MARIA
DI NAZARET
(Gv
2,1-12; 19,25-27; Lc
11,27-28)
Jennifer Huges - Icona |
Tutti
mi chiamano “Regina del cielo e della terra”, “Regina degli
angeli”, ma io mi trovo più a mio agio definendomi “Serva del
Signore”. Anzi, più che una definizione, questa è stata proprio
la mia vita.
Sai,
la gente spesso si riempie la bocca di definizioni, titoli,
etichette, attribuendomele, ma ci si dimentica che – come dicevano
i Romani che abitavano nei pressi di Nazaret – «Nomina
sunt consequentia rerum»,
e cioè, per come l’ho capito sempre io, sei veramente servo
soltanto se servi gli altri.
Questa
è stata la mia vita: ho affidato la mia libertà a Dio e non sono
stata tradita. Mi sono messa nelle sue mani, dicendogli che si
realizzassero in me le sue parole, che portassero frutto. E così è
stato, e che frutto!
Il
fiore più bello di tutti i fior!
Ma
aver generato Gesù nella carne non è mai stato per me un vanto.
Almeno, non più di quanto ogni figlio lo sia per la propria madre:
l’ho amato con tutta me stessa, anche quando faceva cose che non
capivo, e più tardi ho imparato ad amarlo anche come Maestro, e non
solo come figlio.
Una
volta disse una frase che per un momento mi travolse, perché non la
compresi immediatamente: era come se lui mettesse una distanza tra sé
stesso e me. Eravamo a Cana, al matrimonio di carissimi amici, e a un
certo punto venne a mancare il vino.
Io
sentii che solo lui poteva fare qualcosa, e gli chiesi di
intervenire. Ma lui mi rispose: «Che ho da fare con te, donna?
Ancora non è giunta la mia ora».
Questa
sua risposta mi spiazzò, tuttavia chiamai i servi e dissi loro:
«Fate quello che vi dirà».
Perché
questa è stata anche la mia strada: ho compiuto nella mia vita
quello che lui mi ha detto.
Centro Aletti - Mosaico Redemptoris Mater |
Mi
sono messa in obbedienza alla sua parola. Ero piccola, semplice,
inesperta del mondo e della vita. Vennero davanti a me re e umili
pastori, angeli e povera gente, andai raminga con Giuseppe per anni,
per paura che facessero del male a nostro figlio, ma mai persi questa
semplice certezza: la sua parola si realizzerà in me, egli porterà
a compimento l’opera che ha iniziato in me.
Così
dissi ai servi; e sai cosa successe? Qualcosa di inspiegabile: le
anfore riempite d’acqua erano in realtà piene di vino. Io non so
come ha fatto, e neppure è importante. So però che ha ridato gioia
a quella festa, anzi: ha dato gioia a tutte le feste, perchè le ha
cambiate dal di dentro.
Un
tempo le feste si facevano per celebrare qualche opera di Dio. Lui mi
ha fatto comprendere che le feste, anche quelle apparentemente banali
come un pranzo di nozze, hanno senso soltanto se abitate da lui, se
c’è lui al centro. Capisci? Non al passato, ma al presente! Fino a
quel momento noi avevamo sempre festeggiato avvenimenti passati della
nostra gente. Importantissimi, eccezionali. Ma passati. Ci servivano
a non perdere la memoria, e grazie a Dio ci hanno portato, passo dopo
passo, ad accogliere lui, mio figlio. Ma ora è diverso, perchè
quando noi festeggiamo, lui non è un ricordo del passato, ma
sta davvero in mezzo a noi.
E non lo sento solo io che sono sua madre, ma tutti, anche quelli che
non l’hanno mai conosciuto personalmente! Non è incredibile,
questo?
Ecco
perchè gli piacevano tanto i pranzi e le cene: perchè
portava gioia
agli uomini con la sua compagnia, con la sua amicizia, con le sue
parole.
Questo
ha insegnato anche ai suoi discepoli. Sai quanto ce n’è voluto per
farlo capire a Pietro, che era ancora così legato alle nostre
tradizioni, per le quali molti cibi erano impuri? Finalmente, quando
ha accettato di mangiare in casa di Cornelio, ha capito quel che
accadeva quando mio figlio sedeva a tavola: la gioia era presente, le
persone erano come ispirate da desideri nuovi, da pensieri nuovi.
Chissà
che questa non possa essere anche una regola dei suoi servi? Che cioè
con la loro compagnia degli uomini, essi possano trasmettere gioia,
allegria, facciano sentire la bellezza della vita con le loro parole,
con la loro vita, con i loro discorsi.
Vedi,
io ho sempre creduto che mio figlio portasse la gioia. Certo l’ho
anche visto affrontare a viso duro farisei e capi dei sacerdoti, l’ho
visto sfigurato in croce, eppure mai ho perso la speranza.
Lì,
sotto la croce capii due cose fondamentali: che quando nacque lui,
nacqui anche io come sua discepola. Mi rendo conto che la mia vita
non fu solo quella di una madre che educa il suo figlio, ma quella di
una madre che diventa discepola del suo figlio!
Capisci?
