domenica 25 febbraio 2018

Dal vangelo secondo Matteo (Salvini) (ho paura dei sostantivi maiuscoli)

«In quel tempo un popolo in difficoltà stava per recarsi alle urne. Venne un uomo, da Milano, il suo nome era Salvini, si era autoproclamato (d’altronde il suo nome era un segno!) il salvatore della Patria, colui che avrebbe ristabilito le sorti della Famiglia, giurando su Dio che avrebbe fatto qualunque cosa pur di diventare Presidente del Consiglio.
Così si mostrò ai suoi vivace, con un rosario in mano, e disse: Vi precedo al seggio, e voi farete cose più grandi di me! Votatemi e sarete finalmente liberi dai negri, liberi dagli omosessuali, liberi dai comunisti, liberi dai criminali, e avrete di nuovo forza e risorgerete anche voi!
Seguitemi, vi farò diventare una nazione ricca e prospera!».

Ora io mi domando e dico: ma abbiamo compreso il potere dei segni?
Un uomo che si presenta sotto le guglie del Duomo di Milano, col rosario nella mano destra e con la sinistra poggiata sul Vangelo a giurare:
«Mi impegno e giuro di essere fedele al mio popolo, a 60 milioni di italiani, di servirlo con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero la Costituzione italiana, da alcuni ignorata, e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo. Io lo giuro, giurate insieme a me? [folla: SIIIIII] Grazie! Andiamo a governare e riprendiamoci questo splendido Paese».

Parole che contano e che sono oggi così bistrattate: giuramento, impegno, fedeltà, popolo, costituzione, sacro Vangelo, esplodono nella piazza milanese.
E poi questa velata minaccia: Andiamo a riprenderci questo Paese.
Ma perchè? Il paese nelle mani di chi è? E tu vuoi riprendertelo per farlo a tua immagine e somiglianza? A me sembra tanto un “A noi!” 2.0.
Toni pacati e assertivi con i quali chiede ai presenti di “diventare testimoni e apostoli di questo cambiamento”: sostituire il linguaggio politico con quello sacrale è una furbata che deve avergli suggerito qualche ex prete.
Italiani che hanno voglia di certezze”: secondo me ha visto troppi film con protagonista Winston Churchill.
E poi quel rosario brandito come segno di rispetto e di attenzione agli ultimi, ai disabili.
E poi in Sardegna l’alleanza con il Partito Sardo d’Azione, che lascerà a casa i Quattro Mori... per carità!
Credo che non bisognerebbe trascurare la potenza evocativa dei segni.
Non è un caso che nel dopoguerra, in un paese con un altissimo tasso di analfabetismo, i simboli dei principali partiti rappresentassero una croce da una parte e falce e martello dall’altra: simboli facilmente accessibili anche a chi non sapeva leggere.
E oggi che sappiamo leggere ma non leggiamo comunque, la storia si ripete.
Matteo Salvini conosce bene il suo elettorato, soprattutto al Nord, quel cattolicesimo diffuso, parrocchie, oratori, squadre sportive, patronati, cinema e via dicendo, quel cattolicesimo non sempre fatto di convinzioni, ma spesso di “appartenenza naturale”, quell’identificarsi coi “valori cristiani” a prescindere, dove però il rosario al massimo sta appeso allo specchietto retrovisore e il vangelo lo si regala al nipotino alla prima comunione.
No, non dovremmo sottovalutare i segni.

