martedì 25 dicembre 2018

Omelia nel giorno di Natale


Mi pare che per certi versi il Natale sia ancora più sconvolgentedella Pasqua.
Perché a Pasqua contempliamo il Figlio di Dio che si assume la sua responsabilità, in piena libertà affronta coloro che lo accusano, che lo arrestano, si consegna volontariamente nelle mani di coloro che di lì a poco premieranno la sua libertà crocifiggendolo.
Ma a Natale noi contempliamo Dio non nella sua libertà, manella sua necessità.
Contempliamo Dio che nasce da una donna, che nasce in un luogo non preparato ad accoglierlo, che nasce tra persone semplici e di vile condizione, che nasce da una storia che fu gloriosa un tempo, quella del suo antenato re Davide, ma che ora è confinata nel dimenticatoio. Possiede quarti di nobiltà decaduta.
Nasce nella più piccola borgata di Giuda, nasce tra i disagi comuni a tanta parte dell’umanità, ieri come oggi.
Nulla di particolarmente evidente, nulla di miracoloso.
Ci sono i canti degli angeli, certo, c’è una stella che illumina la notte, sì.
Ma come mai solo i pastori, questi uomini rudi, ne hanno colto un segno che li ha spinti a muoversi, a lasciare il loro gregge nella notte per avvicinarsi a una grotta, a una casa, dove non c’era nulla di prodigioso, bensì una donna e un bambino avvolto in fasce, deposto su una mangiatoia di animali?
Insomma a Natale noi contempliamo non Dio nella sua libertà, ma Dio nella sua necessità di uomo.
Noi siamo sospesitra questi due poli: la libertà con la quale facciamo ciò che vogliamo, e la necessità, che ci viene dal fatto che molte cose non le comandiamo noi, che non ci possiamo dare la vita, che non possiamo autogenerarci, non possiamo stabilire il colore dei nostri occhi, o la nostra altezza, o la precisione della nostra vista o l’acutezza del nostro pensiero. Né possiamo governare tutti gli elementi, tutte le incognite della vita stessa.
Noi nasciamo e subito siamo persone bisognose: bisognosi di cure materne e paterne, bisognosi di coccole, di latte, di qualcuno che faccia per noi tutto, letteralmente. Che ci insegni a vivere. Lasciati a noi stessi moriremmo subito.Quando nasciamo non abbiamo capacità di resistenza.
Siamo polvere, siamo terra.Siamo umili nel suo senso originario: fatti di terra, appunto, figli di Adamo.
Capite allora perché mi sembra che il Natale per certi tratti appaia ancor più sconvolgente della Pasqua: perché quel Bambino ha avuto bisogno di tutto, ha avuto bisogno di una mamma e di un papà, di qualcuno che festeggiasse la sua nascita, di qualcuno che gli facesse le coccole, di qualcuno che gli desse da mangiare, lo lavasse, lo cambiasse, lo custodisse dal freddo e dalla cattiveria degli uomini. Sarebbe potuto morire di pertosse o di morbillo, per dire.
Dio – quel bambino – ha avuto bisogno degli uomini, di una donna e di un uomo.
Dio ha avuto bisogno di noi.
Dio ha voluto avere bisogno della sua creatura, nella estrema necessità che possiamo contemplare in un bambino appena nato.
Noi siamo – in un certo qual modo – responsabili di Dio, della sua presenza nel mondo.
Mi infastidisce terribilmente sentire i discorsi di chi dice: «Se questo mondo va male è colpa della società, del mondo che ci circonda, degli altri.
Incolpiamo noi stessi piuttosto, se davanti a questo Bambino divino volgiamo lo sguardo. Se ci fermiamo a contemplare un’immagine dipinta o una bella statuetta del presepio ma non ci fermiamo ad ascoltarne la sua voce, il suo pianto dentro di noi, se non facciamo spazio al suo bisogno di noi nel suo cuore.
A lui non è piaciuto stare in cielo senza di noi, senza la sua creatura amata.
È venuto perché aveva bisogno di noi, lui che di nulla ha bisogno.
Ce lo ha mostrato con la potenza semplice di un bambino, che è improduttivo, che non sa fare niente, che secondo i canoni della nostra società è piuttosto un costo e un peso sociale (ed è anche per questo che la gente non fa più figli).
È venuto per mostrarci che la nostra necessità, tutti quegli aspetti della vita che non possiamo governare, e che ci spaventano più di tutto: l’abbandono, la malattia, la solitudine e via via fino ad arrivare alla morte, quella di chi amiamo e la nostra, ebbene tutti questi aspetti della vita non sono una maledizione, non sono un destino inesorabile che ci sovrasta, ma una possibilità,la nostra unica e irripetibile opportunità di essere uomini e donne, di esserlo veramente, di esserlo gioiosamente. Questo è il Natale per me:fare come Dio, diventare uomini. Compiere la nostra umanità con amore, con passione, con dedizione, lasciarci amare per diventare a nostra volta capaci di amare.
Lasciarci amare, quanto è difficile questa parola. Lasciarci amare da chi ci ama, e lasciarci amare da Dio. Pensiamo che il primo passo sia fare qualcosa, mentreil primo passo è lasciar fare, lasciarci amare.
Apriamo il cuore, carissimi fratelli e sorelle, abbiamo estremo bisogno di Dio, abbiamo estremo bisogno di contemplarlo nel suo aver bisogno di noi. Sì, Dio ha bisogno di me. Questo è il vero miracolo! Agli occhi suoi io sono prezioso.
Lo accoglierò? Le tenebre del mio cuorecercheranno certamente di sopraffarequesta piccola presenza, questa presenza inerme, questa insignificante presenza. Ma la sua luce è più forte, se gli diamo fiducia, se ci facciamo attirare dalla sua bontà, dalla sua mitezza. Natale è nuova partenza, per destinazioni sconosciute, ma con in mano un bagaglio semplice:lasciarci amare, lasciarci toccare, lasciarci accarezzare da Dio. Allora scopriremo l’impossibile agli uomini: che anche noi siamo capaci di amare disinteressatamente, di perdonare, di far ricominciare chi ci ha fatto un torto.

