mercoledì 9 agosto 2017

Omelia per la festa di San Ciriaco Martire

Eb, 10, 32-36
1Pt 3,13-18
Mt 10, 17-22


In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.



La liturgia della Parola di questa festa di San Ciriaco ci riporta ai primi tempi del cristianesimo, tempi nei quali i cristiani sperimentarono sulle orme di Gesù una grande e penosa lotta, l’insulto, la persecuzione, la privazione della libertà.
Tempi che furono piuttosto lunghi e che – salvo piccole parentesi – furono caratterizzate spesso dal sangue sparso da tanti martiri, laici, uomini e donne, diaconi, preti e vescovi.
Questa fu la sorte anche di Ciriaco, insieme ad alcuni compagni che con lui vengono ricordati nel martirologio romano: Largo e Smaragdo.
Predizione del resto che già stava sulla bocca di Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo: la comunità cristiana a cui si rivolge Matteo è cosciente da subito che la persecuzione che soffre, da una parte all’interno stesso del popolo ebraico, perchè i cristiani sono ritenuti eretici, e dall’altra all’interno dell’impero romano, dal quale sono ritenuti atei, perchè non vogliono adorare l’imperatore, la comunità è cosciente che queste persecuzioni sono sofferte per il nome del Signore, cioè a motivo della loro fede.
Ora noi possiamo chiederci se nella vita di una persona normale ci sia qualcosa per la quale valga la pena morire, piuttosto che abbandonarla.
Certamente chi tra noi ha affetti carissimi, un figlio, una madre, un amico, potrebbe essere disposto a morire per lui o per lei, a mettere a repentaglio la propria vita per una persona che si ama e che si trova in pericolo.
Del resto questo tipo di eroismo non era sconosciuto ai pagani: sono tante le storie che raccontano di padri che si immolano per i figli e di amici che si fanno ammazzare per salvare l’amico del cuore.
Ma il martirio cristiano non è una forma particolare di eroismo, anzi: non ha nulla a che fare con l’eroismo. Perché qui non si tratta di salvare chi si ama, ma di salvare ciò che si ha di più intimo: Dio in sé stessi. Di salvare la propria umanità più autentica e più vera.
Si tratta di accettare di essere odiati, disprezzati, giudicati e condannati a morte non al posto di qualcuno, ma per Colui nel quale si è posta la fiducia, di andare a morire seguendo fino in fondo il suo stesso percorso umano.
Non so se riesco a spiegare questa differenza, che ritengo fondamentale: il martirio cristiano non ha uno scopo immediato. Il martirio cristiano è una scelta di vita che accompagna il cristiano fin dal primo momento in cui sceglie di seguire Cristo.
Sappiamo tutti che martirio significa testimonianza. Ma di cosa è testimone uno che si fa ammazzare pur di non rinnegare Gesù Cristo?
È testimone di un amore più grande, di un desiderio di vita più grande, di un perdono più grande: non parla con parole sue, ma con parole suggerite dallo Spirito Santo.
Non cerca di farsi ammazzare, tuttavia non si tira indietro davanti al boia.
I racconti dei martiri sono pieni di un coraggio e di una determinazione, di una perseveranza che fa veramente impressione. Persone altrimenti inermi e che non avrebbero fatto del male a una mosca, non si tirano indietro davanti al boia: bambini, giovani, anziani.
Tutti accomunati dalla fede in Gesù.
Ora vorrei trarre due pensieri dalla vita dei martiri.
Il primo: i martiri esistono ancora oggi. I cristiani sono attualmente la religione più perseguitata, in tutto il mondo. Uccisi direttamente in spregio alla fede, come accade spesso da parte dei terroristi islamici, soprattutto in Egitto, in Siria e in Irak, come in Nigeria domenica scorsa, dove qualcuno è entrato sparando in una chiesa durante la Messa e ha ucciso una decina di persone, oppure uccisi perchè diversi, perchè difendono i diritti dei piccoli e dei poveri, perchè vivono fino in fondo il Vangelo con i diseredati della Terra, come accade in America Latina dove proprio qualche giorno fa alcuni preti sono stati uccisi e moltissimi laici, e ne ricordiamo uno fra tutti: il Beato Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador.
