domenica 17 dicembre 2017

Omelia per la terza domenica di Avvento e per il quarantesimo anniversario di Babbo e Mamma

Un pittore che si chiamava Grunewald dipinse nel 1500 una grande pala di altare raffigurando la crocifissione di Gesù, e insieme a Maria e a Giovanni, come ci tramandano i vangeli, dipinse dalla parte opposta Giovanni il Battista, con ai piedi un agnello e l’indice puntato verso Gesù, a indicare che la sua profezia era finalmente realizzata: è lui il vero Agnello di Dio, Gesù crocifisso.
Ovviamente si tratta di un anacronismo: il Battista era già morto quando Gesù è stato crocifisso. Ma Grunewald fu tuttavia geniale, perché ci ha mostrato il senso della vita del Battista, che in questa terza domenica di Avvento è la figura principale. Giovanni Battista infatti è vissuto per indicare Gesù. Egli era, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, “Testimone della luce”, non era lui la luce. Davanti ai sacerdoti, agli scribi che lo interrogano sulla sua identità egli confessa: Io non sono il Cristo, io non sono Elia, io non sono il profeta... ma “Voce gridante nel deserto”. Non era lui la Parola, ma la voce che ha prestato suono alla Parola.
La vita di Giovanni Battista è stata tutta in funzione di Gesù.
Noi non capiamo fino in fondo questo misterioso legame (i vangeli ci dicono che fin dal grembo materno questi bambini, uno nel grembo di Elisabetta e l’altro nel grembo di Maria, si scambiavano messaggi di gioia). Perché a noi i legami fanno paura: pensiamo che vivere in funzione di qualcuno limiti la nostra libertà, la nostra identità, che ci tolga quella autonomia che disperatamente cerchiamo in ogni momento. Salvo capire poi, in certi momenti difficili, che da soli non si va da nessuna parte.
Ma per Giovanni Battista questo fu normale. Più avanti, ai suoi discepoli che vedono Gesù battezzare e che vanno a fargli la spia, dirà: “ È necessario che egli (Gesù) cresca, e io invece diminuisca”. La sua è stata una storia di progressivo rimpicciolimento, di abbassamento. E anche qui noi non capiamo fino in fondo, perché pensiamo che nella vita dobbiamo primeggiare, dobbiamo dimostrare di essere grandi, forti, potenti. Dobbiamo farci valere. Il mondo funziona così.
Ora però questa terza domenica di Avvento ci mostra questa figura a prima vista perdente, da outsider, da passatore di palle-gol...
Ritorniamo a ciò che viene detto di lui. È testimone della luce. Possiamo chiederci se la luce ha bisogno di testimoni. La risposta è no: la luce splende e tutti sono in grado di vederla, o meglio, proprio perché vediamo diciamo che c’è luce. Quand’è che la luce ha bisogno di testimoni? Quando è buio. Quando le tenebre avvolgono tutto. Quando siamo in piena notte senza luna e senza stelle. Questa è stata la grandezza di Giovanni Battista: egli è stato testimone nel buio. Per questo ci vuole coraggio. È facile dire: che bella la luce quando il sole è alto. Più difficile è dire: attenti, anche se siamo nelle tenebre, verrà la luce.
È facile parlare quando tutti ti ascoltano e ti applaudono. Più difficile è gridare nel deserto, dove nessuno ti ascolta, o ti ascolta soltanto chi decide di addentrarsi nel caldo e nella sabbia, dove non ci sono strade, ma ci vuole orientamento.
Questo ha fatto Giovanni: ha mostrato Gesù quando Gesù ancora non c’era.
E poi ha visto compiuta, realizzata la parola profetica e lo ha indicato al mondo, presente.
Ora, cosa ha a che fare questo con la nostra vita?
Stiamo celebrando il quarantesimo anniversario del vostro matrimonio, Mamma e Babbo.
C’è stato un momento nella vostra vita, e nelle vite di Manuela, Sandro e Francesco, in cui quella luce iniziale, carica di attese, di gioia, e di speranza, si è trasformata nella tenebra più profonda. Nella perdita di un marito e padre e nella perdita di una moglie e madre.