Morì per liberare l’umanità dall’acredine
poiché tutto ciò che ebbe a soffrire era ingiusto,
e mostrò amore ove amore così di rado appare:
nel buio, nel dolore, nella morte. Prese la nostra polvere
e le insegnò a benedire. (Elisabeth Jennings)

domenica 28 ottobre 2018

Pensieri su Bartimeo, cieco, e sui preti

Molti lo rimproveravano perché tacesse
Che magra figura che ci fanno i discepoli. Sempre timorosi di preservare il Signore, di non disturbarlo troppo, perché ha molto da fare e non può stare a sentire ogni mendicante che sta fermo su tutte le strade in cui passa.
Mi sembra di vedere questa cerchia allargarsi sino ad oggi: verso il parroco, verso il vescovo, verso il papa: un cordone di sicurezza che talvolta li rende inavvicinabili... Loro sanno che cosa è giusto fare, cosa consigliargli, vogliono risparmiargli la seccatura di dover ascoltare l’umanità che sta ai margini e che non ha biglietti da visita da far valere, ma solo la forza del proprio grido di sofferenza.
Ma Gesù non è inavvicinabile, e anzi comanda ai suoi discepoli che chiamino Bartimeo.

C’è una suggestione che mi viene ascoltando il grido di Bartimeo e lo zelo silenziatore dei suoi discepoli: occorre ricuperare la capacità di gridare, o quantomeno di parlare, senza che qualcuno ci zittisca. Noi facciamo molta fatica a parlare di noi, a condividere qualcosa di profondo di noi stessi, non dico con i laici, ma ancor prima tra noi preti, persino tra amici. Il nostro ruolo ci impone (almeno questa è l’idea del prete) sempre uno standard che è fatto di certezze, di assertività, una diplomazia che spesso ci fa bypassare i nostri crucci, le nostre disperazioni, le nostre nevrosi. Le risolviamo con un po’ di grazia a buon mercato, ma a lungo andare questo sfibra la nostra anima. Voglio dire che il peggior “discepolo silenziatore” ce l’abbiamo dentro di noi: preti che non fanno mai una visita medica (io sono il primo) perché si credono immortali. Preti che non controllano il loro modo di mangiare o di bere, perché sembra non avere niente a che fare con la loro anima. Preti che non si interrogano mai sul loro rapporto con i soldi, e non comprendono che accumulare è un modo di dire: Ho paura di morire. Preti che non sono mai sfiorati da un dubbio sulla loro sequela. Persone anafettive perché abituate a non esprimere mai i propri sentimenti

E che vivono tutto questo a volte con sensi di colpa enormi, perché hanno silenziato quel grido interiore. E non parlano. Non dico che siamo tutti problematici, però se leggiamo la nostra storia con un po’ di onestà, proviamo a vedere se non è vero quel che dico... 
Occorre ricuperare la capacità di ascoltarci, nel senso di ascoltare noi stessi e di ascoltarci tra di noi: «Solo nell’incontro con una persona che non censura, dirige o manipola, ma che tollera e accetta davvero tutto ciò che vive nell’anima di un individuo è possibile diventare sinceri nei confronti di se stessi e trovare, in virtù di quanto si scopre in questo modo, il coraggio di cercare nuovi atteggiamenti» (Drewermann).

«Gli rispose: “Cosa vuoi che io ti faccia?”». Imparare dallo stile di Gesù
Gesù non insegna niente a Bartimeo (altre volte lo farà, e del resto questo è chiaro dall’appellativo con cui Bartimeo gli si rivolge: lo chiama Rabbunì,maestro mio). Non si tratta qui di contrapporre insegnamento e azione.
Gesù parla al cuore, anzi ascolta il cuore, il desiderio di vedere di Bartimeo. Lo fa aprire e sbocciare, gli fa sentire di essere considerato, capito, riconosciuto nel suo essere bisognoso. Non solo aiutato con una moneta!
Questo permette al nostro interlocutore di ritrovare fiducia in se stesso e di diventare discepolo.
Gesù non castra i nostri desideri. Talvolta una malintesa spiritualità ci fa pensare (e ci fa dire): devi rinunciare ai tuoi desideri, perché Dio deve metterti i suoi nel cuore... sì e no.
Anzitutto Gesù guarda anche alla domanda di vita di ciascuno di noi: «Cosa vuoi che io ti faccia?». Non è Aladino che ti offre di sfregare la lampada, ma non è neanche Zeus che ti impone la sua volontà dall’alto: è un Dio che scende in dialogo, al tuo livello, che intercetta i desideri del tuo cuore per metterli a servizio del regno.
Il Messia non evita la sofferenza che incontra, non si schermisce dicendo: Cosa posso farci io?Bensì la accoglie, la fa sua, la porta su di sé. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore perché rivestito anche lui di debolezza: è un (il) sofferente che conosce la sofferenza, accoglie le persone che gli si presentano come sono realmente, si innesta nel loro dolore e nella loro insicurezza: il miracolo viene quando la fede è pronta ad accoglierlo.

sabato 27 ottobre 2018

Non ditemi che è un problema di “sporchi negri”

Sgombro preventivamente il campo da qualunque polemica, ogni omicidio è un crimine, specialmente se compiuto in modo deliberato e per motivi futili o abietti.
A chi lo ha compiuto va data la pena massima e va assicurato un percorso di rieducazione.
Senza se e senza ma. Punto.
Ora veniamo ai fatti: a Roma qualche giorno fa una ragazza di 16 (sedici) anni, tossicodipendente, padre spacciatore, madre adolescente a sua volta, andata probabilmente a cercare una dose, è stata stordita, stuprata e uccisa da quattro (o forse più) uomini, tutti nerissimi, davanti ad alcuni testimoni.
I giornali nazionali inondati da questa notizia che alimenta il voyeurismo italiota.
A metà settembre sul Lago Omodeo, a Ghilarza, un ragazzo di 18 (diciotto) anni, piccolo spacciatore, è stato ucciso da cinque-sei persone, fatto a pezzi e sepolto, probabilmente perché aveva commesso lo sgarro di andare a casa di una 17enne a chiedere il pagamento di una dose di fumo. Ragazza che durante l’omicidio è stata registrata piagnucolare dentro l’auto che era sotto microspia perché il padre del “capo” era a sua volta sospettato di un omicidio avvenuto un anno prima.
Gli assassini e i complici non superano i 21 anni. Sono bianchissimi.
E nessuno ne parla, non ci sono scoop gossippari e scandalistici.

