Questa intervista è apparsa in versione ridotta sul numero dell'11 giugno del quindicinale della Diocesi di Ales Terralba Nuovo Cammino.
Il 20
giugno papa Francesco andrà in visita privata a pregare sulle tombe
di don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, due preti “scomodi”
nell’Italia del secolo scorso.
In
particolare nel gennaio 1953 don Mazzolari visitò la Sardegna e
anche Ales, incontrando mons. Tedde (“Simpaticissimo”, annoterà
don Primo). Predicò anche a Guspini (centro minerario e il più
comunista della diocesi di Ales e della Sardegna), a Villacidro e a
San Gavino.
Abbiamo
intervistato don Bruno Bignami, presidente della Fondazione “Don
Primo Mazzolari” che ha sede a Bozzolo.
In che modo la
Fondazione tiene viva la memoria di Primo Mazzolari?
L’istituzione,
che ha sede a Bozzolo, nasce nel 1981 per volontà di amici e cultori
della figura di don Primo e si sostiene sulla generosa gratuità di
volontari. Ha il compito di raccogliere e custodire il materiale
d’archivio che riguarda la figura e l’operato di don Mazzolari.
Continua a pubblicare i suoi testi perché siano letti. Si impegna a
far conoscere il messaggio mazzolariano nel nostro tempo. La scuola
del parroco di Bozzolo è particolarmente impegnativa e c’è la
tentazione di sedersi sui riconoscimenti.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita alla Fondazione "Don Primo Mazzolari" - Novembre 2016 |
Com’era don Primo
nell’intimità degli amici e dei parrocchiani più umili?
Don Primo
aveva una ricca umanità e un cuore appassionato. Questa è stata la
sua forza nelle relazioni con i parrocchiani e con le molte persone
che lo cercavano o che avevano la fortuna di poterlo accostare. Gli
ultimi, i poveri, i diseredati, i disperati trovavano nelle sue
parole e nella sua umanità rifugio, oltre che risposte generose.
La
società di oggi è molto mutata rispetto a quella in cui è vissuto
don Primo. Settant’anni di pace, non più contrapposizioni, non più
fascisti, comunisti, Democrazia Cristiana. È ancora attuale il
messaggio del parroco di Bozzolo?
Il messaggio
di pace di don Mazzolari ci lancia sul futuro e non solo sul
presente. Basti guardare ciò che capita ai nostri giorni: le
tensioni in Medio Oriente, la corsa agli armamenti, le riduzioni
delle religioni a luoghi di identità contrapposte, gli atti
terroristici... Tutto fa pensare a una società molto cambiata
rispetto a quella in cui visse don Primo, ma i contrasti sociali
appartengono ancora al nostro mondo. Le ideologie sono state svuotate
dall’interno, ma l’individualismo odierno non è meno ideologico
di ciò che è appartenuto al secolo scorso. Mazzolari ha la visione
di un cristianesimo incarnato dentro la storia: questo messaggio mi
pare che difficilmente possa avere una data di scadenza.
«I
lontani chiedono di essere capiti. Pretendono di vedere con chiarezza
il volto di una religione che in fondo stimano ancora e dalla quale
si sono staccati per delusione d’innamorati». Così scriveva
Mazzolari nel 1938. Pensa che scriverebbe ancora oggi queste parole?
Oppure oggi il peggior nemico è la totale indifferenza a Cristo e
alla Chiesa?
Mazzolari
amava dire che la Chiesa è un «focolare che non conosce assenze».
L’indifferenza può avere diverse cause. In primo luogo è la
perdita del valore di ciò che è la fede nella vita. In secondo
luogo potrebbe significare una secolarizzazione che devasta anche la
vita cristiana, per cui conta l’effimero, l’immediato, l’idolo
a portata di mano, come il denaro... Infine, l’indifferenza è la
risposta a una comunità cristiana incapace di prendersi cura. Per
questo terzo aspetto il messaggio mazzolariano è uno stimolo a
vivere con passione la fede.
«La
carriera del prete finisce il giorno della sua prima Messa e davanti
al cancello del cimitero della sua parrocchia» (da Preti
così). Sembra di sentire certi
richiami di papa Francesco contro il carrierismo e l’arrivismo
clericali. Eppure don Mazzolari fu un prete sempre in prima linea,
soprattutto nel panorama culturale, con don Milani, p. Turoldo, p.
