Un
pittore che si chiamava Grunewald dipinse nel 1500 una grande pala di
altare raffigurando la crocifissione di Gesù, e insieme a Maria e a
Giovanni, come ci tramandano i vangeli, dipinse dalla parte opposta
Giovanni il Battista, con ai piedi un agnello e l’indice puntato
verso Gesù, a indicare che la sua profezia era finalmente
realizzata: è lui il vero Agnello di Dio, Gesù crocifisso.
Ovviamente
si tratta di un anacronismo: il Battista era già morto quando Gesù
è stato crocifisso. Ma Grunewald fu tuttavia geniale, perché ci ha
mostrato il senso della vita del Battista, che in questa terza
domenica di Avvento è la figura principale. Giovanni Battista
infatti è vissuto per indicare Gesù. Egli era, come abbiamo
ascoltato nel Vangelo, “Testimone della luce”, non era lui la
luce. Davanti ai sacerdoti, agli scribi che lo interrogano sulla sua
identità egli confessa: Io non sono il Cristo, io non sono Elia, io
non sono il profeta... ma “Voce gridante nel deserto”. Non era
lui la Parola, ma la voce che ha prestato suono alla Parola.
La
vita di Giovanni Battista è stata tutta in funzione di Gesù.
Noi
non capiamo fino in fondo questo misterioso legame (i vangeli ci
dicono che fin dal grembo materno questi bambini, uno nel grembo di
Elisabetta e l’altro nel grembo di Maria, si scambiavano messaggi
di gioia). Perché a noi i legami fanno paura: pensiamo che vivere in
funzione di qualcuno limiti la nostra libertà, la nostra identità,
che ci tolga quella autonomia che disperatamente cerchiamo in ogni
momento. Salvo capire poi, in certi momenti difficili, che da soli
non si va da nessuna parte.
Ma
per Giovanni Battista questo fu normale. Più avanti, ai suoi
discepoli che vedono Gesù battezzare e che vanno a fargli la spia,
dirà: “ È necessario che egli (Gesù) cresca, e io invece
diminuisca”. La sua è stata una storia di progressivo
rimpicciolimento, di abbassamento. E anche qui noi non capiamo fino
in fondo, perché pensiamo che nella vita dobbiamo primeggiare,
dobbiamo dimostrare di essere grandi, forti, potenti. Dobbiamo farci
valere. Il mondo funziona così.
Ora
però questa terza domenica di Avvento ci mostra questa figura a
prima vista perdente, da outsider, da passatore di palle-gol...
Ritorniamo
a ciò che viene detto di lui. È testimone della luce. Possiamo
chiederci se la luce ha bisogno di testimoni. La risposta è no: la
luce splende e tutti sono in grado di vederla, o meglio, proprio
perché vediamo diciamo che c’è luce. Quand’è che la luce ha
bisogno di testimoni? Quando è buio. Quando le tenebre avvolgono
tutto. Quando siamo in piena notte senza luna e senza stelle. Questa
è stata la grandezza di Giovanni Battista: egli è stato testimone
nel buio. Per questo ci vuole coraggio. È facile dire: che bella la
luce quando il sole è alto. Più difficile è dire: attenti, anche
se siamo nelle tenebre, verrà la luce.
È
facile parlare quando tutti ti ascoltano e ti applaudono. Più
difficile è gridare nel deserto, dove nessuno ti ascolta, o ti
ascolta soltanto chi decide di addentrarsi nel caldo e nella sabbia,
dove non ci sono strade, ma ci vuole orientamento.
Questo
ha fatto Giovanni: ha mostrato Gesù quando Gesù ancora non c’era.
E
poi ha visto compiuta, realizzata la parola profetica e lo ha
indicato al mondo, presente.
Ora,
cosa ha a che fare questo con la nostra vita?
C’è
stato un momento nella vostra vita, e nelle vite di Manuela, Sandro e
Francesco, in cui quella luce iniziale, carica di attese, di gioia, e
di speranza, si è trasformata nella tenebra più profonda. Nella
perdita di un marito e padre e nella perdita di una moglie e madre.
Tenebra
dentro la quale è difficile dire: che bella la luce, che bello il
bene, che bello l’amore.