Ma trovate voi le differenze, se ci riuscite.
Purtroppo c’è chi cavalca l’odio razziale, chi dice che questi “vermi” devono marcire in galera, etc etc.
Invece i tranquilli ragazzi di Ghilarza che hanno pianificato e messo in atto un omicidio a sangue freddo, erano bravi ragazzi che chissà cosa gli è passato per la testa.

No, in realtà nei quartieri degradati di Roma, come nelle periferie che sono i nostri piccoli paesi dell’interno (e anche della costa), il problema è che la droga gira come fosse pop corn, che nelle campagne inaccessibili del Supramonte e dell’Ogliastra si coltivano ettari di marjuana, che in Sardegna l’abbandono scolastico prima del diploma è il più alto in Italia (oltre il 33% a fronte del 28% nazionale), che mancano biblioteche, cinema, teatri, luoghi in cui si promuove la cultura, mancano palestre, le scuole sono fatiscenti, non insegniamo più la bellezza, mancano scuole di musica, corsi di pittura...
Il degrado è alle stelle nei nostri paesi, dove i giardini pubblici diventano presto selve oscure, dove non si fa la manutenzione delle strade, dove non si dipingono le case, dove gli uffici pubblici non danno le informazioni che dovrebbero, dove se uno ha un problema... che se lo risolva da solo...

Io vedo tutto nero?
Spesso sì, vedo tutto nero.
Vedo soprattutto che abbiamo trascurato di costruire una società più giusta, pensando che il benessere – inteso come il possesso dell’ultimo gioiello tecnologico o la libertà di fare quel che si vuole, fosse anche drogarsi liberamente – fosse l’unica cosa da perseguire. E ancora siamo su questa strada! Non ce ne frega nulla!
Cosa sta facendo l’attuale Governo per la cultura, per le scuole, per promuovere la legalità, per fare anche dei piccoli paesi e delle periferie delle grandi città dei centri dove si impara a parlare, a confrontarsi, a raccontarsi, ad affrontare i problemi invece che affogarli nell’alcool e nella droga?
Ha un piano di rinascita o preferisce dare uno stipendietto a tutti, stipendietto che finirà presto nelle slot machines col bollo statale a cui hanno appena sollevato l’aliquota di prelievo erariale? Nel 2016 in Italia si sono spesi 96 miliardi di euro alle macchinette, pari alla spesa per l’Istruzione. Quanto ha guadagnato lo Stato? Circa 20 miliardi.
Perché se per voi è normale che una ragazzina di 16 anni vada a bucarsi a mezzanotte in un palazzo fatiscente covo di pusher, per me non lo è.
Se per voi è normale che una ragazzina di 17 anni, offesa perché colui che le aveva venduto degli spinelli, bussa alla porta di casa a chiedere i soldi, scatenando l’ira vendicatrice degli amici, per me non lo è.

Ma non ditemi che è un problema di “sporchi negri”, per favore. Il problema è molto più serio e tragico, ahimé, e nessuno, tra quelli che dovrebbero e potrebbero fare qualcosa, sembra accorgersene. Anzi, proprio loro alimentano la paura del nero, e in questo dimostrano di essere sporchi bianchi. Non la sentite come un’offesa vero? Male.







Once more I could lift you strong
Out of the loneliness
And the emptiness
Of the days

mercoledì 19 settembre 2018

Io non so in quale modo - poesia


Io non so in quale modo
ti riconoscerò quando verrai.
Sarà forse perché il sole ingiallirà l’aurora
sorgendo da ovest
o per il rossore del cielo
al fondo della notte?
O non piuttosto perché l’erba 
crescerà rigogliosa sul ciglio della strada
con qualche papavero
e spruzzi di margherite 
che odorano come animali quando piove
e la comunissima camarezza sparsa ovunque
come ad ogni primavera
e le tue mani mi daranno carezze
a lungo attese e mai meritate.

(18 settembre 2018, 00.20)