Tenebra dentro la quale è difficile dire: che bella la luce, che bello il bene, che bello l’amore.
La tenebra impedisce di vedere, di capire, di orientarsi. Costringe a rimanere immobili. Porta a essere tristi e senza speranza.
Mi sembra che invece sia accaduto in voi, lentamente ma veramente, quello che è accaduto a Giovanni Battista: siete stati testimoni della luce. Avete annunciato, non con parole o prediche, o gesti particolari, ma con la vostra vita e le vostre scelte, che la luce splende nelle tenebre e le tenebre non possono vincere. Decidendo di sposarvi quarant’anni fa, e costituendo una nuova famiglia, di prendervi cura dei figli che non erano del vostro sangue, voi avete testimoniato che il bene vince sul male. E che questa non è una favola, non è una fiaba a lieto fine, ma è la vittoria di Cristo stesso sulla morte. È quel dito di Giovanni Battista puntato sul Crocifisso. Costa una croce, costa sofferenza. Ma viene la redenzione, viene la luce. Dio ha davvero “fasciato le piaghe dei cuori spezzati”, come dice il profeta Isaia. Avete dato una risposta anche voi come Giovanni Battista: “Non sono io”, non sono le mie sofferenze da mettere al centro, non sono io a essere importante. Vi siete fatti più piccoli perché la luce crescesse anche per noi. Non avete messo voi e le vostre esigenze al centro dell’attenzione, ma forse anche inconsapevolmente, l’amore per la vostra famiglia.
E “amore” è il nome di Dio! Al centro della vita o c’è Dio o c’è il nostro io. E se c’è il nostro io, senza Dio, è tenebra, per quanto noi possiamo illuderci di luccicare.
In fondo, se volete, è quel motto semplice ed efficace che mamma ci ha sempre ripetuto alla sera, quando appunto tutto è avvolto nel buio: “Vai a dormire, perché domani è un altro giorno”. Sì, domani viene la luce. Questa è la speranza. Domani viene sempre la luce, anzi, oggi. Nel giorno di Natale, al quale ci prepara anche questa liturgia, canteremo acclamando al Vangelo: “Un giorno santo è spuntato per noi: venite tutti ad adorare il Signore; oggi una splendida luce è discesa sulla terra”.
Oggi! Questo è l’annuncio. C’è un “oggi” di luce per noi che si chiama Gesù Cristo. Se noi viviamo in questo oggi siamo nella luce, e le tenebre, per quanto tristi e difficili, non ci faranno più paura.
Ecco perché san Paolo ci invita a essere sempre lieti, a ringraziare in ogni cosa, a non spegnere lo Spirito, ma ad astenerci da ogni specie di male, a gettare lontano da noi l’egoismo, la rivincita, il rancore, tutto ciò che porta tenebra nella vita e nelle relazioni, a raddrizzare i nostri sentieri tortuosi. Perché la luce possa splendere e possa essere gioia per noi e per le persone che ci circondano.
Giovanni Battista insegni a ciascuno di noi, ognuno con la propria missione, a essere portatori di luce, a testimoniarla proprio lì dove manca. Il mondo, anche il nostro piccolo mondo, le nostre famiglie, in fondo hanno bisogno di questo: di sapere e sperimentare che c’è una speranza, che questa speranza è praticabile, che questa speranza ha il volto e il nome di un uomo, anzi di un bambino, che non fa male a nessuno, ma solo chiede di essere accolto e abbracciato nella nostra vita. Che quell’uomo è credibile, che noi abbiamo avuto fiducia in lui e continueremo ad averne per l’avvenire, anche quando forse ci saranno altri momenti di tenebre e di buio. Dopo quarant’anni anche noi possiamo indicare quella croce, come Giovanni Battista nel quadro di Grunewald, e dire: la croce è stata salvezza. Anche nella nostra storia personale. 
 La luce che illumina ogni uomo venne nel mondo, e a quanti l’hanno accolta ha dato il potere di diventare figli di Dio. Anche a noi ha dato questo potere. Non scegliamo mai le tenebre, ma la luce.
E sarà gioia, quella gioia che oggi ci invita ad avere la liturgia.
Amen 

Nessun commento:

Posta un commento