Roma 1938 - In onore di Hitler al Foro Italico
In altri tempi Pio XI fece chiudere tutte le chiese e spegnere tutte le campane di Roma, e andò a Castel Gandolfo, quando Hitler fu ospite di Mussolini e le strade di Roma furono addobbate con la svastica in onore del Führer e disse: «Tristi cose, molto tristi, e da lontano e da vicino a noi; molto tristi cose; come il fatto di inalberare a Roma le insegne di un’altra croce, che non è la Croce di Cristo».
Ieri è stato peggio, perchè quel rosario e quel vangelo sono quelli veri.
Ma usati per altri scopi. Non dimentichiamolo.
Bisognerebbe che facessimo lo sforzo di non farci abbindolare da chi si presenta con segni che non lo rappresentano, ma rappresentano la pancia di chi deve votare.
Ecco, bisognerebbe non votare di pancia.
Il problema è che già mi vengono i conati, il mio stomaco non regge, e sinceramente è molto difficile oggi prendere una decisione.
Una cosa è certa: non voterò chi usa i miei segni, quei segni tanto cari e preziosi per me, il vangelo e il rosario, per darsi una parvenza di cristianesimo e di cattolicesimo, per accreditarsi agli occhi degli elettori.

martedì 20 febbraio 2018

Della stupidità

Queste parole di Dietrich Bonhoeffer, scritte verso il Natale del 1942 mi sembrano quantomai attuali, sia quando guardiamo alla nostra società, alle prossime elezioni politiche, sia quando guardiamo alla Chiesa, agli uomini e donne di Chiesa (preti, vescovi, suore, ma anche laici).
Meditate, gente, meditate!




Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente. Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali semplicemente non si deve credere – in questi casi lo stupido diventa addirittura scettico – e quando sia impossibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio. Non tenteremo mai più di persuadere lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.
Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l’essenza. Una cosa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma piuttosto che in determinate situazioni gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali. Ci è dato osservare, inoltre, che uomini indipendenti, che conducono vita solitaria, denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un problema psicologico. È una forma particolare degli effetti che le circostanze storiche producono negli uomini; un fenomeno psicologico che si accompagna a determinati rapporti esterni. 
Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane - ad esempio quelle intellettuali - ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. È ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno esserne rovinati per sempre.
Ma a questo punto è anche chiaro che la stupidità non potrà essere vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione. Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella maggioranza dei casi un’autentica liberazione interiore è possibile solo dopo essere stata preceduta dalla liberazione esteriore; fino a quel momento, dovremo rinunciare ad ogni tentativo di convincere lo stupido.
In questo stato di cose sta anche la ragione per cui in simili circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che cosa effettivamente pensi il “popolo”, e per cui questo interrogativo risulta contemporaneamente superfluo – sempre però solo in queste circostanze – per chi pensa e agisce in modo responsabile. La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Sal 111,10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità.
Del resto, siffatte riflessioni sulla stupidità comportano questo di consolante, che con esse viene assolutamente esclusa la possibilità di considerare la maggioranza degli uomini come stupida in ogni caso. Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella stupidità o più nell’autonomia interiore e nella intelligenza degli uomini.


(D.BONHOEFFER, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988, 64-66)



mercoledì 14 febbraio 2018

sabato 10 febbraio 2018

L’ultima lezione di papa Benedetto

Ripropongo una riflessione scritta cinque anni fa dopo l'annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI.