venerdì 24 agosto 2018

Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te

Mi piacerebbe che entrando in parrocchia i parrocchiani trovassero scritte a caratteri cubitali le parole che John F. Kennedy pronunciò il giorno del suo insediamento come presidente degli Stati Uniti d’America: “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”.
Che smettessimo di pensare alla nostra parrocchia come un supermercato o uno sportello di servizi dove acquistare la Messa, il certificato, il catechismo, il battesimo per mio figlio, il funerale per la nonna.
La parrocchia non è un supermercato e non è uno sportello bancomat, è una comunità. San Paolo parla della Chiesa come di un corpo, composto di molte membra, nel quale evidentemente ognuno ha un suo compito specifico... in fondo anche il sedere serve... a sedersi!
Se fossi parroco cercherei di impegnarmi perché tutti potessero trovarsi bene, a proprio agio in parrocchia, in chiesa, alla Messa e nelle varie attività di culto e non.
Ma non vorrei mai che questo diventasse un coccolarci tra di noi, un farci le fusa a vicenda, ma piuttosto diventasse un trampolino di lancio (“Guardate come si amano!”), perché usciti fuori tutti diventassimo missionari, in famiglia, a lavoro, a scuola, nella società: impegnati a portare Cristo al Mondo, per le strade.
Per troppo tempo abbiamo inteso la fede come fonte di benessere personale, la Messa come un momento in cui mi estraneo dalla realtà, le feste come occasioni per stare insieme.
Ma la fede è un modo diverso di guardare il mondo, la realtà, la storia, gli uomini, e quindi è un modo diverso di vivere, semplicemente.
Di coloro i quali Gesù ammira la fede nei vangeli, in fondo, cosa ammira? Ammira che sono capaci di vedere l’invisibile: la guarigione nella malattia, la vita nella morte, Dio in lui.
Dunque mi piacerebbe che la smettessimo di pensare a come fare per essere visibili, a fare attività, eventi, cose.
Essere cristiani implica prima di tutto che nello spazio delle mie relazioni io mi riconosca prossimo di chi mi sta attorno, e se io mi riconosco prossimo, non mi chiedo: “Cosa può (o peggio cosadeve) fare la mia parrocchia per me”, ma piuttosto: “Cosa sono disposto a fare per la mia parrocchia?”
Il che non significa che tutti devono diventare catechisti, o cantori, o responsabili di non so quale sottogruppo.
Ma che tutti si sentano responsabili, che nessuno pensi che la parrocchia è un distributore di sacramenti o altro.
Tutti sono bene accetti, anche quelli la cui motivazione non fosse così limpida: ma proprio questi, nell’entrare in parrocchia, dovrebbero percepire che si vive in un modo diverso, che questa parrocchia è diversa, che qui non ci si sfrutta, non si prevarica, non si gioca a farsela pagare o a creare tensioni inutili, non ci si ritaglia il proprio angolo di potere.
Allora forse, anche chi è venuto soltanto a cercare un un “servizio” potrebbe essere attirato da un modo diverso di vivere, e potrebbe cominciare a chiedersi: “Cosa posso fare io per la mia parrocchia?”.
Questa domanda diventerebbe presto più grande: “Cosa posso fare io per la Chiesa?” e poi “Cosa posso fare io per il mondo?” e infine: “Cosa posso fare io per il regno dei cieli?”.
E qui non si finirebbe più di essere creativi, di vivere il Vangelo, di farlo conoscere fino agli estremi confini della terra.
Fino ad allora faremo tante cose, Messe, processioni, sacramenti, funerali, feste, oratori.
Ma saremo solo uno sportello di servizi. E mi pare che Gesù guardasse un po’ più avanti, quando chiamò i suoi discepoli “perché stessero con lui e anche per inviarli a predicare”.

martedì 21 agosto 2018

Secondi vespri dell’Assunta


Le balle di foraggio
ancora sparpagliate per le campagne
perché non riescono a starci dietro
- ha piovuto incredibilmente tanto in questi mesi
sembra la Svizzera non la Sardegna -
il cielo stasera è terso
l’aria frizzante
l’antica melodia che canta
Spezza i legami agli oppressi
mostrati Madre per tutti
donaci giorni di pace
veglia sul nostro cammino”.

E intanto crollano
ponti, e tanti schiacciati
dal peso del cemento armato
e della vita.

E la Morenita che dice a Juanito: 
No estoy yo aqui que soy tu madre?”
due persone fatte diminutivi
mentre tutti cercano sempre il top, 
come lo chiamano all’americana.

Fa’ che vediamo il tuo Figlio”:
un anziano che ancora scatta foto alle feste
per averne un ricordo, lungo o breve non si sa.
Un vecchio prete
settant’anni di Messa
che ammicca alla vecchiaia e tira dritto.

Al cancello, Biondo attende fedele
il mio ritorno 
e lecca la mano che apre il lucchetto.

E in tutto questo viavai di sguardi
che cercano d’intercettare un senso alle cose
ai cuori che s’intrecciano
ai pensieri inconfessati:
Rendi innocenti i tuoi figli”.

(sulla strada Zeppara-Mamre, 15 agosto 2018 alla sera)

lunedì 30 luglio 2018

Preti tra passato e presente/2


Gli scandali che coinvolgono i preti, i vescovi e i cardinali non hanno mai fine, soprattutto d’estate.
È bene che emergano comportamenti sbagliati e comportamenti criminali (che comunque non sono la stessa cosa), ed è bene che chi compie dei reati subisca regolari processi penali e canonici.

Quasi sempre tali scandali attengono a questioni affettive-sessuali, certamente perché la sessualità ha in sé una forza che pervade la persona umana in tutti i suoi aspetti, e che richiede equilibrio per essere condotta nell’alveo dell’affettività, e per non travalicare in comportamenti lesivi della dignità altrui (oltre che della propria).
La sessualità staccata dall’affettività diventa molto problematica, tanto più in una vita celibataria, dove si pensa, e spesso si vive, come se l’affettività non debba essere esercitata in nome di una presunta consacrazione a Dio.

Spesso i seminari sono accusati di sfornare preti problematici, che una volta diventati tali fanno cose che non devono fare: emergono comportamenti non consoni alla vita del prete, talvolta sfociano in veri e propri comportamenti sviati. E questo vale sia per gli eterosessuali che per gli omosessuali, anche se in questi ultimi decenni certamente gli scandali maggiori si sono avuti in ambito omosessuale.
A me pare che uno dei grossi limiti della formazione al sacerdozio oggi sia rappresentato ancora dalla demonizzazione dell’omosessualità.
Dunque chi è “furbo” la nasconderà per non essere cacciato e diventerà prete, e farà casini; chi è “sano” la nasconderà comunque per non essere cacciato e diventerà prete, ma sempre con qualcosa di non risolto. Mi pare ovvio che se anche uno volesse esplicitare questa sua realtà ai formatori, si bloccherà per paura di essere cacciato e di interrompere così il suo percorso seminaristico.

Inoltre mi pare non funzioni molto bene l’immissione nel presbiterio: un tempo un prete novello andava a vivere in canonica con il parroco, o prendeva una stanza a pigione in una famiglia, oppure aveva una sorella nubile (“zitella”), o la madre, o una zia, con le quali condivideva la vita quotidiana, e quello che poteva sembrare un limite (e talvolta lo era), era comunque un segno di “normalità” di relazioni: almeno c’era qualcuno che ogni tanto ti mandava a quel paese!
Oggi, con la diminuzione del clero, e con la disponibilità di canoniche rinnovate e confortevoli, usciti dal seminario, da una comunità di dieci, trenta, cinquanta o duecento seminaristi, si diventa immediatamente single.
Cosa volete che faccia un ragazzo di 25 anni (ma anche un uomo di 40) quando chiude la porta della chiesa di Rocca Fiorita con le sue 418 anime?
A meno che non si tratti del Santo Curato d’Ars, avrà molto tempo a disposizione in una società dove basta una chat per allontanarsi.

