lunedì 26 giugno 2017

Voi valete più di molti passeri

Sono nati oggi alle Querce di Mamre, sgusciati dall'uovo, non ancora dal nido. Hanno sempre la bocca spalancata, anche se ancora non sanno cinguettare. Sono ciechi e implumi. Ma la loro mamma sa di cosa hanno bisogno anche se non cinguettano, non vedono e sono bruttini. E fa la spola per portare loro da mangiare.
Anche il passero trova la casa, la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari Signore Dio...
Due passeri non si vendono forse per un soldo?
Ebbene, neanche uno di loro cadrà senza il Padre vostro!
Voi valete più di molti passeri!





domenica 25 giugno 2017

Non è una religione per l’estate

Sardegna - Costa Verde - Piscinas
Le nostre parrocchie si spopolano d’estate. La nostra è una religione del maltempo (e neanche troppo, perchè poi se piove... non si può uscire di casa!).
Ma hanno ragione: almeno da noi in Sardegna, con un mare così, con temperature come quelle di oggi... dove vuoi andare se non al mare? Per tutti quelli – e sono la maggioranza! – che non hanno ferie, la domenica resta l’unico giorno in cui condividere il riposo con la famiglia. Ricordo bene che da piccoli mio padre ci caricava sul 127 celeste, poi misteriosamente trasformatosi nella fortunatissima Arna dell’Alfa Romeo: Mamma, Babbo e noi quattro dietro. Ombrelloni, frigo, asciugamani e via al mare tutta la domenica.
Allora ricapitoliamo: non è una religione per l’estate. Non dovrebbe esistere questa stagione che svuota le parrocchie, non dovremmo neanche avere un mare così bello, a dirla tutta, non dovrebbero neanche esistere le automobili che facilmente corrompono giovani e non, spingendoli ad allontanarsi dal paese per svagarsi.
Non dovrebbe esistere nulla. Solo la casa e la chiesa.
E poi entra una signora in sacrestia e mi conferma: «Sia lodato Gesù Cristo!». E io prontamente: «Sempre sia lodato!». E lei: «Oggi non si saluta più così». E a me che piace la logica sorge spontaneo dire: «Ma Signora, lo abbiamo appena fatto! A meno che lei non stesse scherzando...».
Ecco qui. A meno che lei non stesse scherzando. Le nostalgie dei bei tempi che furono, il fare qualcosa oggi solo perchè si faceva un tempo, e com’era bello, ma ora non le fa più nessuno...
E però qualcuno le fa... Piccolo resto d’Israele estivo. E perbacco, se gli Ebrei avessero saputo che c’era Sharm el Sheik così vicino, chissà se sarebbero partiti a fare quarant’anni di deserto.
La verità è che la libertà attira solo quando non ce l’abbiamo, e neanche sempre.
Datemi una leva e solleverò il mondo. Archimede lo aveva capito, accidenti. Lui stava sempre dentro il suo studio a lavorare, se fosse andato al mare invece che esser rimasto a cercare di risolvere un problema, non l’avrebbero ucciso di spada.
Pensieri sparsi e confusi, lo ammetto, fa caldo anche qui.
Poi vedo in TV Paolo Brosio che parla di Medjugorie con un certo Marco Tozzi, che dev’essere uno scienziato e ricercatore del CNR, divulgatore scientifico, e mi sento solidale con Brosio, che si alza e s’infervora e mantiene tuttavia una calma olimpica, quando l’altro ridacchia mentre lui parla di frati bosniaci arrestati e torturati, e dice che due milioni di persone vanno a Medjugorie e tornano cambiate, come è successo a lui non per i miracoli o le visioni, ma nel cuore (e davvero Brosio è cambiato! Altrochè, andate a vedere chi era prima...) . E dice ancora cosa lapalissiane: «Anche i bosniaci devono mangiare. Certo che è giusto pagare un albergo o un ristorante, o una guida specializzata che ti fa visitare in lungo e in largo i luoghi delle apparizioni».
Roma - Basilica di Santa Maria Maggiore
Del resto, se vai in Costa Smeralda dai da mangiare all’Aga Khan, il quale non disdegna. Pecunia non olet. E se vai a Roma trovi millemila case vacanze (per carità non chiamiamole alberghi!) che danno da mangiare a frati e suore, i quali ormai sono invecchiati e non hanno più vocazioni. E con i ricavi di quelle ospitalità forse aiutano ancora qualche missionario in Africa.
Eh, la vita è complicata, signore e signori. Siamo partiti da una chiesa vuota per arrivare all’Africa.
Perchè il cristianesimo da molti è visto come la religione del “no”, del “non più”, come una fede che dev’essere totalmente disincarnata, che non deve comprare ristoranti, alberghi, che non deve girare in suv. Salvo poi quando si fa troppo spirituale da credere nei miracoli, allora bisogna ritornare coi piedi per terra, perbacco!
Ma insomma, decidetevi: dobbiamo avere i piedi per terra o dobbiamo essere mistici?
E allora, in questa calura estiva, io non mi sento di giudicare chi oggi ha deciso di andare al mare. Il mare è bello, l’ha fatto Dio il terzo giorno, appena dopo aver acceso la luce.
Da noi poi il mare è ancor più bello. E allora lo confermo anch’io, che devo indossare camice e casula, e Dio solo sa quanto odio i bizantini (quelli antichi) per averci trasmesso questi paramenti: la nostra non è una religione per l’estate.
E il cerchio si chiude, amici miei.
Ah, dimenticavo: ma in tutto questo, Gesù che dice?
«Non temete, persino i capelli del vostro capo sono contati, e voi valete più di molti passeri!»
C’è un mistero d’amore persino sul mio cuoio capelluto. C’è un mistero d’amore che mi riguarda persino quando vedo stormi di passeri. Non dovrò dimenticarlo quando i miei capelli cadranno per una chemio o i miei occhi si spegneranno per la cateratta. Perché allora son sicuro che temerò, e quindi avrò bisogno di non temere.
Ma dove lo trovate un Dio così, che anche quando fa caldo, continua a presentarsi umilmente sull’altare per donarsi a noi? 