Il martirio cristiano non è una storia del passato, di tempi antichissimi che non tornano più, dei Romani o di altri popoli .
L’impero romano non esiste più, ma i martiri esistono ancora, perchè i cristiani non hanno nemici, ma quando vivono veramente da cristiani si fanno molti nemici, a volte anche all’interno della propria casa.
E perchè fanno paura i cristiani?
Perché non sono disposti a rinnegare Gesù Cristo, non sono disposti a rinnegare colui che conoscono come il loro salvatore, come colui che dà senso alla loro vita, non come un’idea. Non ci si fa ammazzare per un’idea. C’è sempre tempo per cambiarla. Ma per una persona amata sì. Ecco: i martiri rinunciano alla loro vita non da eroi, ma da persone che amano.
E la seconda riflessione a partire da questa è una domanda che rivolgo a me e a ciascuno di noi qui presenti: cosa conta davvero nella nostra vita, nella nostra fede?
Di cosa andiamo in cerca?
Cerchiamo la tranquillità, la salute, la pace? E magari per cercare queste cose ci rivolgiamo a Dio che ci aiuti a trovarle. E Dio diventa in qualche modo soltanto uno che deve esaudire i miei desideri, deve ascoltare le mie preghiere, che sono per il bene, deve assecondare le mie scelte, deve curare le mie malattie.
Un Dio factotum alle mie dipendenze.
È ovvio che non dico davanti a un mitra, ma davanti al primo mal di denti siamo disposti a rinnegare tranquillamente un Dio così, perchè un Dio così è un idolo, è un feticcio, è vuoto.
Non è questo il Dio che ci ha fatto conoscere Gesù Cristo.
Il Dio di Gesù Cristo è invece il Padre, colui che sa già ciò di cui ho bisogno e che vuole rendermi veramente me stesso, vuole farmi sperimentare l’amore nella libertà, vuole condurmi per una strada che anche se io non conosco a priori, è la strada che porta a Lui.
E allora mi chiedo e vi chiedo: cosa paghiamo per la nostra fede? Non in termini economici, ma della nostra vita.
Quanto ci costa essere cristiani?
Perchè se la fede non ci costa nulla, se decidiamo per esempio che “tanto non fa nulla se non mi converto davvero, se non mi pento dei miei peccati, se non mi confesso... che tanto non fa nulla se non partecipo sempre alla Messa domenicale, l’importante è il cuore, se tanto non fa nulla che non sempre sia disponibile e amorevole con le persone che amo, se tanto non fa nulla se non prego mai o prego distrattamente... beh, se tanto non fa nulla... se la mia fede non mi costa, c’è da dubitare che sia fede.
Forse è una credenza religiosa, forse è un’eredità culturale che mi porto dietro e che mi dà sicurezza, ma al primo turbamento e alla prima delusione me ne vado sbattendo la porta.
Carissimi fratelli e sorelle, se cerchiamo sicurezza nella vita, forse la otterremo, perchè la bontà di Dio supera infinitamente le nostre richieste. Ma la nostra vita non sarà una vita di amore e di libertà. Sarà una vita di schiavitù alla continua ricerca di ciò che mi fa star bene.
Se cerchiamo il Regno di Dio nella nostra vita, può darsi che questo ci costi in termini di serenità, di salute, di sonno, di libertà. Ma saremo davvero noi stessi, ci accorgeremo di avere un coraggio che non viene da noi, di avere una forza che non viene da noi. Ci accorgeremo che sappiamo fare cose più grandi di noi, che sappiamo amare fino in fondo, come Gesù, fino a dare la vita.
Questo auguro a me e a ciascuno di voi: che la testimonianza di San Ciriaco sia intercessione per i martiri di oggi ed esempio per la nostra vita talvolta tiepida.

Amen 

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