Io vedrei bene dunque che si riformulasse soprattutto l’immissione nel presbiterio: piccole comunità di tre-quattro preti, un giovane, un mediano e uno o due anziani. I pasti in comune, un momento di condivisione di preghiera nella giornata, e poi certamente ognuno ai propri posti di combattimento, con la gestione di un gruppo di parrocchie, un piccolo territorio o chessò io.
Utopia? Forse sì.
Ma chi sa proporre ricette che funzionano?
Il problema è che spessissimo i preti novelli non vogliono sentire parlare di vita comunitaria perché hanno stufato il seminario. I preti che hanno già una certa età non hanno voglia di mettersi in casa altri che turbino la loro autonomia, e i preti anziani spesso si lamentano di non essere coinvolti nella vita pastorale, ma sono comunque impostati nel senso di una vita totalmente solitaria.
Voi direte: ma con tutti i problemi di chi si sposa, di chi non trova lavoro, la Chiesa deve pensare ai preti novelli? Sì, ci deve pensare, e anche seriamente.


Propongo queste letture:
Fr. MichaelDavide, Preti senza battesimo? Una provocazione, non un giudizio, San Paolo 2018;
J. Mercier, Il Signor Parroco ha dato di matto, San Paolo 2017.

venerdì 27 luglio 2018

Dichiara pace

Una bellissima e intensissima poesia di Mary Oliver. Da declamare e respirare!

Dichiara pace con il tuo respiro.
Inspira uomini d’arme e d’attrito, espira edifici interi e stormi di merli dalle ali rosse.
Inspira terroristi ed espira bambini che dormono e campi appena falciati.
Inspira confusione ed espira alberi di acero.
Inspira quanto è caduto ed espira amicizie di tutta una vita ancora intatte.
Dichiara pace con il tuo ascolto: quando senti sirene, prega ad alta voce.
Ricorda quali sono i tuoi strumenti: semi di fiori, spilli da vestiti, fiumi puliti.
Prepara una minestra.
Fai musica, impara come si dice grazie in tre lingue diverse.
Impara a fare la maglia, e fai un cappello.
Pensa al caos come mirtilli che danzano,
immagina il dolore come l’espirazione della bellezza o il gesto del pesce.
Nuota per andare dall’altra parte.
Dichiara pace.
Il mondo non è mai apparso così nuovo e prezioso.
Bevi una tazza di tè e rallegrati.
Agisci come se l’armistizio fosse già arrivato.
Non aspettare un altro minuto.


Jean Antoine Theodore de Gudin, Il sacrificio del capitano Desse

Preti tra passato e presente


Nel suo splendido Diario di un parroco di campagna, Bernanos fa dire all’anziano Curato di Torcy: «Adesso i seminari ci mandano dei chierichetti, dei piccoli vagabondi che si immaginano di lavorare più di tutti perché non vengono a capo di nulla. Invece di comandare, piagnucolano»: le lamentele dei preti più anziani nei confronti dei giovani son sempre esistite e lasciano il tempo che trovano.
Non si tratta neppure di contrapporre lefebvriani a progressisti (conosco ottimi preti che indossano sempre la veste, e pessimi in jeans e maglietta, e viceversa).
Si tratta di provare a capire che viviamo in un altro mondo, mentre continuiamo a perpetuare stili che non funzionano, non volendo accettare che la forma dell’essere presbitero e del presbiterato è cambiata in questi duemila anni.


Per esempio: cosa aggiunge alla fede oggi una processione fatta in mezzo alle campagne portando il simulacro di un santo da una chiesa a un’altra?
Un tempo, quando la gente custodiva e alimentava ancora una visione sacra della vita e del corso delle stagioni, ciò era comprensibile: non erano più ignoranti di noi, tutt’altro! Ma semplicemente vivevano più vicini a nostra sorella natura. Oggi che abbiamo quasi del tutto abolito una visione sacra del ciclo naturale della vita (umana in primis, ma anche animale e vegetale) queste “manifestazioni” attirano al massimo l’obiettivo di turisti giapponesi: lunghe sfilate di belle ragazze in costume sardo, coperte dalla testa alle caviglie, e di uomini che le accompagnano indossando abiti da pastori e contadini di un tempo, quando oggi la moda impone piuttosto che la donna si scopra, mentre pochissimi giovani ormai in Sardegna lavorano le campagne.
Cosa ci dice questo?
Che noi promuoviamo manifestazioni folkloristiche (il che va bene: l’importante è esserne consapevoli!), illudendoci che si possano evangelizzare. Scambiamo la cultura per il cristianesimo e pensiamo di fare un’esperienza di fede evangelica e cristiana.
Se non comprendiamo che il prete viene fuori da e si inserisce in questo contesto, in questo mondo, in questo popolo, se perdiamo di vista cioè l’incarnazione, stiamo diventando marziani.
È necessario puntare maggiormente sulla Parola di Dio: c’è ancora troppa ignoranza nel nostro popolo e anche nei nostri presbitèri.
Ovviamente non bisogna temere di restare in pochi: non per diventare un’élite radical chic, ma per tornare a essere significativi, a suscitare nella gente interrogativi sul senso della vita, che possano aprire la strada all’evangelo e dunque a Gesù Cristo e alla Chiesa.
Le folle, lo sappiamo, non sono un grande esempio nei vangeli.
Consiglio alcune letture che potrebbero far bene:
T. CITRINI, Presbiteri e presbiterio, Ancora Editrice (finora sono usciti quattro volumi fino all’XI secolo)
T. FRINGS, Così non posso più fare il parroco. Vi racconto perché, Ancora, Milano 2018;