Io sono beata tra tutte le donne, perchè da me è nato Gesù, il
Messia, ma la mia beatitudine più grande è che ho
potuto ascoltarlo, ho potuto seguirlo.
La
mia beatitudine più grande non è che tutti mi dicono beata, ma che
il Signore mi ha guardata!
Io
non ho altro da annunciare se non questo.
E
ti dirò di più: io ho fatto questa esperienza unica, d’accordo.
Ma quando mio figlio in croce mi ha consegnato Giovanni e ha
consegnato me a lui, ho compreso un’altra cosa: che questa mia
maternità si sarebbe allargata all’inverosimile, perché in
qualche modo, tutti i discepoli autentici sarebbero diventati come
me, cioè avrebbero generato mio figlio.
Quello
che io ho vissuto nel fisico una volta per sempre, l’ho poi
rivissuto nello spirito mille volte, e anche gli altri discepoli.
Hanno custodito nella loro vita Gesù, lo hanno alimentato in essi,
lo hanno generato e offerto agli altri!
La
bellezza della mia maternità è che nella fede può essere vissuta
da tutti: un’esperienza unica per ciascuno!
E
così li ho visti incontrare re e poveracci, imperatori e umili
lavoratori della campagna, essere imputati in tribunale e parlare
nelle sinagoghe, e portare a tutti Gesù, farlo nascere in essi,
farlo germogliare, fiorire, essere crocifissi in lui.
Lui
ha abitato in essi, così come ha abitato in me nove mesi...
Capisci
che bellezza?
Tu
puoi generare Gesù nel mondo. Anzi, ti dico di più: a poco serve
che io l’abbia generato nella carne, se non lo generassi anche tu
nella tua vita.
Io
l’ho partorito in quella notte, nel campo dei pastori di Betlemme,
perchè per noi non c’era posto in nessun alloggio. E sono stata
felice. Pastori e povere persone sono venute a congratularsi, si sono
inginocchiate. Guarda, penso che persone come loro siano tra i più
capaci di riconoscere mio figlio. Non dico che chi è dotto,
intelligente sia chiuso. Ma è stata sempre la mia esperienza: i
poveri in spirito lo hanno accolto!
Perciò
ti dico di farlo nascere prima di tutto tra i poveri in spirito,
perchè saranno i primi ad accoglierlo, con quel loro intuito
soprannaturale che farà loro scorgere segni di “gravidanza” in
te.
Certo
da parte tua ci sarà sempre il pericolo di una falsa
gravidanza,
perchè se non ascolti la sua parola non potrai essere fecondato.
Se
non dirai ogni giorno: «Avvenga di me secondo la tua parola», sarai
sterile. Questa è la triste realtà, e io non voglio nascondertela.
La
sterilità per un discepolo è sempre in agguato, così come
l’aborto... perchè essere
pieni di
Gesù è sempre un rischio, come ogni gravidanza, è una fatica. Non
sempre tutti ti capiscono. Non sempre tutti ti aiutano. E poi lui
scalcia dentro di te, a volte fa davvero male... e tu sei disposto a
sopportare tutte queste cose per portarlo alla luce?
A
volte ti verrà la tentazione di dire: «Ma chi me l’ha fatto
fare?».
Allora
sarà necessario rallentare un po’ il passo, e rimettere il tuo
respiro in sintonia con il suo, ascoltare il suo battito dentro di
te. È debole, devi fare attenzione, devi fare silenzio.
Devi
accostare il tuo orecchio al suo cuore, come faceva Giovanni. Devi
poggiare la tua testa sul suo petto per sentirlo, per far rinascere
in te la speranza e l’amore.
Anche
Giuseppe faceva così, quando aveva paura, quando lo assalivano di
nuovo i dubbi, talvolta in modo violento e improvviso, quando gli
amici ridevano alle sue spalle: veniva da me, poggiava dolcemente il
suo orecchio sul mio pancione e ascoltava. E si rasserenava. E anche
quando Gesù era piccolo faceva lo stesso: lo prendeva con le sue
braccia forti e amava ascoltare il suo battito, amava ascoltare il
suo respiro flebile sul suo orecchio.
Sai,
credo che questo rapporto semplice, quasi infantile, abbia salvato la
nostra vita, perchè diversamente troppe cose restavano inspiegabili.
Per lui, ma anche per me.
A
volte basta poco per riacquistare fiducia, basta sintonizzare il
respiro, basta ascoltare il suo cuore. Quando due cuori si incontrano
sboccia la verità, sboccia l’amore, le paure sono dissipate.
E
allora ti rendi conto che dentro di te lui scalpita e vuole uscire, e
tu diventi “madre” e lo generi anche per gli altri! E non puoi
trattenerlo!
Come
sempre aveva ragione lui, come quando, a quella donna che gridò una
volta in mezzo alla folla: «Beato
il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!», rispose
candido: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la
mettono in pratica».
In
quell’istante io sapevo di essere beata esattamente per questa
ragione!
Questo
ti auguro, e auguro a chi ti incontrerà di trovarti sempre gravido!
Con
affetto di madre,
Maria
Nessun commento:
Posta un commento