domenica 29 gennaio 2017

Buche benedette

Le buche sulla strada
mi stanno insegnando
ad andare con calma.
Un tempo avrei maledetto
l'amministrazione, l'Anas
e compagnia cantante.
Ora benedico
la lentezza imposta.

venerdì 27 gennaio 2017

A Bose passaggio di testimone da Enzo Bianchi a Luciano Manicardi

Liturgia a Bose

Il panorama monastico italiano annovera tale e tanta varietà di denominazioni e di comunità che è alquanto difficile fare un censimento. Anche dopo il Concilio Vaticano II, alcune esperienze comunitarie e fraterne, partite con entusiasmo sono poi tramontate.
Ma da cinquant'anni, adagiato sulle colline della Serra morenica di Biella, il Monastero di Bose continua ad attirare persone in ricerca.
Il suo fondatore, Enzo Bianchi, ha dato un contributo notevole allo sviluppo in Italia e in ambienti di lingua francofona alla pratica della Lectio Divina, che oggi in molti monasteri è soltanto un ricordo.
Enzo Bianchi (dal sito di Bose)

Tra i suoi numerosissimi libri ricordo solo en passant Il corvo di Elia, Introduzione ai Salmi, Pregare la Parola, come pure i più recenti Spezzare il pane e Gesù e le donne, dove porta sempre prospettive interessanti e illuminanti sul vivere il cristianesimo oggi, radicati in una fede concreta e in una spiritualità robusta resa viva nella carità fraterna.
Arrivato l'otto dicembre 1965 in due stanze in affitto, senza corrente elettrica e con quasi nulla per vivere, dopo alcuni anni ha visto arrivare altri fratelli e sorelle che con lui hanno dato vita alla Comunità. Proponeva l'incontro con il Signore attraverso l'ascolto della sua Parola e la vita fraterna, accogliendo senza remore chiunque, stanco per il cammino, avesse bisogno di ritemprarsi alla fonte della Vita.

E questo continuano a fare i fratelli e le sorelle di Bose (che oggi sono una novantina e hanno aperto alcune fraternità anche a Ostuni, Cellole, Assisi e Civitella San Paolo): offrono uno spazio di ascolto e di accoglienza, di condivisione del lavoro, a giovani e meno giovani (hanno circa 25mila presenze all'anno), in un luogo incantevole e con un'attenzione straordinaria all'ospite, come nella migliore tradizione monastica.
Chiesa di Bose

Il 26 gennaio, dopo oltre cinquant'anni di guida, Enzo Bianchi, si dimette dalla carica di Priore. Potrebbe sembrare una cosa ormai abituale (siamo abituati alle dimissioni dei parroci e dei vescovi, al compimento dei 75 anni, e persino recentemente di un papa), ma se consideriamo che Bose è nata con lui, questo passaggio diventa storico.
I fratelli e le sorelle di Bose hanno eletto nuovo priore, fratel Luciano Manicardi, notissimo biblista, uomo di carisma e discernimento, uomo che sa ascoltare con rarissima attenzione e sa parlare del Vangelo, dell'umanità, come pochi. A lui il compito di portare il peso del servizio alla comunione per i monaci di Bose.
Luciano Manicardi (dal sito di Bose)

È un passaggio storico, dicevamo, perchè il fondatore ha in sé un carisma, un dono di Dio che gli ha permesso di iniziare e portare avanti un'opera veramente bella: i monaci vivono del loro lavoro, coltivano la terra, hanno un panificio, una falegnameria, un laboratorio di icone e una potterie, producono miele, confetture e preparati culinari, candele e tisane, hanno una casa editrice che pubblica libri di alto valore culturale, organizzano ogni anno un convegno sulla spiritualità ortodossa e un convegno sulla liturgia e l'architettura. Portano avanti lo studio delle fonti bibliche e patristiche, curano traduzioni di opere antiche o non italiane, alcuni di loro offrono ritiri e conferenze anche all'esterno. E tutto il calendario annuale pullula di iniziative che monaci e monache portano avanti con dedizione, competenza e umiltà.
L'orto di Bose

Ora Enzo Bianchi fa, per così dire, un passo di fianco, si rimette a camminare non davanti ai fratelli (lui ha usato l'immagine del cervo che guida il branco), ma in mezzo ad essi, torna ad essere (e del resto non è mai stato altro) un semplice fratello, e con questa disponibilità fa aprire alla Comunità un capitolo nuovo della sua vita, un inedito che certamente continuerà a narrare Gesù all'umanità bisognosa di Lui.

