mercoledì 1 novembre 2017

Lettera a un futuro diacono da Maria di Nazaret (l'ultima!)

MARIA DI NAZARET
(Gv 2,1-12; 19,25-27; Lc 11,27-28)

Jennifer Huges - Icona
 Carissimo.
Tutti mi chiamano “Regina del cielo e della terra”, “Regina degli angeli”, ma io mi trovo più a mio agio definendomi “Serva del Signore”. Anzi, più che una definizione, questa è stata proprio la mia vita.
Sai, la gente spesso si riempie la bocca di definizioni, titoli, etichette, attribuendomele, ma ci si dimentica che – come dicevano i Romani che abitavano nei pressi di Nazaret – «Nomina sunt consequentia rerum», e cioè, per come l’ho capito sempre io, sei veramente servo soltanto se servi gli altri.
Questa è stata la mia vita: ho affidato la mia libertà a Dio e non sono stata tradita. Mi sono messa nelle sue mani, dicendogli che si realizzassero in me le sue parole, che portassero frutto. E così è stato, e che frutto!
Il fiore più bello di tutti i fior!
Ma aver generato Gesù nella carne non è mai stato per me un vanto. Almeno, non più di quanto ogni figlio lo sia per la propria madre: l’ho amato con tutta me stessa, anche quando faceva cose che non capivo, e più tardi ho imparato ad amarlo anche come Maestro, e non solo come figlio.
Una volta disse una frase che per un momento mi travolse, perché non la compresi immediatamente: era come se lui mettesse una distanza tra sé stesso e me. Eravamo a Cana, al matrimonio di carissimi amici, e a un certo punto venne a mancare il vino.
Io sentii che solo lui poteva fare qualcosa, e gli chiesi di intervenire. Ma lui mi rispose: «Che ho da fare con te, donna? Ancora non è giunta la mia ora».
Questa sua risposta mi spiazzò, tuttavia chiamai i servi e dissi loro: «Fate quello che vi dirà».
Perché questa è stata anche la mia strada: ho compiuto nella mia vita quello che lui mi ha detto.
Centro Aletti - Mosaico Redemptoris Mater
Mi sono messa in obbedienza alla sua parola. Ero piccola, semplice, inesperta del mondo e della vita. Vennero davanti a me re e umili pastori, angeli e povera gente, andai raminga con Giuseppe per anni, per paura che facessero del male a nostro figlio, ma mai persi questa semplice certezza: la sua parola si realizzerà in me, egli porterà a compimento l’opera che ha iniziato in me.
Così dissi ai servi; e sai cosa successe? Qualcosa di inspiegabile: le anfore riempite d’acqua erano in realtà piene di vino. Io non so come ha fatto, e neppure è importante. So però che ha ridato gioia a quella festa, anzi: ha dato gioia a tutte le feste, perchè le ha cambiate dal di dentro.
Un tempo le feste si facevano per celebrare qualche opera di Dio. Lui mi ha fatto comprendere che le feste, anche quelle apparentemente banali come un pranzo di nozze, hanno senso soltanto se abitate da lui, se c’è lui al centro. Capisci? Non al passato, ma al presente! Fino a quel momento noi avevamo sempre festeggiato avvenimenti passati della nostra gente. Importantissimi, eccezionali. Ma passati. Ci servivano a non perdere la memoria, e grazie a Dio ci hanno portato, passo dopo passo, ad accogliere lui, mio figlio. Ma ora è diverso, perchè quando noi festeggiamo, lui non è un ricordo del passato, ma sta davvero in mezzo a noi. E non lo sento solo io che sono sua madre, ma tutti, anche quelli che non l’hanno mai conosciuto personalmente! Non è incredibile, questo?
Ecco perchè gli piacevano tanto i pranzi e le cene: perchè portava gioia agli uomini con la sua compagnia, con la sua amicizia, con le sue parole.
Questo ha insegnato anche ai suoi discepoli. Sai quanto ce n’è voluto per farlo capire a Pietro, che era ancora così legato alle nostre tradizioni, per le quali molti cibi erano impuri? Finalmente, quando ha accettato di mangiare in casa di Cornelio, ha capito quel che accadeva quando mio figlio sedeva a tavola: la gioia era presente, le persone erano come ispirate da desideri nuovi, da pensieri nuovi.
Chissà che questa non possa essere anche una regola dei suoi servi? Che cioè con la loro compagnia degli uomini, essi possano trasmettere gioia, allegria, facciano sentire la bellezza della vita con le loro parole, con la loro vita, con i loro discorsi.
Vedi, io ho sempre creduto che mio figlio portasse la gioia. Certo l’ho anche visto affrontare a viso duro farisei e capi dei sacerdoti, l’ho visto sfigurato in croce, eppure mai ho perso la speranza.
Lì, sotto la croce capii due cose fondamentali: che quando nacque lui, nacqui anche io come sua discepola. Mi rendo conto che la mia vita non fu solo quella di una madre che educa il suo figlio, ma quella di una madre che diventa discepola del suo figlio!
