venerdì 9 giugno 2017

Il papa pregherà sulla tomba di don Primo Mazzolari - Intervista a Bruno Bignami

Questa intervista è apparsa in versione ridotta sul numero dell'11 giugno del quindicinale della Diocesi di Ales Terralba Nuovo Cammino.

 Il 20 giugno papa Francesco andrà in visita privata a pregare sulle tombe di don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, due preti “scomodi” nell’Italia del secolo scorso.
In particolare nel gennaio 1953 don Mazzolari visitò la Sardegna e anche Ales, incontrando mons. Tedde (“Simpaticissimo”, annoterà don Primo). Predicò anche a Guspini (centro minerario e il più comunista della diocesi di Ales e della Sardegna), a Villacidro e a San Gavino.
Abbiamo intervistato don Bruno Bignami, presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari” che ha sede a Bozzolo.

In che modo la Fondazione tiene viva la memoria di Primo Mazzolari?
L’istituzione, che ha sede a Bozzolo, nasce nel 1981 per volontà di amici e cultori della figura di don Primo e si sostiene sulla generosa gratuità di volontari. Ha il compito di raccogliere e custodire il materiale d’archivio che riguarda la figura e l’operato di don Mazzolari. Continua a pubblicare i suoi testi perché siano letti. Si impegna a far conoscere il messaggio mazzolariano nel nostro tempo. La scuola del parroco di Bozzolo è particolarmente impegnativa e c’è la tentazione di sedersi sui riconoscimenti.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita alla Fondazione "Don Primo Mazzolari" - Novembre 2016
Com’era don Primo nell’intimità degli amici e dei parrocchiani più umili?
Don Primo aveva una ricca umanità e un cuore appassionato. Questa è stata la sua forza nelle relazioni con i parrocchiani e con le molte persone che lo cercavano o che avevano la fortuna di poterlo accostare. Gli ultimi, i poveri, i diseredati, i disperati trovavano nelle sue parole e nella sua umanità rifugio, oltre che risposte generose.

La società di oggi è molto mutata rispetto a quella in cui è vissuto don Primo. Settant’anni di pace, non più contrapposizioni, non più fascisti, comunisti, Democrazia Cristiana. È ancora attuale il messaggio del parroco di Bozzolo?
Il messaggio di pace di don Mazzolari ci lancia sul futuro e non solo sul presente. Basti guardare ciò che capita ai nostri giorni: le tensioni in Medio Oriente, la corsa agli armamenti, le riduzioni delle religioni a luoghi di identità contrapposte, gli atti terroristici... Tutto fa pensare a una società molto cambiata rispetto a quella in cui visse don Primo, ma i contrasti sociali appartengono ancora al nostro mondo. Le ideologie sono state svuotate dall’interno, ma l’individualismo odierno non è meno ideologico di ciò che è appartenuto al secolo scorso. Mazzolari ha la visione di un cristianesimo incarnato dentro la storia: questo messaggio mi pare che difficilmente possa avere una data di scadenza.

«I lontani chiedono di essere capiti. Pretendono di vedere con chiarezza il volto di una religione che in fondo stimano ancora e dalla quale si sono staccati per delusione d’innamorati». Così scriveva Mazzolari nel 1938. Pensa che scriverebbe ancora oggi queste parole? Oppure oggi il peggior nemico è la totale indifferenza a Cristo e alla Chiesa?
Mazzolari amava dire che la Chiesa è un «focolare che non conosce assenze». L’indifferenza può avere diverse cause. In primo luogo è la perdita del valore di ciò che è la fede nella vita. In secondo luogo potrebbe significare una secolarizzazione che devasta anche la vita cristiana, per cui conta l’effimero, l’immediato, l’idolo a portata di mano, come il denaro... Infine, l’indifferenza è la risposta a una comunità cristiana incapace di prendersi cura. Per questo terzo aspetto il messaggio mazzolariano è uno stimolo a vivere con passione la fede.