Si narra che alla domanda “Cosa fai come monaco nel deserto?”, il monaco rispondesse: “Oggi ricomincio”. Questo nuovo inizio per Enzo Bianchi, per Luciano Manicardi e per tutta la Comunità Monastica di Bose, sia portatore di rinnovamento nella sequela di Gesù e di passione nell'accogliere l'ospite.

giovedì 26 gennaio 2017

L'ennesimo impatto tra la pioggia ed il fuoco

Foto Gabriele Espis
C'è uno svuotamento della propria vita che può diventare perdizione, che può portare ad annullarsi, come la pioggia spegne il fuoco. Il passo è breve se non c'è chiara comprensione di cosa significhi svuotarsi, o meglio essere svuotato.
Infatti, se non sono pieno di Lui, mi svuoto, succhiato come un limone. C'è un modo di vivere che annientandomi non porta alla redenzione: mortificazione non è sinonimo di lento suicidio!
Ha scritto Madeleine Delbrel che le circostanze della vita “sono i nostri superiori”, volendo indicare tutta quella serie di doveri necessitanti che non ci dà qualcuno, ma gli eventi stessi della giornata, nella quotidianità più banale. Ma anche ai superiori, talvolta, va fatto notare che hanno preso una cantonata, per evitare che la vita del cristiano (la mia vita) sia preda di una ineluttabilità fatalistica e infine pagana.
Solo l'amore consuma bene. Come certe candele, esposte al vento, che si consumano sì, ma in modo irregolare, lasciando gocciolare stalattiti di cera che va così sprecata; che illuminano sì, ma in modo irregolare, a intermittenza, come un neon fastidiosamente guasto.
E ci diciamo: ma io illumino! Mica è colpa mia se c'è vento. Non posso far la fine di quella candela che, messa sotto una campana di vetro per paura dei soffi, si spense poco dopo per mancanza di ossigeno. No, ovvio.
Foto Gabriele Espis
Ma devo andare a quella finestra spalancata o accostata e chiuderla: troppa aria, come troppo poca, fanno spegnere la candela. Il confine è molto sottile, e non tutto nelle nostre possibilità...
Non si tratta di volere garanzie e assicurazioni, bensì di cercare la via giusta nel consumarsi.
Certo non la scegliamo noi: non siamo alla boutique alla moda a scegliere un vestito di gala. Spesso consumarsi è indossare un vestito che non ci siamo cercati, e che forse persino non ci piace.
Tuttavia abbiamo il dovere di esserne consapevoli, per non correre invano, perchè quando saremo pesati non siamo trovati mancanti (vuoti appunto!), perchè esercitiamo quella “ypomoné”, quella vigilanza, attenzione, prudenza che sono virtù tanto lodate nei Vangeli, molto più di altre che sono soltanto accennate, e nemmeno tra le più importanti.
Perché la fiamma resti accesa in attesa del Veniente, e non sia “l'ennesimo impatto tra la pioggia ed il fuoco”.
Torino - Museo Egizio - La pesatura delle anime

