo fare cose più grandi di noi, che sappiamo amare fino in fondo, come Gesù, fino a dare la vita.
Questo auguro a me e a ciascuno di voi: che la testimonianza di San Ciriaco sia intercessione per i martiri di oggi ed esempio per la nostra vita talvolta tiepida.

Amen 

mercoledì 2 agosto 2017

La rosa di Mamre

Devastanti incendi ci hanno tenuti
prigionieri per due giorni.
Ora lo spettacolo per chi sale
alle Querce di Mamre è desolante.
Fatica, fuoco, fumo, paura, rabbia
collaborazione, sorrisi, non strette di mano
ma quello sguardo d'intesa tra persone...
Grazie a tutti coloro che hanno collaborato
a spegnere roghi paurosi.
Ci riprenderemo!
E stamattina
la rosa è sbocciata
nel giardino di Mamre.
La rosa è senza perché.



Santi protettori


Parchetto semidistrutto

Presepe salvo




La rosa di Mamre

Scarpe bruciacchiate