Eb,
10, 32-36
1Pt
3,13-18
Mt
10, 17-22
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il
fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si
alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete
odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino
alla fine sarà salvato.
La
liturgia della Parola di questa festa di San Ciriaco ci riporta ai
primi tempi del cristianesimo, tempi nei quali i cristiani
sperimentarono sulle orme di Gesù una grande e penosa lotta,
l’insulto, la persecuzione, la privazione della libertà.
Tempi
che furono piuttosto lunghi e che – salvo piccole parentesi –
furono caratterizzate spesso dal sangue sparso da tanti martiri,
laici, uomini e donne, diaconi, preti e vescovi.
Questa
fu la sorte anche di Ciriaco, insieme ad alcuni compagni che con lui
vengono ricordati nel martirologio romano: Largo e Smaragdo.
Predizione
del resto che già stava sulla bocca di Gesù, come abbiamo ascoltato
nel Vangelo: la comunità cristiana a cui si rivolge Matteo è
cosciente da subito che la persecuzione che soffre, da una parte
all’interno stesso del popolo ebraico, perchè i cristiani sono
ritenuti eretici, e dall’altra all’interno dell’impero romano,
dal quale sono ritenuti atei, perchè non vogliono adorare
l’imperatore, la comunità è cosciente che queste persecuzioni
sono sofferte per il nome del Signore, cioè a motivo della loro
fede.
Ora
noi possiamo chiederci se nella vita di una persona normale ci sia
qualcosa per la quale valga la pena morire, piuttosto che
abbandonarla.
Certamente
chi tra noi ha affetti carissimi, un figlio, una madre, un amico,
potrebbe essere disposto a morire per lui o per lei, a mettere a
repentaglio la propria vita per una persona che si ama e che si trova
in pericolo.
Del
resto questo tipo di eroismo non era sconosciuto ai pagani: sono
tante le storie che raccontano di padri che si immolano per i figli e
di amici che si fanno ammazzare per salvare l’amico del cuore.
Ma
il martirio cristiano non è una forma particolare di eroismo, anzi:
non ha nulla a che fare con l’eroismo. Perché qui non si tratta di
salvare chi si ama, ma di salvare ciò che si ha di più intimo: Dio
in sé stessi. Di salvare la propria umanità più autentica e più vera.
Si
tratta di accettare di essere odiati, disprezzati, giudicati e
condannati a morte non al posto di qualcuno, ma per Colui nel quale
si è posta la fiducia, di andare a morire seguendo fino in fondo il
suo stesso percorso umano.
Non
so se riesco a spiegare questa differenza, che ritengo fondamentale:
il martirio cristiano non ha uno scopo immediato. Il martirio
cristiano è una scelta di vita che accompagna il cristiano fin dal
primo momento in cui sceglie di seguire Cristo.
Sappiamo
tutti che martirio significa testimonianza. Ma di cosa è testimone
uno che si fa ammazzare pur di non rinnegare Gesù Cristo?
È
testimone di un amore più grande, di un desiderio di vita più
grande, di un perdono più grande: non parla con parole sue, ma con
parole suggerite dallo Spirito Santo.
Non
cerca di farsi ammazzare, tuttavia non si tira indietro davanti al
boia.
I
racconti dei martiri sono pieni di un coraggio e di una
determinazione, di una perseveranza che fa veramente impressione.
Persone altrimenti inermi e che non avrebbero fatto del male a una
mosca, non si tirano indietro davanti al boia: bambini, giovani,
anziani.
Tutti
accomunati dalla fede in Gesù.
Ora
vorrei trarre due pensieri dalla vita dei martiri.
Il
primo: i martiri esistono ancora oggi. I cristiani sono attualmente la
religione più perseguitata, in tutto il mondo. Uccisi direttamente
in spregio alla fede, come accade spesso da parte dei terroristi
islamici, soprattutto in Egitto, in Siria e in Irak, come in Nigeria domenica scorsa, dove qualcuno è entrato sparando in una chiesa durante la Messa e ha ucciso una decina di persone, oppure uccisi
perchè diversi,
perchè difendono i diritti dei piccoli e dei poveri, perchè vivono
fino in fondo il Vangelo con i diseredati della Terra, come accade in
America Latina dove proprio qualche giorno fa alcuni preti sono stati
uccisi e moltissimi laici, e ne ricordiamo uno fra tutti: il Beato
Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador.