venerdì 20 gennaio 2017

Non preoccupatevi


«Io ti fuggo. Troppo occupato, dimentico che tu mi abiti». Queste parole di Alain Chapellier in Le Christ nu p. 31, mi hanno oggi spalancato un mondo. Sarà quel corsivo che sottolinea la parola “occupato”, ma non avevo mai pensato all'ambivalenza del termine: si dice che un paese è occupato, quando una potenza straniera lo ha invaso e le sue istituzioni e ipl suo popolo perdono il diritto e il dovere di autodeterminarsi, non sono libere. Si dice che il telefono è occupato, quando all'altro capo qualcuno è “impegnato in un'altra conversazione”, cioè non è libero per parlare con me. Se dobbiamo pitturare la facciata della nostra casa e facciamo montare un ponteggio, pagheremo la tassa per l'occupazione del suolo pubblico, perchè lo ingombriamo e non permettiamo ad altri di utilizzare liberamente la superficie comune. Anche la toilette al ristorante può essere occupata, e allora ci tocca attendere pazientemente il nostro turno, e non siamo liberi di soddisfare un nostro bisogno fondamentale.
Occupare viene da “ob capio” prendere sopra, prendere intorno, prendere davanti: significa non lasciare uno spazio libero. In questo senso l'occupazione, essendo ciò che m'impegna, non mi lascia libero (di fare qualcos'altro).
Ma qui sta il bello: se io sono troppo occupato, non sono libero di essere abitato, di essere riempito da Colui che abita in me, che vuole dimorare in me, perchè sono già pieno!
Nel Vangelo di Matteo (6,25-34), Gesù invita i suoi discepoli a non preoccuparsi della propria vita, di ciò che mangeranno, di ciò che berranno, né del loro corpo, di come si vestiranno, né del loro domani, affermando che tutte queste cose sono i pagani a cercarle! Preoccuparsi è occuparsi con ansietà, ma anche in generale avere cura (la Vulgata traduce Ne solliciti sitis). Ci sembra così normale uscire la mattina per andare a lavorare, occuparci della nostra famiglia, dei figli, di vestirli, dar loro da mangiare il necessario. Non è già questo un cercare il Regno di Dio nella nostra vita? Che c'è di strano o peggio di peccaminoso in tutto ciò?
Nulla.
Il rischio però è che essendo troppo occupati, troppo pieni, non abiti in noi un'altra inquietudine, quella per il Regno e per la sua giustizia.
Occuparsi e preoccuparsi tolgono libertà se diventano l'unico motivo della nostra vita. Se mangiare, bere, vestire diventano il fine, lo scopo della mia vita, posso essere anche sazio e vestire begli abiti, ma della mia vita che ne sarà?
È vero, c'è tanta gente (anche tra noi) le cui necessità fondamentali sono negate: non ha da mangiare, non ha da bere, non ha da vestirsi. Proprio ieri una notizia diceva che la ricchezza della metà della popolazione mondiale (3,6 miliardi di persone) sta in mano a 8 (otto) ricchissimi.
Ma questa non è la condizione normale. È la condizione anormale di un mondo dove per l'appunto ci si occupa così tanto e così proficuamente di sé stessi , che si finisce per dimenticarsi di occuparsi degli altri.

Pertanto se io sono occupato (attenzione: non dice non preoccupatevi “troppo”, ma non preoccupatevi affatto!) in tutte queste cose, sarò anche totalmente occupato da esse, non sarò libero per essere pieno di Dio.
Come si esce da questo inghippo? Gesù invita a cambiare sguardo sulla realtà: guardate gli uccelli del cielo, guardate i gigli dei campi.
Ma come?! Noi non abbiamo tempo per queste poesiole infantili da vispa Teresa. Chi ha tempo da perdere a ricercare gli albicocchi in fiore e l'odorino amaro del prunalbo?
Eppure bisogna guardare gli uccelli e i fiori, per comprendere che c'è un Padre che si cura dei figli, che si preoccupa di essi, che addirittura vuole che siano liberi per essere pieni solo del desiderio di Lui, perchè gli uccelli vanno in cerca del nutrimento per oggi, non accumulano per paura del domani, che domani ne manchi.
Questo è vangelo, buona notizia sulla mia vita, da prendere non come uno sforzo titanico o un peso insopportabile, né tanto meno come bestemmia davanti ai poveri a cui per primo è rivolto (così iniziava il discorso della montagna!), ma come ciò che mi fa lieto e libero, perchè cercando la giustizia del Regno, tutto ricevo, addirittura in sovrappiù.

«Quando vi mandai senza portafogli né scorte né scarpe, vi è forse mancato qualcosa»? Chiede Gesù ai suoi discepoli nell'ultima cena. «Nulla» rispondono essi (Lc 22,35), perchè quando si è pieni di Lui e della sua grazia, allora si è davvero liberi e nulla ci manca.