martedì 20 giugno 2017

Una Chiesa povera e per i poveri

Oggi a Bozzolo il Papa ha ricordato don Primo Mazzolari (clicca qui per leggere il suo discorso), pregando sulla sua tomba e presentandolo come esempio a tutti, specialmente ai preti (lo stesso messaggio ha ribadito a Barbiana su don Lorenzo Milani).
Sono contento di queste sue parole, perchè questi due preti sono stati e sono per me molto importanti.
Domenica 2 luglio farò un ritiro con i laici dal titolo: Una chiesa povera e per i poveri



sabato 17 giugno 2017

Sardara - Omelia per la solennità del Corpus Domini e Festa di Sant'Antonio da Padova

Inizia l’estate, questo tempo di caldo e di arsura, tempo di vacanze, ma anche tempo in cui la terra produce tanti frutti.
Lisbona - Casa natale di Sant'Antonio
In questa domenica celebriamo anche la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, e qui a Sardara anche la festa di Sant’Antonio, che dell’Eucaristia fu celebrante devoto e instancabile predicatore.
La preghiera di colletta di questa domenica, preghiera che raccoglie attraverso le parole del sacerdote tutte le nostre preghiere era un’invocazione al Padre perchè ravvivi in noi il desiderio di lui.
E qui siamo portati allora subito a pensare: con quali desideri siamo venuti oggi a celebrare il Corpus Domini e la festa di Sant’Antonio?
Quali desideri portiamo nel cuore, forse non completamente trasparenti quando veniamo a celebrare l’Eucaristia?
Questa domanda è molto importante, perchè spesso rischiamo di venire a celebrare l’Eucaristia con altri desideri. E invece la liturgia ci invita a educare il nostro desiderio, perchè sia ravvivato l’unico desiderio importante, quello sorgivo, il desiderio di Dio.
Mi chiedo talvolta se questo desiderio sia ancora vivo in noi cristiani.
Infatti ogni desiderio nasce sempre da una mancanza: desideriamo il pane quando siamo affamati e l’acqua quando siamo assetati, come il popolo d’Israele nel deserto.
Lisbona - Luogo della nascita di Sant'Antonio

