Cari
fratelli e sorelle.
La
festa del vostro santo patrono è una bella occasione per parlare di
un tema che è stato il centro della vita di san Bernardino, e che
certamente è riecheggiato nella liturgia della Parola di questa
sesta domenica di Pasqua. Il tema è l’evangelizzazione.
Possiamo
affermare infatti che tutta la sua vita, Bernardino la passò a
evangelizzare, con lo studio, con la preghiera, con la predicazione,
con il governo dell’ordine dei frati minori.
A
me pare che l’evangelizzazione abbia almeno tre caratteristiche.
La
prima:
essa è testimonianza di vita di tanti poveri cristiani, persone
semplici e umili, come Filippo, come Pietro, come Giovanni, come
tante umili persone, la cui vita rispecchia la bellezza del vangelo e
della vita in Gesù Cristo. Persino i samaritani si convertono, ci
raccontano gli Atti degli Apostoli! Qui non si tratta solo di
prediche, ma di una testimonianza di vita.
Ma
l’evangelizzazione non è fatta soltanto di una testimonianza che
chiameremmo “privata”, di una «adorazione del Signore Cristo nei
nostri cuori». Essa ha anche una
seconda caratteristica:
è apostolato esplicito, pubblico, secondo l’esortazione di San
Pietro che abbiamo ascoltato: «Pronti sempre a rendere ragione
(logos) della speranza che è in voi», potremmo quasi tradurre:
pronti a mostrare la logicità, l’aderenza a Gesù Cristo (Logos)
della vostra speranza. Questo spiega il grande impegno che per
decenni Bernardino applicò allo studio della Parola di Dio e alla
Teologia.
Occorre
coraggio e non timore, come ne occorreva ai suoi tempi per predicare
la pace a città in guerra tra loro. Occorre coraggio e non timore
non per conquistare spazi nella società, per avere una tribuna da
cui parlare, ma perchè ciò che noi siamo interroghi l’altro,
soprattutto lo scettico, il non credente, l’agnostico, soprattutto
tra i giovani e i giovani adulti, quel «mondo che non vede e non
conosce lo Spirito», e dunque non può riceverlo!.
Il
problema oggi è che noi non siamo più una domanda per il mondo,
quindi nessuno ci chiede più ragione della speranza che dovrebbe
essere in noi!
Quali
sono le cause di questa nostra insignificanza nel mondo
contemporaneo?
Certamente
una fede ancora troppo acerba tra i cristiani, poco matura, poco
convinta, poco conosciuta, che diventa fertile terreno per
superstizioni e per errori di ogni genere.
Occorre
una formazione più seria nella nostra vita di cristiani, in modo
particolare di tutti coloro che in essa svolgono un ministero:
catechisti, educatori di oratorio, capi scout, membri di
confraternite, operatori della carità, ministri straordinari della
comunione... etc. Tutte le attività della parrocchia sono belle, ma
al centro deve esserci l’ascolto e l’approfondimento della Parola
di Dio, senza i quali la Chiesa diventa una ONG.
Questo
ascolto attento e profondo della Parola di Dio ci porta a una seconda
considerazione: Dio
non si presenta
come oggetto di una campagna pubblicitaria, coi manifesti appesi ai
muri, con le reclames
in TV o alla radio, con i banner sul web.
Dio
viene, si manifesta, dice il Vangelo di Giovanni, laddove la Chiesa
realizza il mandato di Cristo: amatevi come io vi ho amati, lavatevi
i piedi gli uni gli altri. «Io vivo e voi vivrete», dice Gesù: la
sua presenza viva in mezzo a noi si realizza nell’amore serio, nel
perdono reciproco, nella riconciliazione tra famiglie e tra
parrocchiani, nell’accoglienza del povero, del diverso. Qui si
realizza questa comunione intima di cui parla Gesù, tra il Padre e
lui, e tra loro e il cristiano. Qui Gesù si manifesta! E questo è
il senso di quella litania che pare Bernardino pronunciasse ogni
giorno: «Manifestavi
nomen tuum hominibus»
(Gv 17,6), «Ho manifestato il tuo nome agli uomini», che lo portava
a mostrare a conclusione delle sue prediche una tavoletta con inciso
in caratteri d’oro le tre lettere «IHS», che ben conosciamo
(Iesus
hominum salvator).
