Questa domenica si va al voto in Sardegna. O meglio: questa domenica tutti siamo invitati ad andare al voto per rinnovare il Consiglio Regionale e per eleggere il Presidente della Regione.
Il voto non piace agli italiani in generale e ai sardi in particolare: nelle ultime elezioni politiche il calo è stato vertiginoso, con neppure il 64% di affluenza. Nelle Regionali del 2019 andò a votare circa il 54% dei sardi.
Significa che il Presidente fu scelto da poco più di un quarto degli aventi diritto: il 25% del totale dei maggiorenni in Sardegna.
Certo con questi numeri è facile lamentarsi del cattivo governo da una parte ed è facile rivendicare il buon governo dall’altra. La realtà è che la nostra società spesso pensa di non poter cambiare le cose attraverso il voto, le persone sono stanche, disilluse, disincantate, non credono di poter esprimere e costruire un cambiamento con la partecipazione alle elezioni e con la scelta di persone idonee a rappresentarli.
Questi ultimi cinque anni sono stati investiti in pieno dalla pandemia di Covid 19, ma sono anche stati anni in cui si è potuto contare sulla progettazione del PNRR per ridare nuovo impulso all’economia e non solo.
Quest’anno la scelta ricade su quattro candidati, i quali, al netto delle foto opportunity con personaggi che possono accreditarli in questa o quell’altra area della società, rappresentano una fetta più o meno consistente del mondo politico e partitico della Regione.
La complessità della società attuale non vede di buon occhio l’espressione di un partito unico che rappresenti le istanze dei cattolici, e forse è meglio così: ovunque siamo lievito e non pasta (per quanto a leggere certi programmi sembrerebbe che neppure il lievito riesca a rimanere vivo, ma non si sa mai).
Certamente ci sono da segnalare a tutti alcune priorità, che ho racchiuso in un decalogo (si parva licet):
1) Improrogabilità della questione abitativa: AREA non riesce a sviluppare un progetto di edilizia pubblica che risponda alle esigenze della nostra Isola. Il rincaro degli affitti, la difficoltà negli accessi e nei pagamenti dei mutui casa non permettono ai giovani di mettere su famiglia e impediscono di tornare in Sardegna a coloro che vogliono farlo;
2) Educazione, formazione, dispersione scolastica: la povertà educativa (con una significativa presenza di NEET) e la dispersione non solo esplicita (abbandoni) ma anche implicita (competenze inadeguate e scarsamente competitive) rende i nostri giovani inadatti ad inserirsi nel mondo del lavoro, e spesso anche a curarsi di sé stessi; la fragilità del sistema formativo professionale fa sì che manchino figure formate per le aziende del territorio;
3) La situazione delle carceri sarde, sia per le persone ristrette e sia per il personale: mancano direttori, mancano agenti di polizia penitenziaria, mancano educatori, medici. Manca un progetto serio di accompagnamento per il recupero alla socialità di chi ha sbagliato e paga il proprio debito con la giustizia;
4) La situazione delle donne (personale, lavorativa, formativa, familiare): le donne in Sardegna lavorano ancora troppo poco, perché talvolta è difficilissimo quando non impossibile conciliare il lavoro fuori casa con le esigenze della famiglia.
5) La creazione di adeguate politiche di supporto al lavoro povero (i dati dell’ultimo Rapporto di Caritas Sardegna sul lavoro non-standard sono un buon punto di partenza);
6) La situazione delle comunità di recupero da dipendenze, non adeguatamente supportate dalla Regione e la situazione della sanità, a partire dal numero di medici di famiglia e pediatri;
7) L’attenzione alle aree rurali e alle aree spopolate e poco urbanizzate dell’Isola;
8) La situazione dell’industria: Cagliari, Portovesme, San Gavino, Villacidro, ma non solo;
9) L’inquinamento ambientale;
10) Infine: la soluzione del problema dei campi dove sono confinate le famiglie di etnia Rom, e una adeguata politica di inclusione sociale per loro e con loro.
Chiunque governi la Sardegna dopo il 25 febbraio non può non misurarsi con questi problemi.
Andiamo a votare per scegliere persone capaci, rigorose, desiderose di lavorare per il bene comune. Ce ne sono ancora, e noi dobbiamo avere fiducia.