Alcuni
termini o realtà evocate nella liturgia della Parola di oggi
colpiscono la nostra attenzione: la prima lettura e il vangelo
soprattutto parlano di: amore, ricerca, desiderio, impegno, sete,
previdenza...
Questi
atteggiamenti, secondo le Scritture, facilitano e in qualche modo
garantiscono, l’incontro con la Sapienza e con il Signore.
Ma
soprattutto emerge una considerazione: che la sapienza si fa trovare,
che il Signore è pronto, e viene.
Che
c’è cioè per l’uomo una possibilità di accedere al mistero di
Dio. Che Egli non è chiuso in una sfera inaccessibile, che tanto
meno è riservato a pochi eletti, ma che Dio si fa trovare.
Di
fronte al pessimismo umano che proclama che Dio non esiste, e che se
esiste non può essere conosciuto dall’uomo, perchè i due livelli
sono incomunicabili, la Parola di Dio ci rassicura che c’è una
strada di accesso alla vita di Dio. Una via percorribile con fiducia,
al termine della quale il Signore si fa trovare.
Ed
egli si manifesta non come un Dio tremendo e superiore, ma come lo
sposo dell’umanità. L’immagine del vangelo è molto chiara e non
ha bisogno di spiegazioni: colui che si attende, anche se non si sa
esattamente quando verrà, è
lo
sposo. Non uno qualsiasi, ma l’unico sposo dell’umanità!
E
questo incontro è una festa di nozze! Celebra la gioia che deriva da
una comunione profonda di vita, come sono appunto i banchetti
nuziali.
Allora
ci sono come due componenti della fede, della vita del cristiano: da
una parte ci siamo noi, dall’altra c’è il Signore Gesù, in
mezzo c’è la strada in cui incontrarsi.
Non
è che Dio non venga per chi non lo ama, non lo cerca, non lo
desidera, è superficiale, non è attento...
Egli
viene sempre, anzi egli è Il
veniente.
Ma
cambia certamente l’intensità di un incontro.
Conosciamo
tutti quel movimento interiore che ci prende quando desideriamo
incontrare una persona amata e attendiamo la sua visita. Ricordate
quella espressione del Piccolo Principe: Se io so che tu verrai alle
quattro del pomeriggio, comincerò ad essere felice dalle tre!
Ma
il movimento interiore nasce dal desiderio, nasce dall’amore. E
quando nascono il desiderio e l’amore nei confronti di qualcuno?
Quando
la sua compagnia ci ha fatto percepire una differenza dalla compagnia
di altri, pur importanti. Allora possiamo chiederci: cosa ho
percepito della compagnia del Signore finora nella mia vita?
Maria
aveva sviluppato una compagnia così forte e potente, che la parola
stessa del Padre in lei si è fatta carne, ha preso possesso della
sua umanità fino a renderla generativa.
Cosa
crea in me la frequentazione con Gesù? Ascoltare la sua parola,
nutrirmi di lui, pregare...?
Perché
questo è il nostro cruccio spirituale: se la nostra fede è soltanto
un’adesione formale a una dottrina, o se al contrario prende in noi
vita, se coinvolge i nostri sentimenti, le nostre aspirazioni, i
nostri desideri, la nostra intelligenza, persino il nostro corpo, se
coinvolge cioè tutta la vita e non solo la dimensione intellettuale.
Se
Dio per me è soltanto un pensiero, quando avrò un pensiero più
urgente, questo scaccerà il pensiero di Dio. Perché i pensieri sono
così: chiodo schiaccia chiodo!
E
allora ci lamentiamo di essere distratti nella preghiera, di non
riuscire “a concentrarci”...
Ma
se il Signore, come sposo della mia vita, è il mio desiderio, è il
mio amore, è colui per cui mi alzo al mattino e vado a dormire la
sera, allora non ci saranno più momenti vuoti, tempi di
“distrazione”. Ma il desiderio non possiamo farcelo imprestare,
come accade alle cinque ragazze stolte della parabola. O c’è o non
c’è.
