domenica 1 aprile 2018

Omelia nel giorno di Pasqua - Tuili


È l’omelia più difficile questa del mattino di Pasqua, allenati come siamo a parlare di risurrezione senza mai aver visto qualcuno uscire dalla tomba.
Sono le parole più difficili perché ci chiedono di dire l’indicibile, di vedere l’invisibile. E per fare questo i ragionamenti non bastano.
Davanti agli occhi di chi amiamo, non bastano i ragionamenti, non bastano davanti al miracolo della vita, davanti alla tristezza della morte, non bastano davanti ai prati che fioriscono a primavera, non bastano i ragionamenti di fronte alle guerre, alla violenza verso gli innocenti, verso tutti.
Tuili - Maestro di Castelsardo - Retablo, particolare
No, siamo stufi di ragionamenti: a forza di ragionamenti ci siamo privati della possibilità di cercare strade alternative, di cercare sentieri ancora non battuti, ci siamo privati di darci una possibilità diversa per trovare il senso della vita e della morte, di noi stessi e della storia di tutto il mondo.
I ragionamenti sono sempre chiari e distinti, intrappolano e danno definizioni precise, cristalline: due più due darà in eterno quattro, caschi pure il mondo. La formula dell’acqua sarà sempre H2O, a pena di non esser più acqua.
I ragionamenti sono belli e necessari, ma ci rendiamo conto che la vita non può essere tutta e solo un ragionamento. Ci sono delle esperienze che la ragione non può cogliere, come diceva Pascal: Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce.
Ed ecco precisamente cosa ci fa esseri umani: non solo avere un cervello capace di ragionare, di progettare, di elaborare idee bellissime e altissime, ma avere un cuore che quelle idee e quei ragionamenti può guidare a un senso più profondo.
Così allora possiamo ascoltare anche oggi l’annuncio pasquale: Cristo è risorto. È veramente risorto.
È risorto dai morti, è risorto dalla morte, è risorto da morto. Ha attraversato quella soglia che è il nostro spauracchio: l’ha attraversata come tutti faremo, da qui verso il sepolcro, e l’ha riattraversata al contrario, dal sepolcro alla vita che non muore.
Siamo così troppo allenati a vedere la morte, che l’uomo contemporaneo non riesce a scorgere nell’annuncio della risurrezione più di un mito, di una bella idea, che forse genericamente richiama al risveglio primaverile della natura, al fiorire degli alberi, alla luce che gradualmente illumina sempre più le nostre giornate: lo facciamo diventare un surrogato di un fenomeno naturale.
Ci auguriamo “Buona pasqua”, che spesso significa: “Trascorri una buona giornata in compagnia di chi ti vuol bene, pranza bene e sta’ allegro”. E certo questo sarebbe anche già un bell’augurio... Ma non di questo si tratta quando ci diciamo “Buona pasqua”.
Piuttosto stiamo dicendo: la tomba è vuota, il sepolcro è vuoto, il buio è illuminato, Gesù è risorto. Lui può dare senso anche al mio sepolcro, alla mia tomba, al mio buio.
Io so che quella croce non è fine a sé stessa, che dopo il mio intimo tormento vedrò la luce.
Lo so – e qui sta ciò che noi fatichiamo ad accettare – non al modo dell’aritmetica, dove due più due fa sempre quattro, ma al modo dell’amore, dove le cose non hanno la staticità delle formule, ma l’ebbrezza della farfalla che esce dal bozzolo.

L’amore sa librarsi laddove la ragione si posa grave e pesante.
Non lo diciamo anche noi che l’amore fa leggera anche la croce? Fa leggero il passo verso il malato, verso il bambino, fa fare la strada con più grinta ed entusiasmo?
Ed è così che misteriosamente ma veramente siamo stati introdotti in questa notte e in questo giorno santissimo: perché ci venga ancora ripetuto: solo l’amore vince, per quanto piccolo come la fiamma di una candela.
Solo l’amore è la vera forza creativa dell’uomo e della storia. Non la potenza fisica o politica, non l’odio, non la capacità di sottomettere il fratello.
Il vero potere si manifesta più col dare che col togliere (Sebastiano Satta): il vero trionfo è il trionfo dell’amore.
Ma questo, lo sappiamo, non è l’amore dei film di Hollywood o delle favole che si concludono con la solita formula «E vissero tutti felici e contenti»: no, l’amore porta in sé l’inevitabile fatica di amare, persino la sofferenza. Sino alla fine, abbiamo ascoltato giovedì santo, sino a dare la vita.
Solo l’amore è la vera forza che conduce a pienezza i nostri rapporti, non l’odio, non la violenza, non la sopraffazione. Solo l’amore ci rende autentici e consacra le nostre scelte, anche se restiamo dei poveracci sempre bisognosi di perdono.
La vera forza che muove tutto e crea (lo abbiamo ascoltato stanotte nel racconto della creazione) è la forza dell’amore.
Avremo il coraggio oggi di augurarci buona Pasqua a partire da questa prospettiva?
Forse per troppo tempo ci siamo limitati a un moralismo sterile, a una svalutazione del corpo, a una svalutazione di ogni esperienza veramente umana. Ma se ci fermiamo un momento a contemplare la tomba vuota, la risurrezione ci dice proprio che il nostro corpo non è destinato alla putrefazione definitiva!
Che i nostri gesti di amore, anche quelli più fisici (e l’amore o si tocca o non è amore ma solo belle parole!), hanno qualcosa di eterno che rimarrà, perché neppure la morte può distruggere totalmente l’amore.
E questo siamo chiamati a testimoniare in un tempo di grandi violenze: lo vediamo nello scenario internazionale, lo vediamo anche tra di noi, lo vediamo negli occhi di tante persone disperate, disilluse, stanche.
Scambiamoci pure gli auguri di buona pasqua, ma che questo augurio diventi impegno ad amare di più, a rinunciare a un pezzetto di noi per condividerlo con altri, a riprendere il discorso interrotto con quella persona che non mi parla più, a ritrovare il senso della nostra famiglia, a chiedere perdono, a non pensare di essere impeccabili, a dare ancora un’altra possibilità a quel fratello che sbaglia, a prendere per mano qualcuno che soffre.
Solo così sperimenteremo la forza dell’amore.
Klimt - Il bacio
C’è una canzone di Ed Sheeran, che ha duettato anche con Andrea Bocelli. s’intitola “Perfect Simphony”, Sinfonia perfetta. Canta l’amore tra un uomo e una donna e a un certo punto dice: «Mi baci piano ed io torno ad esistere, e nel tuo sguardo crescerò».
Sì, è proprio così: la tenerezza dell’amore è capace di farci tornare all’esistenza, di farci rivivere, e solo lo sguardo dell’amore è capace di farci crescere.
Questo è stato lo sguardo del Padre verso il Figlio, che lo ha risollevato dalla morte, questo è stato lo sguardo del Risorto verso i suoi discepoli, che li ha risollevati dalla tristezza del lutto e dalla vergogna del tradimento.
Questo può essere lo sguardo attraverso il quale oggi decidiamo di guardare alla vita, alla morte, alle nostre relazioni. E questo sia lo sguardo nel quale ci sentiamo amati e custoditi da un Dio che abbassandosi ci fa grandi, che morendo ci ha dato la testimonianza di un amore sino alla fine, quello stesso amore che è diventato la forza dirompente uscita dal sepolcro, per lui e per tutti coloro che credono in lui, per noi, per l’umanità intera.


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