Ma oggi siccome abbiamo pane e acqua in abbondanza, difficilmente sperimentiamo il senso di fame. Forse qualcuno tra noi ha sperimentato in tempo di guerra la fame, ma oggi, perlomeno noi, non sappiamo cosa sia la fame.
E vedete, vorrei quasi dire che questo è un male, perchè la sazietà materiale porta spesso alla sazietà, o peggio alla nausea spirituale.
Il Libro del Deuteronomio ci ricorda invece cosa dice Mosè al popolo che sta attraversando il deserto:
«Ricordati di tutto il cammino che Dio ti ha fatto fare, per sapere cosa avevi nel cuore... Ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito con la manna e ha fatto sgorgare per te acqua dalla roccia».
È un invito a ricordare da dove veniamo, il cammino percorso, che è un cammino di liberazione dalla schiavitù. Cosa rimpiangeranno gli ebrei quando sono affamati? La condizione di schiavitù, perchè in Egitto almeno avevano da mangiare!
Ecco la fame, questo stimolo potente a interrogarci su cosa abbiamo dentro il cuore. Su cosa muove davvero le nostre azioni, le nostre preghiere, le nostre pratiche religiose.
Lisbona - Luogo della nascita di Sant'Antonio
È fame di Dio? O è abitudine, rassegnazione, tradizione...?
Così all’inizio della Messa abbiamo chiesto a Dio di ravvivare il nostro desiderio di Lui, perchè il nostro cuore possa sentire la nostalgia di Dio, la sua mancanza, possa sentire che nulla può colmarci se non l’intimità con lui, perchè il nostro cuore senta che nell’Eucaristia Cristo si dona a noi continuamente, e possa gioire di questo.
Poi la preghiera continuava, chiedendo a Dio, che è fedele, di sostenerci col sacramento eucaristico perchè possiamo fare un bel viaggio nella vita ed entrare nella gioia dei santi, tutti invitati alla mensa del regno.
E qui mi viene un’altra domanda.
Qual è lo scopo per cui veniamo a Messa e riceviamo la comunione?
La liturgia afferma che l’Eucaristia è sostegno della nostra vita fino a giungere in paradiso, alla comunione perfetta con Dio nella gioia dei santi.
Ma noi ci pensiamo mai che la nostra vita non è tutta qui?
Ci pensiamo mai che la nostra vita terrena un giorno finirà, e un giorno che non sappiamo?
Ci pensiamo che il Signore ci invita al banchetto del regno, che è un modo che la Bibbia ha per dire che ci offre la comunione piena, duratura, gioiosa con lui? Che incontrarlo sarà una festa? A patto che riconosciamo il suo Figlio e ci nutriamo di lui.
Ecco perchè l’Eucaristia è estremamente importante e non dovremmo allontanarcene facilmente: perchè essa ci conserva in vita!
Se non facciamo comunione con il Figlio, siamo destinati a perire.
Questo non è prima di tutto l’annuncio dell’inferno. È piuttosto l’invito alla comunione con il Padre. Come possiamo incontrare Dio?
Il vangelo di Giovanni in questo è chiarissimo: nutrendoci di Cristo nell’Eucaristia.
Questo significa allora che non c’è altro modo per incontrare Dio?
No, non c’è altro modo ordinario. Ci sono modi straordinari, quelli che conosce solo Lui e che può suscitare nel cuore anche del peggior peccatore.
Ma se vogliamo seguire Gesù, se vogliamo essere una sola cosa con lui, formare un solo corpo con lui, e anche tra di noi, non ci sono altre strade: solo questa comunione ci fa uno con Lui e tra di noi, ci fa essere un solo corpo, pur conservando la nostra individualità. Non ci annulla, ma ci fa stare al nostro posto vero! Se ci rifiutiamo a questa comunione, come Cristo vivrà nel mondo contemporaneo? Siamo noi gli ostensori viventi di Cristo che camminano per il mondo.
Questa verità oggi talvolta è profondamente dimenticata: gli uomini e le donne di oggi non hanno tempo, si dice. Non hanno tempo. Ma il tempo non è eterno: a furia di usarlo per altro, il tempo si sciupa. Si perde.
Il tempo dell’Eucaristia è un tempo “morto” secondo il modo di pensare comune, tempo perso, perchè non si fa niente. Non parliamo poi dell’adorazione eucaristica.
La gente non ha tempo, spesso si predilige una Messa che dura poco, un prete che sia veloce, che si sbrighi.
Chi ha tempo per stare un po’ con Gesù?
Ma vogliamo stare con gli amici, con le persone care... perchè con Gesù no? Non abbiamo voglia di sentire la sua Parola, siamo distratti, facciamo di tutto durante la Messa, a volte anche noi preti devo dire non aiutiamo in questo...
Villacidro - S.Antonio - Infiorata per il Corpus Domini
Perché con Gesù abbiamo sempre fretta? Perché ci dà poca soddisfazione immediata, forse. Sì, dobbiamo dirlo con forza: l’Eucaristia non è un nostro fare, prima di tutto, ma un ricevere. Non dà risultati immediati. Perché stare con lui richiede pazienza, richiede tempo, richiede sforzo...
E allora noi riempiamo questo incontro di mille parole, di preghiere, di gesti. O preferiamo direttamente fare altro, attività, e diciamo addirittura che “viviamo tale attività o tal’altra” e invece non viviamo un bel niente e siamo vuoti, e al primo soffio di vento crolliamo. Non siamo stabili.
E lo spazio per lui? E lo spazio con lui?
Il tempo (e anche lo spazio) sono fatti in modo tale che è necessario un ritmo, un vuoto, una distanza. Apprezzo un abbraccio perché sono stato distante dalla persona che amo. Ma se la vita fosse tutta abbraccio soffocherei. Apprezzo un tempo pieno della presenza e della parola di una persona, perchè sono stato a lungo senza sentirla... ma se dovessi stare h24 con una persona, fosse pure colui che amo, ne avrei nausea!
Allora ritorno alla domanda iniziale: Con quale desiderio siamo venuti qui?
Forse il desiderio di una grazia per la quale sant’Antonio interceda, una preoccupazione, una paura, lo stato di salute di qualcuno che ci è caro. Non sono cose sbagliate in sé.
Però sarebbe brutto che quando pensiamo alla persona che amiamo, moglie, marito, figli, amici, pensassimo esclusivamente a quello che possono darci, al nostro tornaconto personale. È bello invece quando desideriamo loro, e non i loro doni per noi.
Allora oggi dobbiamo chiedere al Signore che ravvivi in noi il desiderio di lui, perchè tutto sia ricollocato nella giusta gerarchia, perchè tutto sia ricondotto alla fonte di ogni grazia.
Questa è stata l’esperienza di Sant’Antonio, che pur avendo vissuto una breve vita (morto a circa 36 anni), ha vissuto con il desiderio di Dio, e lo ha testimoniato agli altri.
«Cessino, vi prego le parole, parlino le opere», disse una volta sant’Antonio.
Questa possa essere anche la nostra vita, rinnovando la nostra devozione per lui, perchè ci porti ad amare Dio al di sopra di tutto, e ad amarci tra noi con cuore sincero.