Capisci? Io sono beata tra tutte le donne, perchè da me è nato Gesù, il Messia, ma la mia beatitudine più grande è che ho potuto ascoltarlo, ho potuto seguirlo.
La mia beatitudine più grande non è che tutti mi dicono beata, ma che il Signore mi ha guardata!
Io non ho altro da annunciare se non questo.
E ti dirò di più: io ho fatto questa esperienza unica, d’accordo. Ma quando mio figlio in croce mi ha consegnato Giovanni e ha consegnato me a lui, ho compreso un’altra cosa: che questa mia maternità si sarebbe allargata all’inverosimile, perché in qualche modo, tutti i discepoli autentici sarebbero diventati come me, cioè avrebbero generato mio figlio.
Quello che io ho vissuto nel fisico una volta per sempre, l’ho poi rivissuto nello spirito mille volte, e anche gli altri discepoli. Hanno custodito nella loro vita Gesù, lo hanno alimentato in essi, lo hanno generato e offerto agli altri!
La bellezza della mia maternità è che nella fede può essere vissuta da tutti: un’esperienza unica per ciascuno!
E così li ho visti incontrare re e poveracci, imperatori e umili lavoratori della campagna, essere imputati in tribunale e parlare nelle sinagoghe, e portare a tutti Gesù, farlo nascere in essi, farlo germogliare, fiorire, essere crocifissi in lui.
Lui ha abitato in essi, così come ha abitato in me nove mesi...
Capisci che bellezza?
Tu puoi generare Gesù nel mondo. Anzi, ti dico di più: a poco serve che io l’abbia generato nella carne, se non lo generassi anche tu nella tua vita.
Io l’ho partorito in quella notte, nel campo dei pastori di Betlemme, perchè per noi non c’era posto in nessun alloggio. E sono stata felice. Pastori e povere persone sono venute a congratularsi, si sono inginocchiate. Guarda, penso che persone come loro siano tra i più capaci di riconoscere mio figlio. Non dico che chi è dotto, intelligente sia chiuso. Ma è stata sempre la mia esperienza: i poveri in spirito lo hanno accolto!
Perciò ti dico di farlo nascere prima di tutto tra i poveri in spirito, perchè saranno i primi ad accoglierlo, con quel loro intuito soprannaturale che farà loro scorgere segni di “gravidanza” in te.
Certo da parte tua ci sarà sempre il pericolo di una falsa gravidanza, perchè se non ascolti la sua parola non potrai essere fecondato.
Se non dirai ogni giorno: «Avvenga di me secondo la tua parola», sarai sterile. Questa è la triste realtà, e io non voglio nascondertela.
La sterilità per un discepolo è sempre in agguato, così come l’aborto... perchè essere pieni di Gesù è sempre un rischio, come ogni gravidanza, è una fatica. Non sempre tutti ti capiscono. Non sempre tutti ti aiutano. E poi lui scalcia dentro di te, a volte fa davvero male... e tu sei disposto a sopportare tutte queste cose per portarlo alla luce?
A volte ti verrà la tentazione di dire: «Ma chi me l’ha fatto fare?».
Allora sarà necessario rallentare un po’ il passo, e rimettere il tuo respiro in sintonia con il suo, ascoltare il suo battito dentro di te. È debole, devi fare attenzione, devi fare silenzio.
Devi accostare il tuo orecchio al suo cuore, come faceva Giovanni. Devi poggiare la tua testa sul suo petto per sentirlo, per far rinascere in te la speranza e l’amore.
Anche Giuseppe faceva così, quando aveva paura, quando lo assalivano di nuovo i dubbi, talvolta in modo violento e improvviso, quando gli amici ridevano alle sue spalle: veniva da me, poggiava dolcemente il suo orecchio sul mio pancione e ascoltava. E si rasserenava. E anche quando Gesù era piccolo faceva lo stesso: lo prendeva con le sue braccia forti e amava ascoltare il suo battito, amava ascoltare il suo respiro flebile sul suo orecchio.
Sai, credo che questo rapporto semplice, quasi infantile, abbia salvato la nostra vita, perchè diversamente troppe cose restavano inspiegabili. Per lui, ma anche per me.
A volte basta poco per riacquistare fiducia, basta sintonizzare il respiro, basta ascoltare il suo cuore. Quando due cuori si incontrano sboccia la verità, sboccia l’amore, le paure sono dissipate.
E allora ti rendi conto che dentro di te lui scalpita e vuole uscire, e tu diventi “madre” e lo generi anche per gli altri! E non puoi trattenerlo!
Come sempre aveva ragione lui, come quando, a quella donna che gridò una volta in mezzo alla folla: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!», rispose candido: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».
In quell’istante io sapevo di essere beata esattamente per questa ragione!
Questo ti auguro, e auguro a chi ti incontrerà di trovarti sempre gravido!

Con affetto di madre,

Maria

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