Balducci. Preti culturalmente e profeticamente avanti. Si ha
l’impressione che di preti così non ce ne siano più in giro...
che nei salotti TV si veda tutt’altra caratura...
La tentazione del
carrierismo è una malattia del tessuto ecclesiale, capace di
produrre effetti devastanti. I preti citati hanno avuto il merito di
abitare il proprio tempo con il Vangelo in mano, senza troppi calcoli
sulle conseguenze personali di tutto ciò. Ebbero un’umanità ricca
e caratteri forti, capaci di sopportare la croce dell’opposizione e
dell’incomprensione.
Al loro
tempo sono stati anche molto periferici e solo il tempo ha fatto
emergere la loro caratura umana e spirituale. Non dispererei che
nelle periferie della Chiesa attuale ci siano ancora preti così. Non
emergono, ma ci sono. Lo Spirito non si rassegna a chiudere la Chiesa
dentro logiche di potere. Per questo continua a soffiare dove vuole e
sa spiazzarci.
Da cosa derivarono i
suoi attriti con la Gerarchia? E la sua riabilitazione?
Gli attriti
con la Gerarchia non furono dovuti a questioni dottrinali, ma
all’opportunità di alcuni interventi in temi sociali o
riguardavano la visione di una Chiesa capace di dialogo e di profonda
vicinanza all’umanità. Poi, si capisce, la questione diviene anche
dottrinale. Don Primo è stato predicatore della misericordia di Dio,
a partire dal libro La più bella avventura,
pubblicato nel 1934. Proprio questo testo rappresenta il primo motivo
di contestazione del Sant’Uffizio: un Dio misericordioso e che
chiede conversione da parte di tutti sconvolge e destabilizza.
Da qui
l’attuale riabilitazione. Mazzolari ha saputo anticipare la
centralità della misericordia propria di papa Francesco. Aveva
ragione Paolo VI quando disse: «Aveva il passo troppo lungo e noi si
stentava a tenergli dietro». L’autorità che perde di vista
l’ascolto della profezia e la centralità del messaggio evangelico
si arena e si avvita su sé stessa.
Che
significato ha la visita di papa Francesco a Bozzolo, per pregare
sulla tomba di don Primo?
don Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana |
Penso che la
visita di Francesco a Bozzolo sia da collegare a quella che nella
stessa mattinata del 20 giugno farà a Barbiana, sulle orme di don
Lorenzo Milani. Mi verrebbe da definirla una giornata profetica!
Tuttavia, immagino che l’intento del papa sia quello di indicare
modelli significativi di spiritualità sacerdotale per il nostro
tempo. Se così fosse, si tratterà di un ulteriore gesto profetico.
Non mi stupirei, visto che Francesco quando esce dal Vaticano non lo
fa in modo casuale. I suoi gesti intendono mostrare prospettive di
futuro.
«Egli
non canta l’inno delle cose come dovrebbero essere, ma racconta le
cose come sono» (Adesso n. 15 del 1/8/1957). Forse sta qui la sua
profezia? Non tanto nel fare moralismo, ma nell’estrema parresia
della sua analisi?
La capacità
analitica di Mazzolari è fuori discussione. Ha abitato il suo tempo
con l’intelligenza della fede, a evidenziare che la vita cristiana
non disdegna una critica costruttiva. Don Primo non ama un moralismo
che si rifugia nelle sicurezze del dejà vu,
ma prova a stare dentro la storia con le sue contraddizioni e le sue
fatiche.
Nel
leggere i suoi scritti mi sembra che don Primo sia stato un uomo che
fece della speranza la sua stella polare, la chiave di lettura di
ogni evento, anche il più nefasto. Speranza da vivere e da
annunciare, da offrire a tutti e per tutti (persino per «nostro
fratello Giuda»). Si sente di condividere questa lettura della vita
di don Primo?
Una delle
definizioni più appropriate di don Mazzolari è quella di «parroco
dei lontani». Il suo cuore di pastore era abitato dalla preghiera e
dall’incontro con la parola di Cristo. Fu innamorato del vangelo,
ma non per tenerlo per sé: ha inteso essere un prete capace di
rivolgere una parola a tutti, di dare fiducia, di incoraggiare, di
stimolare percorsi, di accompagnare anche nelle situazioni più
difficili della vita. La speranza è stata l’anima del suo
apostolato, perché convinto che la misericordia di Dio è più
grande dei giudizi umani.
Grazie
don Bruno!
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