E, solo per stomaci forti, la visione della serie TV (anche in DVD) di Paolo Sorrentino, The Young Pope.


domenica 22 luglio 2018

Pensieri sul Vangelo della XVI domenica per annum


Mi colpisce sempre l’atteggiamento di Gesù nei confronti della folla che lo segue: ne ha compassione perché sono come pecore senza pastore. Le pecore, lasciate a se stesse, si disorientano, difficilmente riescono a tornare da sole all’ovile, sono facili a smarrirsi e diventano preda dei lupi.
Dunque non hanno bisogno soltanto di pascoli ubertosi e acque tranquille, ma anche di qualcuno che ce le porti, che mostri la via. Hanno bisogno di trovare il senso al loro vagare.
Anche noi siamo così: banalmente si pensa che l’uomo abbia bisogno soltanto del cibo, della salute, del lavoro, della sicurezza. Ma se non conosco il senso, la direzione, il destino della mia vita, che me ne faccio di tutto questo? Ecco perché, commuovendosi per la folla, Gesù non compie miracoli, non fa guarigioni, non libera dai demoni, ma insegna loro molte cose.
Il vangelo non ci trasmette il contenuto di questo insegnamento, ma non è fondamentale. Conta rilevare ciò che egli fa: parla loro, cioè li umanizza, egli che è il Logos crea legami parlando (logos), perché essi si innalzino dalla sfera puramente animale che tutti ci accomuna, quella dei bisogni primari. Solo allora soddisferà anche la fame della loro pancia.
Questa è la pedagogia di Gesù: offrire un senso, una direzione alla vita. Ed egli lo fa rendendosi conto di chi ha davanti: prima i discepoli, affaticati per la missione, che non hanno neppure il tempo di mangiare, e che invita a riposarsi lontano dalla folla (ci sarebbe molto da dire sulle pretese della folla e sul desiderio di immolazione dei preti...). Poi la folla, che egli vede, e della quale scorge il bisogno profondo e non soltanto l’ansia superficiale.
Allenarsi ad avere lo sguardo di Gesù sulle persone, per offrire in lui senso alla vita.

domenica 1 luglio 2018

Erano lacrime mie sul Corriere della sera

Oggi su La Lettura, inserto culturale del Corriere della Sera, Franco Manzoni scrive su Erano lacrime mie

mercoledì 20 giugno 2018

sabato 16 giugno 2018

Redenzione (…continuazione)



La redenzione
me l’immagino
come la pioggia:
lo scendere lento
sull’asfalto lascia pozzanghere.
Ma ho visto una volta
un ficodindia ch’è nato
s’una grondaia.
(Era un palazzo popolare
davanti al mio vecchio seminario.
E quando ripasso là davanti
mi commuovo ogni volta
per quest’ostinazione gratuita di Dio.)

(Guspini-Terralba, 12 gennaio 2008, h 13)


...il seme germoglia e cresce. 
Come, egli stesso non lo sa. 
Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, 
poi la spiga, 
poi il chicco pieno nella spiga; 
e quando il frutto è maturo, 
subito egli manda la falce, 
perché è arrivata la mietitura

venerdì 15 giugno 2018

Prossimo ritiro Alle Querce di Mamre - 1° luglio 2018




INFORMAZIONI:
Il ritiro è rivolto a quanti desiderano approfondire la Parola di Dio, 
laici, religiose, presbiteri.

Per esigenze organizzative è indispensabile iscriversi alla giornata telefonando (a partire dal 18 giugno) al 340 123 9428 dal lunedì al venerdì dalle 20:00 alle 21:30.

PROGRAMMA:
Ore 10:30 – Meditazione
Ore 12:00 – Eucaristia
Ore 13:00 – Pranzo (al sacco)
Ore 15:00 – Meditazione e condivisione
16:30 – Conclusione

PROSSIMO RITIRO: 9 settembre 2018

Terrà le meditazioni don Marco Statzu


mercoledì 30 maggio 2018

Quali sono le tue lacrime?




"Erano lacrime mie" è la mia nuova semina di poesie, uscita per i tipi della Graphe.it di Perugia e disponibile in tutte le librerie e librerie online.


giovedì 24 maggio 2018

domenica 20 maggio 2018

Perché abbiamo ancora bisogno delle fiabe


Harry e Meghan si sono sposati.
In questo matrimonio ci sono tutti gli elementi delle fiabe che si rispettino: una Cenerentola (la mamma di Meghan è nera) plebea, fratell(astr)i invidiosi, un padre profittatore...
E ancora: il principino, secondogenito della Principessa Diana morta troppo giovane.
E poi: un predicatore nero che davanti alla più anziana e blasonata regina vivente del fu Impero britannico afferma col sorriso e coi suoi modi tipicamente americani: “Quando viviamo con amore, ci trattiamo l’un l’altro come se fossimo in realtà una sola famiglia. Quando viviamo con amore, sappiamo che Dio è l’origine di tutti noi, e che siamo fratelli e sorelle, figli di Dio.”.
Cioè: niente re o regine, ma solo fratelli e sorelle, figli di Dio! Come a dire: attenti che l’unico re che conta non sei tu!
Una predica che cita gli spiritual degli schiavi americani, davanti a quelli che sono i discendenti dei nobili e dei ricchi che sulla schiavitù avevano costruito il loro impero economico e finanziario (vedere il bellissimo film Amazing grace per credere).
Immagine tratta da https://abcnews.go.com

