Sono molte le suggestioni che ci consegna la figura di sant’Isidoro e ritengo che abbiamo molto da ringraziare perché la Chiesa ci fa celebrare le feste dei santi, che sono i nostri amici presso Dio, ma senza mai dimenticare che sono state persone mortali come noi.
Isidoro non era né prete, né frate, né monaco, ma un laico, uno sposo, un padre di famiglia, un lavoratore della campagna, una persona che a un certo punto della vita ha dovuto abbandonare il suo paese, la sua città a causa della guerra, per cercare lavoro e fortuna altrove, noi diremmo oggi un emigrato.
Inoltre sua moglie è associata a lui nella santità, anche lei santa, Maria Toribia.
Vedete che già da questi pochi tratti praticamente tutti noi che siamo qui possiamo cominciare a immedesimarci: d’altronde celebrare una festa non significa dimenticare il quotidiano, i giorni ordinari, dove appunto i nostri rapporti, il nostro lavoro, la nostra famiglia sono un po’ il luogo dove ci viene chiesto di vivere il vangelo, di seguire il Signore come ha fatto sant’Isidoro. Anzi, noi oggi portiamo qui proprio il nostro fardello, il nostro carico di preoccupazioni e di gioie, di richieste e di ringraziamenti e lo deponiamo sul carro di Isidoro perché lo presenti al Signore: questo fanno i santi.
Ma se poi proviamo a scendere un po’ più in profondità nella figura di questo grande santo, la cui fama subito dopo la morte si era diffusa in tutto il Regno di Spagna, ci rendiamo conto che ha molto da dirci.
Perché, ci chiediamo, se lui è diventato santo, io non posso diventarlo? Cosa ci vuole per diventare santi?
Innanzitutto smontiamo subito qualche idea: noi abbiamo sentito dei miracoli di sant’Isidoro: il miracolo degli angeli che portano avanti il lavoro mentre lui prega, o dell’acqua del pozzo che si solleva per permettere al bambino caduto dentro di salvarsi. Ma i miracoli non sono la causa della santità, sono semmai la conseguenza della fede di Isidoro.
A noi vengono raccontati in modo un po’ ingenuo, ma ci dicono una cosa importante su Isidoro: che egli era uno che si fidava di Dio, che prendeva molto sul serio la sua parola, che attribuiva a Dio un vero valore di realtà (Teilhard), che credeva nell’importanza della preghiera. E che tutto questo non lo allontanava dai suoi impegni quotidiani, dal suo lavoro dalla sua famiglia. Anzi! La vicinanza con Dio lo faceva sentire anche più vicino ai poveri, più attento a quelli che lo circondavano.
Noi potremmo pensare che il santo è uno che si mostra tale, è uno che fa qualcosa di particolarmente forte, eclatante. In Sant’Isidoro vediamo l’esatto contrario. Egli è una persona normale, è insignificante agli occhi della società del tempo (e anche della nostra, forse): è un bracciante agricolo.
E a noi la normalità e l’insignificanza ci spaventano. Basta vedere i social: conta chi totalizza più “mi piace”, conta chi appare sempre bello/a, con la pelle liscia, con l’abbronzatura, con gli abiti firmati: questi sono i modelli a cui aspiriamo e a cui aspirano i nostri ragazzi.
È un mondo un po’ malato dove gli e le influencer, coloro che influenzano gli stili di vita, sono normalmente persone che pontificano su tutto senza aver mai studiato o approfondito nulla, e guadagno pacchi di soldi praticamente senza lavorare.
Se chiedete ai ragazzi e ai bambini quali sono i loro “idoli”, vi risponderanno in fretta.
Sant’Isidoro è un po’ il contrario di tutto questo: non è un grande condottiero, non è un soldato, non combatte, non appare. Non sa di essere santo. È un povero laico che non sa leggere né scrivere. Si sposta per cercare pace dove pace non c’è, in una Spagna mezzo conquistata dai musulmani.
Non fa la guerra, fa il suo lavoro, ama sua moglie, soffre la perdita di un figlio, condivide i suoi guadagni con i più poveri, sfama gli uccellini affamati durante l’inverno.
Si può essere santi per così poco?
Evidentemente sì, si può.
E allora possiamo domandarci forse come può essere la santità oggi? In cosa deve consistere?
Sicuramente in una vita nascosta, poco appariscente, in un lavoro duro, anche manuale, un lavoro che dà soddisfazioni quando vien bene, ma che è ricco di incognite, proprio come l’agricoltura, che è soggetta alle stagioni, ai cambi meteorologici improvvisi, alle malattie...
La santità oggi poi dovrà certamente consistere nell’amare sinceramente e con forza le persone che ci sono affidate, nel far fiducia nella possibilità di perdonare. Nell’amare i poveri e aiutarli.
Stiamo assistendo oggi a un imbarbarimento delle relazioni, a prediche di odio contro chiunque sembri minacciare la nostra presunta tranquillità, a parole cariche di odio verso chi è diverso, chi è malato. C’è un ragazzo a Oristano, Paolo, che lotta contro la SLA e cerca di entrare in un programma sperimentale di cura che costa molti soldi raccogliendo dei fondi, e ci sono delle persone che gli vanno contro e gli augurano di morire prima di provare la cura.
Noi vediamo oggi sdoganata una violenza fisica e verbale che non si ferma neanche davanti a una donna che tiene in braccio un bambino, persone che tradizionalmente anche il senso comune metteva tra i “deboli” da preservare a tutti i costi.
In questi giorni noi sperimentiamo fortemente che coloro che dovrebbero costruire il bene comune attaccano chi per questo bene comune lavora spesso gratuitamente e senza strombazzare la propria azione.
La santità oggi dovrà consistere nel lottare nel proprio piccolo contro ogni ingiustizia, sapendo che la prima e necessaria conversione avviene dentro di noi, quando rifiutiamo il male e impariamo a fare il bene.
Il santo, oggi come ieri, sarà una persona che noi diremmo normale, una persona che può sbagliare ma che si fa illuminare dall’azione dello Spirito e così sarà per noi un pungolo alla nostra mediocrità.
Noi possiamo essere santi e la nostra santità non apparirà mai sui giornali, non si prenderà i flash delle macchine fotografiche, avrà piuttosto il sapore dello sconosciuto e misconosciuto. Qualcuno potrà pensare che siamo strani: e chi non giudicherebbe strane persone che sono disposte a farsi ammazzare per il semplice fatto di partecipare alla Messa domenicale?
Questa è però la serietà del Vangelo, la verità del Vangelo. Che anche sant’Isidoro ha sperimentato: l’accusa ingiusta, il giudizio. Ma questo, se vissuto nella fede, significa anche partecipare alla passione di Cristo, e quindi in modo misterioso ma reale, essere più vicini a lui, portare un pochino con lui il peso della sofferenza del mondo.
Questa è la forza che ci imprime il battesimo, e questa è la modalità con la quale anche in questo mondo può risplendere il volto di Dio: attraverso la nostra povertà e semplicità. I santi sono fatti di questa stoffa, come sant’Isidoro e come tutti gli altri.
Il Signore ci aiuti a fidarci di lui, perché ci conduca sulla via della santità. Amen
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