Dopo la prima sconvolgente notizia, ricevuta al cellulare con un messaggio inviato da un amico, rifletto sulle dimissioni del papa.
Devo confessare che uno dei pochi libri che rileggo quasi ogni anno è L’avventura di un povero cristiano, nel quale Ignazio Silone narra il dramma interiore di Celestino V, papa medievale che abdicò anch’egli a causa della debolezza e dell’età.
C’è un passo che mi ha sempre colpito. Mentre Pier Celestino, che ormai ha abdicato, parla con il suo successore Bonifacio VIII, dice queste parole: «Se il cristianesimo viene spogliato delle sue cosiddette assurdità per renderlo gradito al mondo, così com’è, e adatto all’esercizio del potere, cosa ne rimane? Voi sapete che la ragionevolezza, il buonsenso, le virtù naturali esistevano già prima di Cristo, e si trovano anche ora presso molti non cristiani. Che cosa Cristo ci ha portato in più? Appunto alcune apparenti assurdità. Ci ha detto: amate la povertà, amate gli umiliati e offesi, amate i vostri nemici, non preoccupatevi del potere, della carriera, degli onori, sono cose effimere, indegne di anime immortali».
Mi pare sia tutto qui il succo di questa abdicazione: l’umiltà. E siccome nella fede e nella chiesa le lezioni migliori non sono quelle fatte dalla cattedra, ma quelle della vita, mi pare di vedere qui la migliore lezione di papa Benedetto.
Il papa ci ha insegnato, con l’ultimo suo atto magisteriale, che ogni ministero nella Chiesa non è dato alla persona in proprietà esclusiva, e che tutti, ministri ordinati e laici, siamo chiamati a non viverlo come un potere assoluto, come se nessuno potesse metterlo in discussione e col sospetto che qualcuno possa scalzarci.
L’umiltà consiste piuttosto nel lavorare sapendo di essere servi e di non avere nulla da temere dal servizio, dalla prestanza, dalle capacità e dalla forza di altri.
Ogni lettura millenaristica, sia a livello di Chiesa universale, sia nella più piccola comunità, è fuori luogo e antievangelica.
Discorsi sulla scia del «Come faremo ora?» non hanno senso in una prospettiva di servizio, perché, come ricordava Pier Celestino, preoccuparsi del potere, della carriera, degli onori, è indegno di anime immortali. Il servizio è un'altra cosa!
E tutti quelli che pensavano che Benedetto XVI fosse un ingenuo esibizionista autoreferenziale, sbagliano di grosso.
È pur vero che tanta gente comune, a tutti i livelli, non capisce queste dimissioni da una così grande responsabilità. Esse restano un’assurdità agli occhi del mondo.
Ed è bene che siano tali, come le parole di Gesù, come gesti epocali di tanti cristiani più o meno altolocati, in altri momenti storici.
Ogni paragone con Giovanni Paolo II è indebito, perché c’è un particolare: a differenza del suo predecessore, Benedetto XVI non è malato. È evidente che dà le dimissioni da sano per evitare di trascinare la chiesa in un tempo di ansia e quasi di asfissia.
E dà un grande colpo proprio alla Chiesa (ma anche a tante istituzioni laiche, prima fra tutte la politica), che per ragioni storiche e antropologiche, oggi più che mai è una gerontocrazia, un governo di vecchi, spesso attaccati alle loro poltrone.
E dato che non compete né a me né a nessuno dare giudizi sulla bontà di ciò che il papa ha deciso, posso solo dire che oggi ci ha dato una grande, gigantesca lezione in almeno due punti: ogni servizio nella Chiesa può essere revocabile e modificabile (quello del papa, figuriamoci quello di un parroco, di un catechista, di un operatore... e questo non è un dramma!), perché la Chiesa è retta dalla forza dello Spirito del Cristo Risorto, il quale non la abbandona mai.
E poi ci ha insegnato che il primato della coscienza personale in ogni decisione è fondamentale e non coercibile. Cioè che una persona è tenuta a fare ciò che ha deciso in coscienza, perché quella è volontà di Dio che parla al cuore dell'uomo. Una coscienza rettamente formata, evidentemente.
Di fronte a possibili pressioni, Benedetto non si è fatto tirare per la giacchetta, mostrando a tutti uno stile inconfondibile e poco imitato.

Grazie papa Benedetto e lunga vita a Joseph Ratzinger!

giovedì 8 febbraio 2018

ERANO LACRIME MIE - Uscita prossima raccolta di poesie


Finalmente sta per arrivare la mia nuova raccolta di poesie dal titolo

Erano lacrime mie 
(Talvolta posso cogliere un verso).

Uscirà per i tipi della Casa Editrice Graphe.it

Per chi desidera è possibile prenotarlo sul sito stesso  (cliccare sul testo evidenziato) a un prezzo scontato.
Uscirà a giugno.

ERANO LACRIME MIE

Passato attraverso
un enorme arcobaleno
ho visto scendere gocce.
Ma erano lacrime
mie.