Insomma: abbiamo bisogno delle fiabe. E pazienza per tutti i moralisti che, come cantava Rino Gaetano sono sempre presenti: "Chi è morto d'invidia o di gelosia"! 
La tristezza di questo mondo sta anche nel fatto che il nostro immaginario collettivo si è notevolmente ridotto, che non ci identifichiamo più in un principe e una principessa, nei loro nobili sentimenti, nei valori della cavalleria, nell’eternità dell’amore.
Al massimo vorremmo vincere al Grattaevinci e fregarcene di tutto e di tutti.
Già Chesterton lo affermava: I bambini non vogliono sentirsi dire che i draghi esistono, essi lo sanno già. Le fiabe raccontano ai bambini che arriva il cavaliere valoroso che uccide il drago cattivo e libera la principessa!
E la grandissima Cristina Campo notava: «La caparbia, inesausta lezione delle fiabe è dunque la vittoria sulla legge di necessità, il passaggio costante a un nuovo ordine di rapporti e assolutamente niente altro, perché assolutamente niente altro c’è da imparare su questa terra» (Gli imperdonabili, Della fiaba).
Opera di S. Piras
Davvero solo questo c’è da imparare sulla terra: che non importa che tu sia nato nero, che tu sia nato svantaggiato, con un handicap, che tu appartenga a una minoranza sociale a causa del sesso, della lingua, della cultura, che sia omosessuale nei paesi islamici, donna in una società sessista e machista, che tu sia diventato un peccatore incallito: le fiabe ci raccontano la vittoria sulla legge di necessità. Tu puoi diventare altro da quello che sei o sei valutato dalla maggioranza. 
In un tempo in cui rischiamo che i figli degli operai diventino a loro volta operai per legge di necessità (e non perché vogliono diventare operai), o i figli dei disoccupati perpetuino il destino dei loro genitori, abbiamo quantomai bisogno delle fiabe, fossero anche quelle del principino inglese e della sua consorte afroamericana.
Opera di S. Piras
Ed è necessario che ci impegniamo per combattere, sempre e comunque, la legge di necessità che opprime ancora tante persone nel mondo, con la forza dell’amore, quella che fa puntare i fiori verso l’alto, e fa cercare loro il sole, non importa quanto profondamente siano ficcate in terra le loro radici.

Qui di seguito l'omelia del vescovo Michael Curry al Royal Wedding in una mia traduzione italiana un po' approssimativa. 
La versione originale si trova qui:
https://www.episcopalchurch.org/posts/publicaffairs/presiding-bishop-currys-sermon-royal-wedding (ringrazio Alessio per la collaborazione nella traduzione italiana)


Immagine tratta da https://abcnews.go.com

Dal Cantico di Salomone:
"Mettimi come sigillo sul tuo cuore
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore
tenace come il regno dei morti è la passione.
Le sue vampe sono vampe di fuoco
una fiamma divina!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo." (Ct 8,6-7)

