In
questi giorni abbiamo visto Gesù percorrere le strade della Galilea
ad annunciare la buona notizia del Regno di Dio, lo abbiamo visto
circondato di discepoli e di discepole. Oggi ci racconta una
parabola, che a prima vista è moto urtante, perchè racconta
un’ingiustizia umana: il padrone della vigna chiama in orari
diversi della giornata degli operai a lavorare nella sua vigna.
Alcuni li chiama a pomeriggio inoltrato ed essi lavorano solo per
un’ora. Alla fine della giornata, chiamati a ricevere la paga,
tutti ricevono un denaro. E i primi si lamentano col padrone: Noi
abbiamo faticato sotto il sole, e ci hai dato lo stesso salario di
questi che sono arrivati alla fine.
È
una rivendicazione sindacale sacrosanta: un giusto stipendio, una
giusta pensione in base al lavoro svolto.
A
pelle ci sembra di dover stare dalla parte di questo operaio, perchè
i suoi diritti non sono rispettati.
Eppure
la risposta del padrone ci lascia un po’ perplessi: «Amico, io non
ti faccio un torto: abbiamo concordato insieme un denaro, te l’ho
dato. Ma io voglio dare anche agli ultimi la stessa paga. Non posso?
Sei invidioso perchè io sono buono?».
Ecco,
questo non ce lo aspettavamo, perchè scopriamo un padrone che non ha
la tabella delle ore lavorate, che non tiene conto delle nostre
pause, dei nostri ritardi, del nostro essere arrivati all’ultimo
momento. Non è un Dio-finanziere, insomma, ma un Dio buono. La sua
identità corrisponde con la sua bontà, con la sua generosità, con
la sua apertura di cuore, con la sua magnanimità, con la sua
misericordia.
E
noi invece siamo sempre fermi a fare i confronti con gli altri: ma
quello ha ricevuto di più, ma io ho ricevuto di meno, ma Dio non è
giusto...
No,
noi spesso vorremmo un Dio fiscale (soprattutto nei confronti degli
altri, dei ritardatari, di quelli che fanno poco o nulla, e noi
invece abbiamo fatto tanto, abbiamo faticato nella vigna, abbiamo
pregato, abbiamo fatto tanta carità, abbiamo servito. Per cosa poi?
Per
avere la stessa paga del pubblicano Matteo, della prostituta
Maddalena?
Eh
no, Signore. Abbiamo lasciato tutto per essere accomunati ai poco di
buono? Così non va bene.
Vorremmo
un Dio fiscale, e invece Gesù ci presenta un Padre buono, che vuole
elargire i suoi doni senza misura, che vuole condividere con tutti la
sua bontà e la sua bellezza.
Forse
qualcuno dirà: è troppo comodo. Troppo facile arrivare all’ultimo
momento e ricevere il premio come chi è stato fedele per tutta la
vita.
No,
fratelli e sorelle.
L’invito
che il Signore fa è sempre un invito alla conversione: l’empio
abbandoni la sua strada, l’uomo iniquo cambi le sue idee,
ritornate! Ci ha ricordato Isaia profeta, perchè il Signore avrà
misericordia di lui, il nostro Dio perdona largamente!
Ma
a lui non interessa se noi abbiamo lavorato fin dalla nostra infanzia
o se ci siamo convertiti da vecchi. A lui interessiamo noi, interessa
la nostra vita e la nostra felicità.
Ecco
perchè facciamo fatica a capirlo, e i nostri pensieri son così
lontani dai suoi: perchè noi vorremmo la retribuzione, la tabella
che segnasse a ogni nostra azione buona un punto paradiso. Così alla
fine della nostra vita saremo tranquilli.
Ma
questo è un commercio non è un rapporto di amore e di amicizia con
il Signore: anche Pietro e gli altri discepoli, proprio prima che
Gesù raccontasse questa parabola, aveva chiesto al Maestro:
Signore, noi che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa ne
avremo in cambio?
Facciamo
fatica a cambiare la nostra mentalità legalista, dove ogni cosa deve
avere il suo giusto corrispettivo.
Ma
per Dio non funziona così: egli è buono, e fa delle sue cose ciò
che vuole, non per capriccio, ma per larghezza.
Vuole
dare a ciascuno il suo premio, la sua ricompensa, ma non perchè
questa risulti equivalente a una prestazione d’opera.
E
noi dobbiamo chiedere al Signore che ci faccia passare da un rapporto
commerciale a un rapporto di fede e di amore. Che ci faccia smettere
di paragonarci tra di noi, di vedere se gli altri fanno almeno quello
che faccio io, smettere di gareggiare per essere lodati.
Andiamo
un momento a Lourdes, ritorniamo in quel villaggio da quella
ragazzina ignorante, da quel ciottolo, da quella buona a nulla.
Ricordate, vi ho detto ieri che la superiora aveva a un certo punto
esclamato: «Ma chissà perchè la santa Vergine ha scelto questa
contadinella, quando c’erano tante anime pie tra le religiose,
molto più degne».
Il
messaggio di Lourdes ci lascia la stessa insoddisfazione della
parabola di questa domenica: l’ultima arrivata riceve lo stesso
dono, anzi ne riceve uno maggiore.
Una
ragazzina che non sapeva esprimersi, che non aveva grandi doti
intellettuali, che confondeva le parole, e che però è sempre
rimasta fedele alla preghiera, a quella ironia e buon animo anche
davanti alle disgrazie. Una ragazzina che sapeva ridere e far ridere
imitando il vocione del parroco di Lourdes davanti alle altre
amiche...
Una
ragazzina a cui Maria annuncia: «Non vi prometto di farvi felice in
questo mondo, ma nell’altro».
Certo
a noi può sembrare un’ingiustizia, un Dio che promette solo per un
aldilà.
Ma
Bernadette ha vissuto questa semplicità evangelica proprio nel tempo
in cui era fortissimo il legalismo religioso, il senso delle pratiche
talvolta fini a se stesse, quella serie di norme legaliste che ancora
non molti decenni fa si dovevano osservare per andare in paradiso.
E
se noi oggi sperimentiamo un po’ il contrario, la quasi totale
assenza di regole, ci sembra che la strada sia ripristinare le
regole. No, fratelli e sorelle, la strada ce la insegna Bernadette a
Lourdes: vivere il vangelo nell’umiltà, come a Nazaret, senza
trine e merletti, senza opere brillanti di scienza o di sapienza.
Bernadette
a Lourdes e poi a Nèvers, dove trascorse il resto della vita ha
imparato e vissuto l’umiltà, il non mettersi al di sopra degli
altri, il non chiedere trattamenti speciali.
Ha
imparato lo spogliamento. Ci insegna con la sua vita, non con le
parole di cui siamo pieni. Parole di parolai che non vivono ciò che
dicono. Lei, Bernadette, che voleva vivere con amore «il compito di
essere malata», come dirà.
Verso
di lei, anche noi, operai dell’ultima ora, abbiamo un debito di
riconoscenza per la sua trasparenza, per la sua umiltà nonostante
avesse avuto il grande dono di vedere la Madre di Gesù e Madre
nostra.
Preghiamo
perchè siamo sempre capaci di metterci a lavorare, senza badare alla
ricompensa dei nostri sforzi, ma spinti soltanto dall’amore a Dio e
al prossimo.
Amen
Nessun commento:
Posta un commento