Amen.

venerdì 16 giugno 2017

"Tolgono lo spazio ai nostri bambini per darlo a loro". Accadde oggi

Accade che il Comune richieda la disponibilità della Scuola Elementare a mettere a disposizione alcune aule per attivare corsi di alfabetizzazione per adulti e migranti nel quadro dei progetti REIS e SIA: in parole semplici “lo Stato” offre un contributo a famiglie in difficoltà economica, con l’impegno da parte dei componenti di attuare alcuni progetti, tra i quali anche quello del soddisfacimento dell’obbligo formativo – tra l’altro sancito dalla Costituzione Italiana, questa sconosciuta. Cosa mi pare sacrosanta, perché spinge all’impegno e ad arginare l’assistenzialismo e il clientelismo. 

Accade che, verificata la possibilità, la Scuola conceda tre aule in un’area non ristrutturata dell’edificio, che possono facilmente essere separate dal resto delle aule attraverso tramezzi, con ingressi separati, bidelleria separata, bagni separati. È giusto e doveroso non mischiare ambienti frequentati da adulti con ambienti frequentati da bambini.
Accade che genitori inferociti protestino contro “i negri, o come li volete chiamare!” (cliccare per credere). Alla risposta di un consigliere esterrefatto che dice: “Tutti piangete quando naufragano e muoiono nel Mediterraneo e ora qui non volete fare nulla”, una donna e madre, immagino (ah, non esistono più le mamme di un tempo, quelle che parlavano ai loro figlioli dei “bambini più sfortunati di te, quindi zitto e mangia la minestra!”), questa donna e madre dica fiera e incacchiata: “Io non piango! Che se ne rimangano a casa loro!”, che sembra una baionettata della Buonanima: “Me ne frego!”.
Un’altra, senza evidentemente conoscere il significato delle parole urli: “Sono clandestini!! Sono clandestini!!! Sono clandestini!!!!”, innalzando di volta in volta il tono, come Vivaldi fa nelle Quattro Stagioni (peccato che la musica sia stridula).
All’ancora più stravolto consigliere che cerca di ragionare: “Non avranno nessun contatto!”, un’altra voce si ode: “Tolgono lo spazio ai nostri bambini per darlo a loro”, (chi era quello che parlava di “spazio vitale”?), dimenticandosi che il calo demografico a picco in Sardegna ha liberato tante e tante aule ed edifici scolastici costruiti tra i ’70 e i ’90, quando si pensava che ci sarebbe stata un’invasione di cicogne.
E alla fine un’altra persona prospetta una soluzione abbastanza equa: “Teneteveli in Comune”. Eh sì, mi pare giusto.
Per finire, ciliegina sulla torta: “Temiamo per i nostri figli. Sono persone fuori di testa!” (ma il problema non era che erano adulti in prossimità di bambini?).
Accade questo nell’anno del Signore 2017 a Villacidro.
Persone che oltre che portare i figli a scuola (sperando che restino separati dai negri!) li portano anche a catechismo e a Messa, in maggioranza...

Ora alcune brevi considerazioni. Primo: Spesso le lezioni agli adulti si fanno alla sera (le cosiddette scuole serali). Non so se è questo il caso, ma si potrebbe pensare...
Secondo: questo progetto è fatto per villacidresi e non (che altrimenti, per usufruire dei redditi sociali dovranno andare ad assolvere l’obbligo formativo in altri paesi).
I migranti residenti nel Comune di Villacidro sono 84, su oltre 14000 abitanti: di cosa stiamo parlando?
Terzo (e per me più importante): l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è l’ignoranza. L’ignoranza uccide, soprattutto se è colpevole. Ora se questi pochi migranti presenti a Villacidro, come in ogni comune italiano (negri, o come li volete chiamare, clandestini) andassero a scuola, intanto occuperebbero il tempo in modo utile per loro e per tutti, poi imparerebbe la nostra lingua, i nostri costumi, la nostra storia, e forse farebbero meno paura, perché troveremmo finalmente, noi e loro, il modo di comunicare, di instaurare relazioni.
Quel che non si conosce provoca paura. Quindi converrebbe che a scuola, a scuola di relazioni, ci tornassero anche quei genitori così imbufaliti. Tristi i loro figli se vengono insegnate loro queste cose in casa. Poi si lamentano: “Ma mio figlio è egoista! Non mi aiuta mai in casa”. Sfido io! Per fare i lavori di fatica esistono i negri, dacché mondo è mondo!
Non so se si possa fare, ma suggerirei a questi genitori che – se le lezioni si tenessero negli stessi orari la mattina – provassero a condividere la merenda con loro, e magari a parlarci, a farsi raccontare e a raccontare la loro vita.