Martin Luther King disse una volta, e cito:
"Dobbiamo scoprire la forza dell'amore,
la forza redentrice dell'amore.
E quando la scopriremo, saremo in grado di fare di questo vecchio mondo
un mondo nuovo. L'amore è l'unica strada."
C'è forza nell'amore. Non sottovalutatelo. Non sentimentalizzatelo troppo. C'è forza, c’è forza nell’amore. Se non mi credete, pensate al momento in cui vi siete innamorati: il mondo intero sembrava girasse intorno a voi e alla persona che amavate.
Oh, c'è forza, c’è forza nell’amore. Non solo nelle sue forme romantiche, ma in ogni forma, in ogni tipo di amore.
Succede qualcosa quando siete amati, e lo sapete, quando qualcuno si prende cura di voi e lo sapete, quando amate e lo dimostrate: in realtà state bene! 
C'è qualcosa di giusto in questo. E c'è una ragione per tutto ciò.
La ragione ha a che fare con la fonte. Siamo stati creati da una forza d'amore. E le nostre vite erano pensate e sono pensate per essere vissute in quell'amore. Ecco perché siamo qui. In definitiva la fonte dell'amore è Dio stesso. La fonte di tutte le nostre vite.
Come dice un antico inno medievale:
"Dove si trova il vero amore, lì c’è Dio" (Ubi caritas est vera, Deus ibi est)
La prima Lettera di Giovanni nel Nuovo Testamento dice così:
"Carissimi, amiamoci gli uni gli altri,
perché l'amore è da Dio;
Chiunque ama è nato da Dio
Chi non ama non conosce Dio
Perché Dio è amore" (1Gv 4, 4-8)
C'è forza nell'amore.
C'è forza nell’amore, una forza che aiuta e guarisce quando nient'altro può farlo.
C'è forza nell’amore, una forza che può sollevarci e liberarci quando nient'altro può farlo.
C'è forza nell’amore, una forza che ci mostra il modo di vivere!
"Mettimi come sigillo sul tuo cuore
come sigillo sul tuo braccio
Perché l’amore è forte come la morte” (Ct 8,6).
Ma l'amore non riguarda solo una giovane coppia.
Ora la forza dell'amore è dimostrata dal fatto che siamo tutti qui.
Due giovani si sono innamorati e noi siamo tutti qui!
Ma non è solo per una giovane coppia che noi ci rallegriamo.
C’è di più.
In un'occasione un dottore della legge chiese a Gesù di Nazaret di riassumere l'essenza degli insegnamenti di Mosè. E rileggendo e riprendendo le Scritture ebraiche in Deuteronomio e Levitico, Gesù disse: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, tutta la tua anima, tutta la tua mente e tutte le tue forze.
Questo è il primo e grande comandamento.
E il secondo è simile
Ama il tuo prossimo come te stesso”.
E poi nella versione di Matteo aggiunge:
Da questi due comandamenti, amore a Dio e amore per il prossimo, dipendono tutta la legge e i profeti”.
Tutto ciò che Mosè ha scritto, tutto ciò che si trova nei santi profeti, tutto ciò che si trova nelle Scritture, tutto ciò che Dio ha cercato di dire al mondo:
Ama Dio!
Ama il tuo prossimo!
E mentre fai questo, ama te stesso.
Qualcuno una volta ha detto che Gesù ha iniziato il movimento più rivoluzionario in tutta la storia umana. Un movimento fondato sull'amore incondizionato di Dio per il mondo. E un movimento che obbliga le persone a vivere quell'amore. E così facendo, cambia non solo le loro vite, ma la vita del mondo stesso.
Sto parlando di una certa forza.
Vera forza.
La forza di cambiare il mondo.
E se non mi credete, beh, c'erano alcuni vecchi schiavi in ​​America prima della Guerra Sudista, che hanno spiegato la forza dinamica dell'amore e perché ha il potere di trasformare. Lo hanno spiegato in questo modo - hanno cantato uno spiritual, proprio durante la loro prigionia. Uno in particolare che dice:
"C'è un balsamo in Galaad"
Un balsamo curativo, qualcosa che può rendere le cose giuste -
"C'è un balsamo in Galaad
Per guarire i feriti
C'è un balsamo in Galaad
Per guarire l'anima malata di peccato"
E una delle strofe spiega in realtà perché. Dice:
"Se non sai predicare come Pietro,
e non sai pregare come Paolo,
tu racconta l'amore di Gesù,
come è morto per salvarci tutti”
Oh, questo è il balsamo in Galaad!
Questo modo di amare, è la strada per vivere davvero! Loro lo hanno capito! È morto per salvarci tutti!
Non è morto per niente, poteva salvarsi!
Gesù non ha ottenuto un dottorato onorario per la morte! Non ne ha ricavato nulla! Ha rinunciato alla sua vita, ha sacrificato la sua vita per il bene degli altri, per il bene dell'altro, per la salvezza del mondo, per noi!
Ecco cos'è l'amore.
L'amore non è egoistico e egocentrico. L'amore può essere oblativo.
E così facendo, diventa redentore.
E questo modo di amare disinteressato, oblativo e redentivo, cambia la vita.
E può cambiare questo mondo.
Se non mi credete, fermatevi e pensate o immaginate.
Pensate e immaginate.
Bene, pensate e immaginate un mondo in cui l'amore fosse il modo di vivere.
Immaginate le nostre case e famiglie se l'amore fosse il modo di vivere.
Immaginate i quartieri e le comunità se l'amore fosse il modo di vivere.
Immaginate i nostri governi e nazioni se l'amore fosse il modo di vivere.
Immaginate gli affari e il commercio se l'amore fosse il modo di vivere.
Immaginate questo vecchio mondo stanco se l'amore fosse il modo di vivere.
Quando l'amore è la maniera di vivere altruista, oblativa, redentrice.
Quando l'amore è il modo di vivere, nessun bambino andrà mai più a letto affamato in questo mondo.
Quando l'amore è il modo di vivere, facciamo scorrere la giustizia come una corrente potente e la rettitudine come un ruscello sempre in movimento.
Quando l'amore è il modo di vivere, la povertà diventa un ricordo del passato.
Quando l'amore è il modo di vivere, la terra si trasforma in un santuario.
Quando l'amore è il modo di vivere, le nostre spade e i nostri scudi vengono seppelliti nelle profondità del fiume e non studieremmo più le guerre.
Quando l'amore è il modo di vivere, allora c’è molto spazio. Molto spazio per tutti i figli di Dio.
E quando l'amore è il modo di vivere, ci trattiamo l'un l'altro - beh, come se fossimo in realtà una sola famiglia.
Quando l'amore è il modo di vivere, sappiamo che Dio è l’origine di tutti noi, e che siamo fratelli e sorelle, figli di Dio.
Cari fratelli e sorelle, questi sono i cieli nuovi e la terra nuova, un mondo nuovo!
Una nuova famiglia umana.
E lasciatemi dire che il vecchio Salomone aveva ragione nell'Antico Testamento: l’amore è fuoco.
Il gesuita francese Teilhard de Chardin fu probabilmente una delle più grandi menti, uno dei più grandi spiriti del XX secolo. Un gesuita, un prete cattolico, uno scienziato, uno studioso, un mistico. A partire dal suo retroterra scientifico, oltre che da quello teologico, in alcuni dei suoi scritti ha detto, come anche altri, che la scoperta, l'invenzione o l'uso del fuoco sono state una delle più importanti scoperte scientifiche e tecnologiche di tutta la storia umana.
Il fuoco in larga misura ha reso possibile la civiltà umana.
Il fuoco ha permesso di cucinare il cibo e di fornire modi igienici di mangiare, riducendo allo stesso tempo la diffusione delle malattie.
Il fuoco ha reso possibile riscaldarsi e riscaldare gli ambienti e quindi ha reso possibile la migrazione umana in tutto il mondo, anche nei climi più freddi.
Il fuoco lo ha reso possibile - non ci sarebbe stata un'età del bronzo senza fuoco. Nessuna età del ferro senza fuoco. Nessuna rivoluzione industriale senza fuoco.
I progressi della scienza e della tecnologia dipendono fortemente dall’abilità e capacità umana di prendere il fuoco e usarlo per il bene dell’umanità.
Qualcuno è arrivato qui in macchina oggi? Un'automobile?
Annuisca con la testa chi l'ha fatto, immagino, so che c'erano alcune carrozze.
Per quelli di noi che sono arrivati in auto, il fuoco e il fuoco controllato e imbrigliato hanno reso possibile ciò.
So che la Bibbia dice, e io ci credo, che Gesù camminò sulle acque, ma devo dirvelo, non ho camminato sull'Oceano Atlantico per arrivare qui!
Il fuoco controllato dell’aereo mi ha portato qui!
Il fuoco ci permette di inviare messaggi e tweet, e-mail, Instagram e Facebook e di essere socialmente connessi l'uno con l'altro!
Il fuoco rende possibile tutto ciò!
E Teilhard de Chardin ha detto che il fuoco è stata una delle più grandi scoperte di tutta la storia umana. E poi ha continuato dicendo che se l'umanità usasse di nuovo l'energia del fuoco, se l'umanità catturasse l'energia dell'amore, sarebbe la seconda volta nella storia che scopriremmo il fuoco.
Il dottor King aveva ragione: dobbiamo scoprire l'amore.
La forza redentrice dell'amore.
E quando lo faremo, faremo di questo vecchio mondo un mondo nuovo.
Fratello mio, sorella mia,
Dio ti ama, Dio ti benedice.
E che Dio ci tenga tutti nelle sue onnipotenti mani d'amore!