La
tenebra impedisce di vedere, di capire, di orientarsi. Costringe a
rimanere immobili. Porta a essere tristi e senza speranza.
Mi
sembra che invece sia accaduto in voi, lentamente ma veramente,
quello che è accaduto a Giovanni Battista: siete stati testimoni
della luce. Avete annunciato, non con parole o prediche, o gesti
particolari, ma con la vostra vita e le vostre scelte, che la luce
splende nelle tenebre e le tenebre non possono vincere. Decidendo di
sposarvi quarant’anni fa, e costituendo una nuova famiglia, di
prendervi cura dei figli che non erano del vostro sangue, voi avete
testimoniato che il bene vince sul male. E che questa non è una
favola, non è una fiaba a lieto fine, ma è la vittoria di Cristo
stesso sulla morte. È quel dito di Giovanni Battista puntato sul
Crocifisso. Costa una croce, costa sofferenza. Ma viene la
redenzione, viene la luce. Dio ha davvero “fasciato le piaghe dei
cuori spezzati”, come dice il profeta Isaia. Avete dato una
risposta anche voi come Giovanni Battista: “Non sono io”, non
sono le mie sofferenze da mettere al centro, non sono io a essere
importante. Vi siete fatti più piccoli perché la luce crescesse
anche per noi. Non avete messo voi e le vostre esigenze al centro
dell’attenzione, ma forse anche inconsapevolmente, l’amore per la
vostra famiglia.
E
“amore” è il nome di Dio! Al centro della vita o c’è Dio o
c’è il nostro io. E se c’è il nostro io, senza Dio, è tenebra,
per quanto noi possiamo illuderci di luccicare.
In
fondo, se volete, è quel motto semplice ed efficace che mamma ci ha
sempre ripetuto alla sera, quando appunto tutto è avvolto nel buio:
“Vai a dormire, perché domani è un altro giorno”. Sì, domani
viene la luce. Questa è la speranza. Domani viene sempre la luce,
anzi, oggi. Nel giorno di Natale, al quale ci prepara anche questa
liturgia, canteremo acclamando al Vangelo: “Un giorno santo è
spuntato per noi: venite tutti ad adorare il Signore; oggi una
splendida luce è discesa sulla terra”.
Oggi!
Questo è l’annuncio. C’è un “oggi” di luce per noi che si
chiama Gesù Cristo. Se noi viviamo in questo oggi siamo nella luce,
e le tenebre, per quanto tristi e difficili, non ci faranno più
paura.
Ecco
perché san Paolo ci invita a essere sempre lieti, a ringraziare in
ogni cosa, a non spegnere lo Spirito, ma ad astenerci da ogni specie
di male, a gettare lontano da noi l’egoismo, la rivincita, il
rancore, tutto ciò che porta tenebra nella vita e nelle relazioni,
a raddrizzare i nostri sentieri tortuosi.
Perché la luce possa splendere e possa essere gioia per noi e per le
persone che ci circondano.
Giovanni
Battista insegni a ciascuno di noi, ognuno con la propria missione, a
essere portatori di luce, a testimoniarla proprio lì dove manca. Il
mondo, anche il nostro piccolo mondo, le nostre famiglie, in fondo
hanno bisogno di questo: di sapere e sperimentare che c’è una
speranza, che questa speranza è praticabile, che questa speranza ha
il volto e il nome di un uomo, anzi di un bambino, che non fa male a
nessuno, ma solo chiede di essere accolto e abbracciato nella nostra
vita. Che quell’uomo è credibile, che noi abbiamo avuto fiducia in
lui e continueremo ad averne per l’avvenire, anche quando forse ci
saranno altri momenti di tenebre e di buio. Dopo
quarant’anni anche noi possiamo indicare quella croce, come
Giovanni Battista nel quadro di Grunewald, e dire: la croce è stata
salvezza. Anche nella nostra storia personale.
La luce che illumina ogni
uomo venne nel mondo, e a quanti l’hanno accolta ha dato il potere
di diventare figli di Dio. Anche a noi ha dato questo potere. Non
scegliamo mai le tenebre, ma la luce.
E
sarà gioia, quella gioia che oggi ci invita ad avere la liturgia.
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