Scoprirebbero di essere persone anche loro. Infatti, che i migranti lo siano lo sapevamo già.

Laboratori della fede o musei delle cere?

Ieri, a conclusione dei corsi dell’Istituto di Formazione permanente a San Gavino, Alexandra Cabella ha letto queste parole dedicate all’Istituto, che vorrei brevemente commentare.

Qui
Qui troviamo ciò che nelle nostre comunità parrocchiali e civili non si trova più, se non molto di rado: il momento per l’approfondimento, il confronto, la condivisione di un pensiero e di un’esperienza che poi è capace di risuonare nelle menti degli altri anche a giorni di distanza.
Qui ci sentiamo nel posto giusto, nonostante viviamo in un’epoca dove niente è al suo posto e non si sa come farcela tornare… come far tornare la spiritualità nelle chiese? Gli amici in piazza invece che su facebook, la morte nel suo alveo naturale invece che sulla cronaca? Il confine come frontiera e non come fine-del-con?
Qui diventiamo persone migliori, anche più intelligenti nel senso etimologico del termine che è quello di saper leggere dentro… dentro le cose, le persone, i fatti.
Forse perché Qui c’è lentezza e il pensiero ha bisogno di questo tempo disteso per prendere forma e diventare capacità, progetto, azione fuori di Qui.
Qui ridiamo il nome alle cose. Anche a quelle che ormai, per abitudine o pigrizia pensavamo significassero altro.
Qui le parole peccato, perdono, misericordia, famiglia, carità cristiana, liturgia, Chiesa, comunione assumono il loro vero significato.
Qui parliamo di Dio e non intorno a Dio.
Qui qualcuno ci ricorda che in un giorno ci sono 12 ore di luce e 12 ore di buio e che dobbiamo viverle tutte e 24 le ore per dirci vivi. Il buio è fuori ed è dentro di noi, ma anche la luce è fuori ed è dentro di noi… basta accenderla e non farsela spegnere da nessuno.
Qui c’è attenzione e rispetto per tutti.
Qui qualcuno inizia un pensiero che ognuno di noi poi finisce di pensare.
Qui, una volta trovata una possibile risposta, si riparte con una nuova domanda in attesa di un’altra ispirazione che ci faccia progredire nel cammino di ricerca di senso.
Grazie infinite a Don Antonio Pinna, a tutti i docenti e ai compagni di viaggio e di caffè per quest’anno trascorso Qui.

Diciassette anni fa papa Giovanni Paolo II parlando a Tor Vergata ai giovani riuniti per il loro giubileo (sì, siamo stati giovani anche noi!) disse altre parole molto interessanti, che lanciavano un’idea, un input, ma che a me pare siano cadute nel dimenticatoio:

Voi chi dite che io sia?”. Gesù pone questa domanda ai suoi discepoli, nei pressi di Cesarea di Filippo. Risponde Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt16,16). A sua volta il Maestro gli rivolge le sorprendenti parole: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17).
Qual è il significato di questo dialogo? Perché Gesù vuole sentire ciò che gli uomini pensano di Lui? Perché vuol sapere che cosa pensano di Lui i suoi discepoli?
Gesù vuole che i discepoli si rendano conto di ciò che è nascosto nelle loro menti e nei loro cuori e che esprimano la loro convinzione. Allo stesso tempo, tuttavia, egli sa che il giudizio che manifesteranno non sarà soltanto loro, perché vi si rivelerà ciò che Dio ha versato nei loro cuori con la grazia della fede.
Questo evento nei pressi di Cesarea di Filippo ci introduce in un certo senso nel “laboratorio della fede”. Vi si svela il mistero dell'inizio e della maturazione della fede. Prima c’è la grazia della rivelazione: un intimo, un inesprimibile concedersi di Dio all’uomo. Segue poi la chiamata a dare una risposta. Infine, c’è la risposta dell'uomo, una risposta che d’ora in poi dovrà dare senso e forma a tutta la sua vita.
[...]
Nelle Letture dell’odierna Liturgia troviamo descritti gli elementi di cui si compone quel “laboratorio della fede”, dal quale gli Apostoli uscirono come uomini pienamente consapevoli della verità che Dio aveva rivelato in Gesù Cristo, verità che avrebbe modellato la loro vita personale e quella della Chiesa nel corso della storia. L’odierno incontro romano, carissimi giovani, è anch’esso una sorta di “laboratorio della fede” per voi, discepoli di oggi, per i confessori di Cristo alla soglia del terzo millennio.
Ognuno di voi può ritrovare in se stesso la dialettica di domande e risposte che abbiamo sopra rilevato. Ognuno può vagliare le proprie difficoltà a credere e sperimentare anche la tentazione dell’incredulità. Al tempo stesso, però, può anche sperimentare una graduale maturazione nella consapevolezza e nella convinzione della propria adesione di fede. Sempre, infatti, in questo mirabile laboratorio dello spirito umano, il laboratorio appunto della fede, s’incontrano tra loro Dio e l'uomo. Sempre il Cristo risorto entra nel cenacolo della nostra vita e permette a ciascuno di sperimentare la sua presenza e di confessare: Tu, o Cristo, sei “il mio Signore e il mio Dio”.


