Queste parole di Dietrich Bonhoeffer, scritte verso il Natale del 1942 mi sembrano quantomai attuali, sia quando guardiamo alla nostra società, alle prossime elezioni politiche, sia quando guardiamo alla Chiesa, agli uomini e donne di Chiesa (preti, vescovi, suore, ma anche laici).
Meditate, gente, meditate!
Per
il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità.
Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in
caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta
sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé
nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la
stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nulla, né
con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente.
Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali
semplicemente non si deve credere – in questi casi lo stupido
diventa addirittura scettico – e quando sia impossibile sfuggire ad
essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi
irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si
sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura
pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco.
Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello
stupido che del malvagio. Non tenteremo mai più di persuadere lo
stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.
Se
vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo
cercare di conoscerne l’essenza. Una cosa è certa, che si tratta
essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto, ma
l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente
elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini
molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci
accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si
ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma
piuttosto che in determinate situazioni gli uomini vengano resi
stupidi, ovvero si lascino rendere tali. Ci è dato osservare,
inoltre, che uomini indipendenti, che conducono vita solitaria,
denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che
inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la
stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un
problema psicologico. È una forma particolare degli effetti che
le circostanze storiche producono negli uomini; un fenomeno
psicologico che si accompagna a determinati rapporti esterni.

Ma
a questo punto è anche chiaro che la stupidità non potrà essere
vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di
liberazione. Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella
maggioranza dei casi un’autentica liberazione interiore è
possibile solo dopo essere stata preceduta dalla liberazione
esteriore; fino a quel momento, dovremo rinunciare ad ogni tentativo
di convincere lo stupido.
In
questo stato di cose sta anche la ragione per cui in simili
circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che cosa
effettivamente pensi il “popolo”, e per cui questo interrogativo
risulta contemporaneamente superfluo – sempre però solo in queste
circostanze – per chi pensa e agisce in modo responsabile. La
Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza
(Sal 111,10), dice che la liberazione interiore dell’uomo
alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria
sulla stupidità.
Del
resto, siffatte riflessioni sulla stupidità comportano questo di
consolante, che con esse viene assolutamente esclusa la possibilità
di considerare la maggioranza degli uomini come stupida in ogni caso.
Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di coloro che
detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella
stupidità o più nell’autonomia interiore e nella intelligenza
degli uomini.
(D.BONHOEFFER,
Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, San Paolo,
Cinisello Balsamo 1988, 64-66)
Purtroppo, uomini non so se malvagi o stupidi hanno costruito una società nella quale 210 giorni di scuola all'anno per 12 anni non sono sufficienti a rendere i ragazzi idonei a comprendere un testo di più di 10 righe o ad apprezzare la poesia
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