Il
grande psicologo e psichiatra austriaco Viktor E. Frankl, fu
rinchiuso insieme alla moglie in un campo di concentramento nazista
perchè entrambi ebrei.
Successivamente
alla liberazione egli ha raccontato la sua esperienza terribile in un
libro dal titolo “Uno psicologo nei Lager”: era scampato, mentre
sua moglie e i suoi familiari erano morti. Ma durante
la prigionia, il lavoro durissimo, le sofferenze patite, egli
descrive il modo in cui riuscì a sopravvivere in una situazione
disumana: Fu il desiderio di ritrovare in vita la moglie, la madre e
gli amici che gli fece affrontare le terribili sofferenze del campo
di concentramento.
Più
tardi elaborò una vera e propria teoria psicologica, nota come
Logoterapia, che ha proprio lo scopo di cercare il “perché” della
nostra vita.
Perché
viviamo? Per quale scopo? Cosa anima la nostra giornata, la nostra
ricerca, il nostro peregrinare, persino le nostre sofferenze?
Forse
voi avete letto Il
giorno del giudizio,
di Salvatore Satta. Il protagonista, don Sebastiano, quando voleva
zittire la moglie donna Vincenza, le rispondeva con una battuta da
far gelare il sangue: «Tu stai al mondo soltanto perchè c’è
posto», le diceva.
Spero
che nessuno ci dica mai una cosa del genere, però l’interrogativo
possiamo mettercelo: Perché
sto al mondo?
Per quale motivo vivo e faccio tutto ciò che faccio?
Queste
ultime domeniche dell’anno ci mettono davanti la riflessione sulle
cose ultime, quelli che si chiamavano un tempo i
novissimi.
Le cose ultime sono le cose per le quali vale la pena di vivere. Sono
i motori che trainano la nostra vita in avanti, e mai indietro,
perchè ci attirano!
Vivere
accendendo il nostro desiderio di conoscere Dio non è la stessa cosa
che vivere nel rimpianto e nella nostalgia del passato.
Raccontandoci
questa parabola il Signore vuole alimentare la nostra lampada, chiede
a noi di procurarci olio per accenderla al momento opportuno.
Nell’inno
Veni
creator Spiritus,
uno dei versi dice: Accende
lumen sensibus,
accendi la luce ai sensi. Perché Dio non si percepisce soltanto con
la testa, né soltanto con i sentimenti, ma in modo speciale
attraverso i nostri sensi, illuminati, accesi, pronti a cercarlo: la
mia carne ti desidera, abbiamo pregato nel salmo di oggi.
Mi
colpiscono sempre le dita delle persone cieche: intuiscono la realtà
attraverso di esse. Così come la capacità di chi lavora le stoffe
di riconoscerle al tatto: ci vuole allenamento.
Finché
il nostro Dio sarà un Dio soltanto del cervello, il nostro desiderio
sarà piccolo, moderato, sempre soggetto a tentennamenti. Non avremo
olio a sufficienza per accendere le lampade a notte fonda. L’avremo
già consumato tutto nell’illusione di averlo atteso.
Ma
alimentare il nostro desiderio e il nostro amore è possibile?
Certo
che lo è. In che modo?
Ascoltando
la sua parola, nutrendoci di lui, imparando ad amarci da fratelli e
sorelle.
Cercando
la sua presenza nei gesti silenziosi, nei segni poco appariscenti:
allora la Sapienza ci verrà incontro, la scopriremo già
accovacciata di buon mattino alla nostra porta, come un cagnolino
fedele.
Dunque
allenare la vista e il cuore a cercare i segni della sua presenza,
sfogliare ogni pagina della nostra vita come un desiderio mai saziato
di incontro, come una benedizione sempre presente nelle persone che
incontro, persino nel nemico, persino in chi mi ha fatto del male. È
la dimensione storica della Chiesa.
La
vita non è sempre idilliaca, non è sempre bellezza. Per questo è
necessaria la Sapienza: perchè ogni cosa sia illuminata dal di
dentro, e scopriamo il mistero di Dio nella nostra umanità.
Maria,
donna dell’attesa, ci aiuti e ci incoraggi nel nostro percorso
incontro allo Sposo.
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