Cattedrale di Sainte Foy - Conques
Papa Giovanni Paolo usò questa felicissima immagine del “laboratorio della fede” per descrivere la dinamica interiore (ma anche esteriore) della fede: non una realtà preconfezionata, ma un continuo esperimento, fatto di elementi che combaciano e si uniscono e di altri che contrastano e si separano... una maturazione appunto, che richiama la lentezza del germoglio, del fiore, del frutto... È inutile che tu afferri la piantina e cerchi di tirarla su per farla crescere: otterrai l'unico risultato di sradicarla... Occorre invece innaffiarla, zappettarla, metterla in una giusta angolazione solare, difenderla dagli afidi...
Mentre Alexandra parlava mi è tornata in mente l’immagine del “laboratorio della fede”, perchè le nostre parrocchie e tutte le realtà ecclesiali dovrebbero essere questo laboratorio. Più che un supermercato del sacro, come oggi sono spesso ridotte. Un laboratorio dove si va per sperimentare e sperimentarsi, certo anche per trovare. Trovare la Parola di Dio e i Sacramenti, anzitutto, e così anche trovare i miei compagni di cammino in questa sperimentazione da laboratorio.
La parola “laboratorio” contiene la parola “lavoro”, che significa anzitutto “fatica”, fatica del cercare, dello scavare. Fatica del calare le reti senza pescare nulla. Fatica della zappatura, “ancora per un anno”, fatica del non avere un cuscino sul quale poggiare la testa.
Senza fatica non c’è fede, oserei dire. Fatica anche intellettuale del pensare, fatica affettiva dell’amare, fatica benedetta: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gn 3,19).
Gesù vuol sapere cosa i suoi discepoli pensino di lui... vuole che si schiariscano le idee e manifestino il loro cuore, ma sa anche che la loro risposta non è soltanto “loro” ma è anche dono di fede. Che fiducia ha Gesù nei suoi discepoli! Accidenti! E noi invece che sappiamo già tutto e diamo risposte a domande che nessuno ci fa...
Sarà possibile fare in modo che si passi da musei delle cere a laboratori della fede?
Dove si fanno meno “attività” e ci si attiva di più a sperimentarsi nella conoscenza del Signore? Ci si pongono delle domande, si suscitano interrogativi?
Sarà possibile rendere un po’ più vicina a noi la profezia di Giovanni Paolo II?
Roma - Museo delle Cere

sabato 10 giugno 2017

Ritiro d'estate - Una Chiesa povera per i poveri

Clicca sull'immagine per ingrandirla
INFORMAZIONI:

Il ritiro è rivolto a quanti desiderano approfondire la Parola di Dio, laici, religiose, presbiteri.


Per esigenze organizzative si chiede di iscriversi alla giornata telefonando al 340 123 9428 dal lunedì al venerdì dalle 20:00 alle 21:30.

PROGRAMMA:

Ore 10:30 – Meditazione
Ore 12:00 – Eucaristia
Ore 13:00 – Pranzo (al sacco)
Ore 15:00 – Testimonianza di un ragazzo della Comunità
- Meditazione e condivisione
16:30 – Conclusione

Terrà le meditazioni don Marco Statzu 

venerdì 9 giugno 2017

Il papa pregherà sulla tomba di don Primo Mazzolari - Intervista a Bruno Bignami

Questa intervista è apparsa in versione ridotta sul numero dell'11 giugno del quindicinale della Diocesi di Ales Terralba Nuovo Cammino.

 Il 20 giugno papa Francesco andrà in visita privata a pregare sulle tombe di don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, due preti “scomodi” nell’Italia del secolo scorso.
In particolare nel gennaio 1953 don Mazzolari visitò la Sardegna e anche Ales, incontrando mons. Tedde (“Simpaticissimo”, annoterà don Primo). Predicò anche a Guspini (centro minerario e il più comunista della diocesi di Ales e della Sardegna), a Villacidro e a San Gavino.
Abbiamo intervistato don Bruno Bignami, presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari” che ha sede a Bozzolo.

