venerdì 27 settembre 2019

De “s’accabbadora” e altre leggende


Vi do una brutta notizia: s’accabadora non è mai esistita!
Eh già, avete letto bene: non è mai esistita. So che fior fiore di lettori di Michela Murgia ignorano questo particolare che lei stessa rivela candidamente in alcune interviste che è facile trovare sul web. Per esempio alla domanda: «Accabadora si nasce o si diventa?», la vincitrice del Premio Campiello risponde: «Si diventa, ma insieme, nel senso che non è una vocazione individuale, è una funzione che si sviluppa grazie a una comunità che richiede quel servizio e ne protegge l’impunibilità. In Sardegna non esiste l’accabadora, né è mai esistita. È una figura indimostrabile dal punto di vista storiografico e smentibile da quello antropologico. Ciò che davvero è esistito è l’azione che lei compiva, non il mestiere. È più probabile che qualunque donna, all’occorrenza, fosse addestrata a svolgere quel compito. Mai, però, per i propri genitori, perché il vantaggio tratto sarebbe stato eccessivo, dall’eredità alla sollevazione da una cura gravosa. Poteva essere una vicina di casa a chiederti di fare un gesto simile verso suo padre. Lei l’avrebbe fatto per te e tu, a suo tempo, l’avresti fatto per lei. È un gioco di colpe che passano di mano in mano. Fino agli anni ’50, la comunità sarda ricorreva a quella figura leggendaria, che sintetizzava in sé tutte le colpe». (https://www.settesere.it/it/notizie-romagna-il-castoro-la-scrittrice-michela-murgia-a-colloquio-con-gli-studenti-a-faenza-n20092.php).
E ancora, alla domanda «Ha mai conosciuto un’accabadora?», la scrittrice di Cabras conferma: «L’accabadora è una figura leggendaria. Usata specialmente dai vecchi come spauracchio per i bambini troppo vivaci: “Guarda che viene l’accabadora”. Io ho voluto, in questo mio romanzo, farla donna, darle carne e sangue. Mentre era solo una figura non probabile perché non fissata da documenti scritti, ma tramandata oralmente» (https://www.larena.it/home/altri/interviste/leggenda-di-eutanasia-laquo-l-accabadora-sarda-dava-la-morte-e-la-vita-raquo-1.2725046).
Poi certo è difficile comprendere come coniugare la non esistenza dell’accabbadora con l’esistenza del gesto dell’accabbare (sarebbe come dire che non esistono assassini, ma esiste l’omicidio), ma questa domanda la lasciamo ad altre interviste della Murgia.
Ma la cosa che mi lascia sconcertato è leggere che un prelato dalla sua Cattedrale web dà invece per pacifica l’esistenza di questa figura tradizionale e mitologica (https://www.giuseppemani.it/la-lettera-della-settimana/femina-agabbadora.html), parlando di eutanasia, fine vita e tutti i temi collegati e mostrandoci come dei selvaggi che fino a non molti decenni fa avevano dentro il loro tessuto sociale una simile figura.
Ora non mi addentrerò nell’argomento, perché è un tema complesso che richiede di deporre le armi e provare a parlarsi. Tema che per noi cristiani è della massima importanza: derogare al prendersi cura della persona malata fino al naturale compimento della vita pone in discussione il cardine stesso della nostra religione, che fa del Crocifisso il segno della propria speranza.
Ma proprio per questo il tema andrebbe affrontato senza preconcetti ideologici, comprendendo bene il valore della posta in gioco, con competenze mediche, spirituali, antropologiche, perché oggi le situazioni sono sempre più complesse.
Qui mi premeva dirvi che non potete usare s’accabbadora per giustificare idee che sono tutte vostre, e che non appartengono alla nostra tradizione. Sarebbe come dire che usiamo Superman per giustificare chi salta da un palazzo all’altro.
In quell’immenso capolavoro che è Il giorno del giudizio, Salvatore Satta racconta che Donna Vincenza custodiva i fiammiferi spenti che il figlio più piccolo raccoglieva quando il lampionaio accendeva i fanali a petrolio che illuminavano le strade di Nuoro. E dice Satta che «dietro quelle cose morte c’era una vita immensa, uno sconfinato mondo d’amore […]. C’era l’idea di una terra, della terra per noi arida e avara, piena di doni meravigliosi; c’era la fantasia del gratuito, che ha mosso il creatore alla sua creazione: la gioia di sentirsi partecipe di questa creazione e di questo dono. Il senso dell’utile e dell’inutile è estraneo a Dio e ai bambini: esso è l’elemento diabolico della vita».
Satta aveva ragione da vendere.


2 commenti:

  1. Non ero a conoscenza dell’esistenza di Cattedrali web e ringrazio per questa interessante riflessione. Tuttavia, il primo impatto, visitando il link proposto, ha sortito in me quasi lo stesso effetto della mitologica accabadora e, visto l’esempio specifico, credo che continuerò a preferire le cattedrali non virtuali, ma quelle costruite come comunità di persone. Quelle dove puoi stringere mani e guardare negli occhi, incontrare umanità, generare vita. L’assenza di competenze da una parte, la bulimia di preconcetti dall’altra rischiano di portarci a guerre ideologiche che, nel grande oceano di confusione imperante, rischia di trovare i più impreparati e facili prede di culture di morte, in cui solo certe terminologie costruite e inventate al bisogno, fanno rabbrividire. Proprio ieri mattina leggendo un commento al vangelo del giorno (…il figlio dell’uomo deve soffrire molto Lc 9,22), mi sono imbattuta in questa frase di S. Weil: “L’estrema grandezza del cristianesimo deriva dal fatto che esso non cerca un rimedio soprannaturale contro la sofferenza, ma un uso soprannaturale della sofferenza”. Forse è il soprannaturale che oggi spaventa i più, salvo forse, per tutti i casi di accabadora e simili.

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