giovedì 29 agosto 2019

L’amico dello sposo esulta di gioia alla sua voce: ora la mia gioia è perfetta.

Foto Gianfranco Massa

Molte volte in questi ultimi quindici anni don Coni mi ha chiamato a predicare per le feste principali di Morgongiori, manifestandomi un affetto e una stima sinceri e totalmente disinteressati.
foto Federica Spano
Ho avuto il privilegio di poter collaborare con lui in questi ultimi tre mesi, e poi di sostituirlo totalmente, perché dal 10 luglio, giorno del suo 53° anniversario di ordinazione, non ha più avuto la forza di celebrare o concelebrare.
Ho potuto vedere – come chiunque sia venuto a visitarlo – che progressivamente la malattia minava il suo fisico ma non il suo spirito.
Foto Gianfranco Massa
Ha vissuto con amore questi mesi di sofferenza, senza ostentazione, senza prediche né moralismi, ma con il sorriso, l’accoglienza e l’ironia che hanno ben conosciuto tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui, ricevendo la Comunione eucaristica e due volte l’Unzione degli Infermi, l’ultima dal Vescovo, sabato.
Sabato sera, dopo aver ricevuto la Comunione, quando già la sua situazione precipitava e lui se ne rendeva conto, gli ho chiesto se la croce fosse pesante e mi ha risposto: “La croce è un po’ pesante, ma aspettiamo, perché le croci che sembrano enormi il Signore le rimpicciolisce, a volte sono piccole e si ingrandiscono”. 
E lunedì, dopo aver fatto la preghiera di preparazione alla morte, gli ho chiesto di dare la benedizione ai suoi familiari, ai presenti nella sua camera e a tutti i parrocchiani: ha sollevato la mano e ha pronunciato, a fatica ma chiaramente, la formula di benedizione.
Ha amato molto le persone a lui affidate, con vero affetto sacerdotale, di chi è interessato cioè non solo al benessere materiale, ma alla salvezza spirituale. Ha voluto bene a grandi e piccoli, privilegiando i malati, i chierichetti e i bambini e ragazzi del catechismo, che nel suo cuore avevano un posto speciale.
Ha amato molto il presbiterio, la chiesa diocesana, le famigliari del clero e il suo vescovo: mai l’ho sentito, e credo neanche gli altri confratelli sacerdoti, criticare o usare parole scortesi nei confronti di qualcuno, anzi semmai cercava sempre di sdrammatizzare. Così faceva anche quando si presentavano gli inevitabili attriti e contrasti nella comunità parrocchiale: cercava la pace e l’unità di intenti.
Ha sofferto con amore, prendendo la croce, non subendola, accettando di mostrarsi “debole” di fronte a chi veniva a trovarlo, e sono stati tantissimi, laici e preti. Si è mostrato nella debolezza della malattia e del dolore fisico, e questa è stata la sua più grande omelia: non parole, non esortazioni, non consigli, ma la sua personale partecipazione alle sofferenze di Cristo.
È vissuto in povertà quasi monastica, quasi sconcertante. 
Penso che da oggi in poi tutti abbiamo un debito nei suoi confronti, oltre che per il bene seminato: che questa sua ultima omelia durata tre mesi non vada sprecata, ma che ci aiuti a vivere bene, ad apprezzare quello che davvero conta nella vita, che non sono i beni materiali, ma la carità, la fede e la speranza, doni di Dio.
Grazie don Giovanni, a nome di tutti i presenti, e di tanti a cui hai fatto del bene. 
Davanti al tuo e nostro Signore Gesù Cristo ora prega per tua sorella Nanda, per tutte le tue sorelle e i nipoti, per la tua diocesi e per il vescovo, per le comunità in cui hai servito e per noi preti.
foto Omar Manias