In che modo la Fondazione tiene viva la memoria di Primo Mazzolari?
L’istituzione, che ha sede a Bozzolo, nasce nel 1981 per volontà di amici e cultori della figura di don Primo e si sostiene sulla generosa gratuità di volontari. Ha il compito di raccogliere e custodire il materiale d’archivio che riguarda la figura e l’operato di don Mazzolari. Continua a pubblicare i suoi testi perché siano letti. Si impegna a far conoscere il messaggio mazzolariano nel nostro tempo. La scuola del parroco di Bozzolo è particolarmente impegnativa e c’è la tentazione di sedersi sui riconoscimenti.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita alla Fondazione "Don Primo Mazzolari" - Novembre 2016
Com’era don Primo nell’intimità degli amici e dei parrocchiani più umili?
Don Primo aveva una ricca umanità e un cuore appassionato. Questa è stata la sua forza nelle relazioni con i parrocchiani e con le molte persone che lo cercavano o che avevano la fortuna di poterlo accostare. Gli ultimi, i poveri, i diseredati, i disperati trovavano nelle sue parole e nella sua umanità rifugio, oltre che risposte generose.

La società di oggi è molto mutata rispetto a quella in cui è vissuto don Primo. Settant’anni di pace, non più contrapposizioni, non più fascisti, comunisti, Democrazia Cristiana. È ancora attuale il messaggio del parroco di Bozzolo?
Il messaggio di pace di don Mazzolari ci lancia sul futuro e non solo sul presente. Basti guardare ciò che capita ai nostri giorni: le tensioni in Medio Oriente, la corsa agli armamenti, le riduzioni delle religioni a luoghi di identità contrapposte, gli atti terroristici... Tutto fa pensare a una società molto cambiata rispetto a quella in cui visse don Primo, ma i contrasti sociali appartengono ancora al nostro mondo. Le ideologie sono state svuotate dall’interno, ma l’individualismo odierno non è meno ideologico di ciò che è appartenuto al secolo scorso. Mazzolari ha la visione di un cristianesimo incarnato dentro la storia: questo messaggio mi pare che difficilmente possa avere una data di scadenza.

«I lontani chiedono di essere capiti. Pretendono di vedere con chiarezza il volto di una religione che in fondo stimano ancora e dalla quale si sono staccati per delusione d’innamorati». Così scriveva Mazzolari nel 1938. Pensa che scriverebbe ancora oggi queste parole? Oppure oggi il peggior nemico è la totale indifferenza a Cristo e alla Chiesa?
Mazzolari amava dire che la Chiesa è un «focolare che non conosce assenze». L’indifferenza può avere diverse cause. In primo luogo è la perdita del valore di ciò che è la fede nella vita. In secondo luogo potrebbe significare una secolarizzazione che devasta anche la vita cristiana, per cui conta l’effimero, l’immediato, l’idolo a portata di mano, come il denaro... Infine, l’indifferenza è la risposta a una comunità cristiana incapace di prendersi cura. Per questo terzo aspetto il messaggio mazzolariano è uno stimolo a vivere con passione la fede.

«La carriera del prete finisce il giorno della sua prima Messa e davanti al cancello del cimitero della sua parrocchia» (da Preti così). Sembra di sentire certi richiami di papa Francesco contro il carrierismo e l’arrivismo clericali. Eppure don Mazzolari fu un prete sempre in prima linea, soprattutto nel panorama culturale, con don Milani, p. Turoldo, p. Balducci. Preti culturalmente e profeticamente avanti. Si ha l’impressione che di preti così non ce ne siano più in giro... che nei salotti TV si veda tutt’altra caratura...
La tentazione del carrierismo è una malattia del tessuto ecclesiale, capace di produrre effetti devastanti. I preti citati hanno avuto il merito di abitare il proprio tempo con il Vangelo in mano, senza troppi calcoli sulle conseguenze personali di tutto ciò. Ebbero un’umanità ricca e caratteri forti, capaci di sopportare la croce dell’opposizione e dell’incomprensione.
Al loro tempo sono stati anche molto periferici e solo il tempo ha fatto emergere la loro caratura umana e spirituale. Non dispererei che nelle periferie della Chiesa attuale ci siano ancora preti così. Non emergono, ma ci sono. Lo Spirito non si rassegna a chiudere la Chiesa dentro logiche di potere. Per questo continua a soffiare dove vuole e sa spiazzarci.

Da cosa derivarono i suoi attriti con la Gerarchia? E la sua riabilitazione?
Gli attriti con la Gerarchia non furono dovuti a questioni dottrinali, ma all’opportunità di alcuni interventi in temi sociali o riguardavano la visione di una Chiesa capace di dialogo e di profonda vicinanza all’umanità. Poi, si capisce, la questione diviene anche dottrinale. Don Primo è stato predicatore della misericordia di Dio, a partire dal libro La più bella avventura, pubblicato nel 1934. Proprio questo testo rappresenta il primo motivo di contestazione del Sant’Uffizio: un Dio misericordioso e che chiede conversione da parte di tutti sconvolge e destabilizza.
Da qui l’attuale riabilitazione. Mazzolari ha saputo anticipare la centralità della misericordia propria di papa Francesco. Aveva ragione Paolo VI quando disse: «Aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro». L’autorità che perde di vista l’ascolto della profezia e la centralità del messaggio evangelico si arena e si avvita su sé stessa.