Il
martirio cristiano non è una storia del passato, di tempi
antichissimi che non tornano più, dei Romani o di altri popoli .
L’impero
romano non esiste più, ma i martiri esistono ancora, perchè i
cristiani non hanno nemici, ma quando vivono veramente da cristiani
si fanno molti nemici, a volte anche all’interno della propria
casa.
E
perchè fanno paura i cristiani?
Perché
non sono disposti a rinnegare Gesù Cristo, non sono disposti a
rinnegare colui che conoscono come il loro salvatore, come colui che
dà senso alla loro vita, non come un’idea. Non ci si fa ammazzare
per un’idea. C’è sempre tempo per cambiarla. Ma per una persona
amata sì. Ecco: i martiri rinunciano alla loro vita non da eroi, ma
da persone che amano.
E
la seconda riflessione a partire da questa è una domanda che rivolgo
a me e a ciascuno di noi qui presenti: cosa conta davvero nella
nostra vita, nella nostra fede?
Di
cosa andiamo in cerca?
Cerchiamo
la tranquillità, la salute, la pace? E magari per cercare queste
cose ci rivolgiamo a Dio che ci aiuti a trovarle. E Dio diventa in
qualche modo soltanto uno che deve esaudire i miei desideri, deve
ascoltare le mie preghiere, che sono per il bene, deve assecondare le
mie scelte, deve curare le mie malattie.
Un
Dio factotum alle mie dipendenze.
È
ovvio che non dico davanti a un mitra, ma davanti al primo mal di
denti siamo disposti a rinnegare tranquillamente un Dio così, perchè
un Dio così è un idolo, è un feticcio, è vuoto.
Non
è questo il Dio che ci ha fatto conoscere Gesù Cristo.
Il
Dio di Gesù Cristo è invece il Padre, colui che sa già ciò di cui
ho bisogno e che vuole rendermi veramente me stesso, vuole farmi
sperimentare l’amore nella libertà, vuole condurmi per una strada
che anche se io non conosco a priori, è la strada che porta a Lui.
E
allora mi chiedo e vi chiedo: cosa paghiamo per la nostra fede? Non
in termini economici, ma della nostra vita.
Quanto
ci costa essere cristiani?
Perchè
se la fede non ci costa nulla, se decidiamo per esempio che “tanto
non fa nulla se non mi converto davvero, se non mi pento dei miei
peccati, se non mi confesso... che tanto non fa nulla se non
partecipo sempre alla Messa domenicale, l’importante è il cuore,
se tanto non fa nulla che non sempre sia disponibile e amorevole con
le persone che amo, se tanto non fa nulla se non prego mai o prego
distrattamente... beh, se tanto non fa nulla... se la mia fede non mi
costa, c’è da dubitare che sia fede.
Forse
è una credenza religiosa, forse è un’eredità culturale che mi
porto dietro e che mi dà sicurezza, ma al primo turbamento e alla
prima delusione me ne vado sbattendo la porta.
Carissimi
fratelli e sorelle, se cerchiamo sicurezza nella vita, forse la
otterremo, perchè la bontà di Dio supera infinitamente le nostre
richieste. Ma la nostra vita non sarà una vita di amore e di
libertà. Sarà una vita di schiavitù alla continua ricerca di ciò
che mi fa star bene.
Se
cerchiamo il Regno di Dio nella nostra vita, può darsi che questo ci
costi in termini di serenità, di salute, di sonno, di libertà. Ma
saremo davvero noi stessi, ci accorgeremo di avere un coraggio che
non viene da noi, di avere una forza che non viene da noi. Ci
accorgeremo che sappiamo fare cose più grandi di noi, che sappiamo
amare fino in fondo, come Gesù, fino a dare la vita.
Questo
auguro a me e a ciascuno di voi: che la testimonianza di San Ciriaco
sia intercessione per i martiri di oggi ed esempio per la nostra vita
talvolta tiepida.
Amen
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