«La carriera del prete finisce il giorno della sua prima Messa e davanti al cancello del cimitero della sua parrocchia» (da Preti così). Sembra di sentire certi richiami di papa Francesco contro il carrierismo e l’arrivismo clericali. Eppure don Mazzolari fu un prete sempre in prima linea, soprattutto nel panorama culturale, con don Milani, p. Turoldo, p. Balducci. Preti culturalmente e profeticamente avanti. Si ha l’impressione che di preti così non ce ne siano più in giro... che nei salotti TV si veda tutt’altra caratura...
La tentazione del carrierismo è una malattia del tessuto ecclesiale, capace di produrre effetti devastanti. I preti citati hanno avuto il merito di abitare il proprio tempo con il Vangelo in mano, senza troppi calcoli sulle conseguenze personali di tutto ciò. Ebbero un’umanità ricca e caratteri forti, capaci di sopportare la croce dell’opposizione e dell’incomprensione.
Al loro tempo sono stati anche molto periferici e solo il tempo ha fatto emergere la loro caratura umana e spirituale. Non dispererei che nelle periferie della Chiesa attuale ci siano ancora preti così. Non emergono, ma ci sono. Lo Spirito non si rassegna a chiudere la Chiesa dentro logiche di potere. Per questo continua a soffiare dove vuole e sa spiazzarci.

Da cosa derivarono i suoi attriti con la Gerarchia? E la sua riabilitazione?
Gli attriti con la Gerarchia non furono dovuti a questioni dottrinali, ma all’opportunità di alcuni interventi in temi sociali o riguardavano la visione di una Chiesa capace di dialogo e di profonda vicinanza all’umanità. Poi, si capisce, la questione diviene anche dottrinale. Don Primo è stato predicatore della misericordia di Dio, a partire dal libro La più bella avventura, pubblicato nel 1934. Proprio questo testo rappresenta il primo motivo di contestazione del Sant’Uffizio: un Dio misericordioso e che chiede conversione da parte di tutti sconvolge e destabilizza.
Da qui l’attuale riabilitazione. Mazzolari ha saputo anticipare la centralità della misericordia propria di papa Francesco. Aveva ragione Paolo VI quando disse: «Aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro». L’autorità che perde di vista l’ascolto della profezia e la centralità del messaggio evangelico si arena e si avvita su sé stessa.

Che significato ha la visita di papa Francesco a Bozzolo, per pregare sulla tomba di don Primo?
don Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana
Penso che la visita di Francesco a Bozzolo sia da collegare a quella che nella stessa mattinata del 20 giugno farà a Barbiana, sulle orme di don Lorenzo Milani. Mi verrebbe da definirla una giornata profetica! Tuttavia, immagino che l’intento del papa sia quello di indicare modelli significativi di spiritualità sacerdotale per il nostro tempo. Se così fosse, si tratterà di un ulteriore gesto profetico. Non mi stupirei, visto che Francesco quando esce dal Vaticano non lo fa in modo casuale. I suoi gesti intendono mostrare prospettive di futuro.

«Egli non canta l’inno delle cose come dovrebbero essere, ma racconta le cose come sono» (Adesso n. 15 del 1/8/1957). Forse sta qui la sua profezia? Non tanto nel fare moralismo, ma nell’estrema parresia della sua analisi?
La capacità analitica di Mazzolari è fuori discussione. Ha abitato il suo tempo con l’intelligenza della fede, a evidenziare che la vita cristiana non disdegna una critica costruttiva. Don Primo non ama un moralismo che si rifugia nelle sicurezze del dejà vu, ma prova a stare dentro la storia con le sue contraddizioni e le sue fatiche.

Nel leggere i suoi scritti mi sembra che don Primo sia stato un uomo che fece della speranza la sua stella polare, la chiave di lettura di ogni evento, anche il più nefasto. Speranza da vivere e da annunciare, da offrire a tutti e per tutti (persino per «nostro fratello Giuda»). Si sente di condividere questa lettura della vita di don Primo?
Una delle definizioni più appropriate di don Mazzolari è quella di «parroco dei lontani». Il suo cuore di pastore era abitato dalla preghiera e dall’incontro con la parola di Cristo. Fu innamorato del vangelo, ma non per tenerlo per sé: ha inteso essere un prete capace di rivolgere una parola a tutti, di dare fiducia, di incoraggiare, di stimolare percorsi, di accompagnare anche nelle situazioni più difficili della vita. La speranza è stata l’anima del suo apostolato, perché convinto che la misericordia di Dio è più grande dei giudizi umani.
Grazie don Bruno!

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