Che significato ha la visita di papa Francesco a Bozzolo, per pregare sulla tomba di don Primo?
don Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana
Penso che la visita di Francesco a Bozzolo sia da collegare a quella che nella stessa mattinata del 20 giugno farà a Barbiana, sulle orme di don Lorenzo Milani. Mi verrebbe da definirla una giornata profetica! Tuttavia, immagino che l’intento del papa sia quello di indicare modelli significativi di spiritualità sacerdotale per il nostro tempo. Se così fosse, si tratterà di un ulteriore gesto profetico. Non mi stupirei, visto che Francesco quando esce dal Vaticano non lo fa in modo casuale. I suoi gesti intendono mostrare prospettive di futuro.

«Egli non canta l’inno delle cose come dovrebbero essere, ma racconta le cose come sono» (Adesso n. 15 del 1/8/1957). Forse sta qui la sua profezia? Non tanto nel fare moralismo, ma nell’estrema parresia della sua analisi?
La capacità analitica di Mazzolari è fuori discussione. Ha abitato il suo tempo con l’intelligenza della fede, a evidenziare che la vita cristiana non disdegna una critica costruttiva. Don Primo non ama un moralismo che si rifugia nelle sicurezze del dejà vu, ma prova a stare dentro la storia con le sue contraddizioni e le sue fatiche.

Nel leggere i suoi scritti mi sembra che don Primo sia stato un uomo che fece della speranza la sua stella polare, la chiave di lettura di ogni evento, anche il più nefasto. Speranza da vivere e da annunciare, da offrire a tutti e per tutti (persino per «nostro fratello Giuda»). Si sente di condividere questa lettura della vita di don Primo?
Una delle definizioni più appropriate di don Mazzolari è quella di «parroco dei lontani». Il suo cuore di pastore era abitato dalla preghiera e dall’incontro con la parola di Cristo. Fu innamorato del vangelo, ma non per tenerlo per sé: ha inteso essere un prete capace di rivolgere una parola a tutti, di dare fiducia, di incoraggiare, di stimolare percorsi, di accompagnare anche nelle situazioni più difficili della vita. La speranza è stata l’anima del suo apostolato, perché convinto che la misericordia di Dio è più grande dei giudizi umani.
Grazie don Bruno!

sabato 3 giugno 2017

Perché credo nello Spirito Santo (pur senza vederlo) - Meditazione a Pentecoste

Il vangelo parla dello Spirito Santo attribuendogli soprattutto due caratteristiche: 1. “Egli vi ricorderà tutta la verità” (Gv 16,13), altrove dice: “Egli vi insegnerà ogni cosa”, Gv 14,26, sarà il vostro suggeritore - Paraclito, e 2. “A chi rimettete i peccati, sono rimessi; a chi li ritenete sono ritenuti” (Gv 20,23).
Ora se Gesù avesse detto: Lo Spirito Santo vi farà amare, io sarei tentato di non crederci, perché amare possono farlo tutti. Gesù stesso ha detto che i padri, pur essendo cattivi, sanno dare cose buone ai figli. È una cosa naturale, fatte salve complicazioni psichiatriche, che però in quanto tali, sono per l’appunto deformazioni della natura materna e paterna.
Se Gesù avesse detto: Con lo Spirito Santo farete miracoli, io sarei tentato di ricordarmi dei discepoli dei farisei che facevano miracoli, e di tutti quei miracoli attribuiti a guaritori e santoni in Oriente, che piegano (?) le forze della natura fino a modificarla. E anche del diavolo, che pure lui di miracoli se ne intende.
Se Gesù avesse detto: Attraverso lo Spirito Santo sarete istantaneamente persone rette e buone, beh, stavolta mi sarei proprio messo a ridere, e avrei detto a Gesù: «Ma di’ un po’, non ti è bastata la croce?».
Mosaico nella Stazione Ottaviano - Metro A - Roma

Invece Gesù ha detto: Lo Spirito vi farà ricordare e perdonare, cioè vi farà fare una cosa totalmente innaturale e irragionevole (la ragionevolezza è l’arma di satana) come è perdonare coloro che ci hanno fatto del male.
Riconosco che questo non sta nel potere della natura – la quale appunto, dicono gli evoluzionisti, non perdona –, non sta nella magia né bianca né nera, perché non sono interessate a rapporti di questo tipo, e non sta neppure nella morale, ma la supera e la scavalca da ogni lato.
Perdonare è il gesto divino per eccellenza, che noi non abbiamo in dotazione di serie, ma che riceviamo se ci apriamo al Risorto: allora lo Spirito è davvero creatore di vita, perché ci fa nascere di nuovo, ci fa rinascere differenti.
Imparare a comprendere l’altro (non è forse questo il dono che scopre la folla multietnica il giorno di Pentecoste mentre ascolta gli apostoli, Galilei, e ognuno comprende nella propria lingua?), cioè a prenderlo totalmente, a prendere anche il suo peccato, a non fare finta di niente (è la funzione del ricordo), come spesso, in maniera totalmente sprovveduta, si dice davanti a chi mi fa del male.

Ecco perché credo nello Spirito Santo (pur senza vederlo).