sabato 18 novembre 2017

Omelia per il sabato della XXXII settimana - Novena delle Grazie 7

Basta "postare" una preghiera su Facebook per dire che si prega? 

Dal libro della Sapienza (Sap 18,14-16; 19,6-9)
Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose,
e la notte era a metà del suo rapido corso,
la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale,
guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio,
portando, come spada affilata, il tuo decreto irrevocabile
e, fermatasi, riempì tutto di morte;
toccava il cielo e aveva i piedi sulla terra. 
Tutto il creato fu modellato di nuovo
nella propria natura come prima,
obbedendo ai tuoi comandi,
perché i tuoi figli fossero preservati sani e salvi. 
Si vide la nube coprire d’ombra l’accampamento,
terra asciutta emergere dove prima c’era acqua:
il Mar Rosso divenne una strada senza ostacoli
e flutti violenti una pianura piena d’erba;
coloro che la tua mano proteggeva
passarono con tutto il popolo,
contemplando meravigliosi prodigi.
Furono condotti al pascolo come cavalli
e saltellarono come agnelli esultanti,
celebrando te, Signore, che li avevi liberati.



Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18,1-8)

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

ooooOOOoooo


L’evangelista ci porta al cuore dell’esperienza di fede quando Gesù racconta una parabola su una necessità a cui il discepolo non può sottrarsi: la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai.
Perché Luca sente la necessità di ricordare questa parabola di Gesù alla sua comunità? Probabilmente dopo qualche decennio dalla morte e risurrezione di Gesù, la sua promessa di ritornare appariva a qualcuno una bella favola: tutte quelle espressioni che troviamo nel libro dell’Apocalisse, “Vieni presto” “Maranatha” “Sì, Vengo presto” sono messe alla prova dal passare del tempo. Passano giorni, mesi e anni, ma il Signore non ritorna. E questo produce nella comunità un certo rilassamento: la fede e la preghiera sono abbandonate, o trascurate, o comunque ridotte al lumicino.
Per certi versi potremmo paragonare questa situazione anche alla nostra epoca. Chi oggi afferma l’importanza di pregare sempre?
Non è forse vero che quelli che nella Chiesa si sono dati completamente a una vita di preghiera, come i monaci e le monache di clausura, li giudichiamo come extraterrestri?

Non è forse vero che nelle nostre comunità parrocchiali il fare di Marta sopravanza di molto allo stare di Maria? Che cioè talvolta sembra che essere cristiani significhi essere impegnati nei numerosi gruppi, nelle attività che si svolgono in parrocchia, e possibilmente attività pratiche, che abbiano una certa visibilità, che diano dei risultati?
Ovviamente non si tratta di sminuire il fare operoso che viene dall’amore, ci mancherebbe.
Eppure nel vangelo troviamo questo invito pressante, questo invito a riscoprire la necessità di pregare sempre senza stancarsi, di cui Gesù ci ha dato spesso l’esempio, quando si rifugiava di notte in luoghi solitari a pregare.
E vedete, vorrei sfatare anche un altro mito: non tutto ciò che facciamo in quanto cristiani è “preghiera”.
A volte si dice: io offro come preghiera la mia ora di volontariato.
Non è esattamente così: la tua ora di volontariato è bellissima e importantissima e devi continuare a farla, ma la preghiera è un’altra cosa: è spendere del tempo col Signore, è dedicare del tempo per stare con lui senza fare niente, senza altri scopi.
Un’idea troppo funzionale della religione, quella appunto che si verifica quando pensiamo che sia tutta una questione di fare: fare il catechista, fare l’animatore, fare il lettore, fare il capo scout, fare la zelatrice, può condurci a lungo andare a una spaventosa aridità interiore, a una frustrazione profonda quando sperimentiamo che le cose non vanno come vorremmo, quando siamo delusi dall’atteggiamento di un prete o di un fratello, quando vediamo che qualcuno sbaglia, tradisce, che gli altri non sono perfetti come noi pensiamo che dovrebbero essere...
Infatti quando abbandoniamo la preghiera, pian pianino abbandoniamo la fede.
Anzi, oso addirittura pensare che tanti giovani e adulti hanno abbandonato la fede, perchè nessuno ha mai insegnato loro a pregare. Forse hanno insegnato loro le preghiere, ma esse sono state soltanto delle belle formule. Non hanno mai sperimentato la bellezza di stare a tu per tu col Signore.
Riservare uno spazio nella nostra giornata alla preghiera corrisponde a ciò che facciamo nei nostri rapporti: se non abbiamo il piacere di stare con le persone che amiamo soltanto per il gusto di starci, cosa diventano i nostri rapporti? Rapporti funzionali, dove siamo sempre indaffarati a fare qualcosa, e dove però non c’è comunicazione profonda, dove i cuori non si aprono e le anime non s’incontrano.
Allora un primo passo da compiere è quello di riappropriarci dell’importanza della preghiera, che non è scontata e va custodita, perchè essa non produce nulla e quindi ci potrà sembrare di perdere tempo, di essere inconcludenti.
Una volta fatto questo passo, una volta entrati nel tribunale, secondo l’immagine della parabola, occorrerà poi insistere e ancora insistere.
J.-F. Millet - L'Angelus
Gesù paragona Dio a un giudice duro e scontroso, che non vuole ascoltare questa povera vedova. Sono tinte forti che non dobbiamo prendere alla lettera. Il Signore punta all’insistenza, al non arrenderci, ad avere il coraggio di gridare, di importunare, perchè se persino un giudice disonesto si fa piegare dall’insistenza, cosa non farà Dio verso i suoi eletti che gridano notte e giorno verso di lui?
La parabola vuole imprimerci fiducia nel fatto che il Signore non è sordo ai nostri lamenti e non è cieco davanti alle nostre necessità.
Ma vuole anche aprire il nostro sguardo: la preghiera non è semplicemente un meccanismo di richiesta, una macchinetta nella quale inseriamo un gettone per ottenere qualcosa. Essa è prima di tutto un rapporto di fiducia.
Se nei giorni scorsi il vangelo si chiedeva: Quando verrà il regno di Dio? ora il suo corrispettivo è: Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede?
Cioè, in altri termini: alla nostra domanda: Dove sono i segni di Dio nel mondo? Egli ci risponde: Dove sono i segni di Dio in te?
Immagine di Stefano Navarrini
Perciò la preghiera fa proprio questo: permette a Dio di lavorare il nostro cuore, affinché esso sia nuovamente plasmato e ci sia corrispondenza tra Lui e noi. Ci rendiamo conto che non sono le nostre parole a cambiare la sua volontà, ma che, come afferma la prima lettura, nel silenzio profondo che avvolge tutte le cose rendendole indistinte, la sua parola entra nella nostra storia per rischiararla dal di dentro, per trasformarla, rimodellarla, perchè siamo finalmente obbedienti, perchè noi, suoi figli possiamo essere preservati sani e salvi.
Questa è stata l’esperienza di Maria: ha permesso alla Parola del Padre di incarnarsi nella sua vita. Ha fatto sì che essa potesse scendere al nostro livello, diventare uno di noi, perchè noi potessimo partecipare della sua stessa natura.

Preghiamo perchè avvenga questo nella nostra vita e siamo capaci di perseverare nella preghiera senza stancarci.

Nessun commento:

Posta un commento