Per
entrare in questo percorso occorre una continua conversione: un
cristianesimo «seduto», che non parla più al mondo di oggi, che
non dice più nulla, che è insipido per gli uomini e le donne del
nostro tempo, è il grande sintomo di una fede che si è raffreddata,
che non è alimentata e riscaldata dall’ascolto serio della Parola
di Dio e dall’amore reciproco.
È
il più grande sintomo che in fondo stiamo bene così come stiamo,
che la fede non scalfisce le nostre abitudini, i nostri modi di
pensare e di agire. Che non c’è bisogno che la nostra fede in Dio
metta in noi ulteriori preoccupazioni. Del resto non diciamo sempre
che abbiamo bisogno di calma e di serenità?
Questo
ci porta a considerare la
terza caratteristica della evangelizzazione:
la fede deve diventare vita, e la vita deve essere trasformata e
fatta lievitare dalla fede.
San
Pietro dice che il nostro rendere ragione della speranza che ci
abita, quindi quello che abbiamo chiamato l’apostolato esplicito,
deve esser fatto «con dolcezza, con rispetto, con retta coscienza,
perchè nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano
svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in
Cristo». La questione però è che spesso si parla male di noi –
noi frequentatori abituali, noi cristiani “eucaristici” – non
perchè siamo cristiani, perchè andiamo a Messa o preghiamo, ma
perchè, proprio facendo queste cose, in nulla siamo diversi da chi
non lo è, anzi talvolta siamo peggiori. Una volta mi è capitato di
sentire una persona rammaricata di non poter partecipare alla
processione della Madonna perchè stava male, ma per niente
dispiaciuta di aver litigato con un familiare stretto e di non
volergli rivolgere neppure la parola!
Capite
dove sta la separazione tra vita e fede?
Quindi
in fin dei conti, spesso si parla male di noi a ragion veduta: se chi
è fuori vede in noi questi comportamenti, questi modi di pensare,
come potrà credere che davvero il Vangelo può cambiare la nostra
vita?
Allora
però noi oggi rinnoviamo in questa Eucaristia l’adesione a Cristo,
la devozione a San Bernardino, il desiderio e l’idea di
corrispondere un po’ di più alla scia tracciata dal nostro santo
Patrono.
La
Chiesa (quindi anche voi, comunità di Mogoro) potrà diventare
sempre più sé stessa soltanto accogliendo lo Spirito Santo promesso
da Gesù, lo Spirito della verità che rimane in noi, perchè Egli ci
trasforma nel corpo di Cristo nel mondo, fa di noi una vera e propria
transustanziazione, come nell’Eucaristia l’azione dello Spirito
rende un po’ di pane e di vino comuni il vero Corpo e Sangue di
Cristo.
Se
la Chiesa è amore, se la comunità cristiana sperimenta e fa
sperimentare, fa gustare l’amore a tutti i livelli, ci sarà anche
chi potrà rifiutare, chi potrà chiedersi come mai, interrogarsi su
questo stile di vita, ma certamente non potranno non vedere.
Allora
preghiamo perchè possiamo essere testimoni umili del Vangelo, perchè
impariamo a rendere ragione della speranza che è in noi, perchè
davvero è in noi e la alimentiamo quotidianamente, e perchè
tutta la nostra vita sia trasformata dalla nostra fede e dalla nostra
preghiera.
Così
permetteremo a Dio e a suo Figlio Gesù di «abitare in noi» secondo
la sua promessa, di essere una sola cosa col Padre e col Figlio, e
quindi di essere significativi, saporiti, di suscitare domande per
questo mondo che spesso arranca nel buio, nella divisione, nella
confusione.
Portiamo
la nostra fede con umiltà, non come maestri ma come fratelli.
E
allora Gesù si manifesterà ancora a noi, e attraverso di noi,
condurrà a sé ancora tanti fratelli e sorelle. E così sia.
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