Mi
colpisce sempre l’atteggiamento di Gesù nei confronti della folla
che lo segue: ne ha compassione perché sono come pecore senza
pastore. Le pecore, lasciate a se stesse, si disorientano,
difficilmente riescono a tornare da sole all’ovile, sono facili a
smarrirsi e diventano preda dei lupi.
Dunque
non hanno bisogno soltanto di pascoli ubertosi e acque tranquille, ma
anche di qualcuno che ce le porti, che mostri la via. Hanno bisogno
di trovare il senso al loro vagare.
Anche
noi siamo così: banalmente si pensa che l’uomo abbia bisogno
soltanto del cibo, della salute, del lavoro, della sicurezza. Ma se
non conosco il senso, la direzione, il destino della mia vita, che me
ne faccio di tutto questo? Ecco perché, commuovendosi per la folla,
Gesù non compie miracoli, non fa guarigioni, non libera dai demoni,
ma insegna loro molte cose.
Il
vangelo non ci trasmette il contenuto di questo insegnamento, ma non
è fondamentale. Conta rilevare ciò che egli fa: parla loro, cioè
li umanizza, egli che è il Logos crea legami parlando (logos),
perché essi si innalzino dalla sfera puramente animale che tutti ci
accomuna, quella dei bisogni primari. Solo allora soddisferà anche
la fame della loro pancia.
Questa
è la pedagogia di Gesù: offrire un senso, una direzione alla vita.
Ed egli lo fa rendendosi conto di chi ha davanti: prima i discepoli,
affaticati per la missione, che non hanno neppure il tempo di
mangiare, e che invita a riposarsi lontano dalla folla (ci sarebbe
molto da dire sulle pretese della folla e sul desiderio di
immolazione dei preti...). Poi la folla, che egli vede, e della quale
scorge il bisogno profondo e non soltanto l’ansia superficiale.
Allenarsi
ad avere lo sguardo di Gesù sulle persone, per offrire in lui senso
alla vita.
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