domenica 12 novembre 2017

Omelia per la XXXII domenica del Tempo Ordinario - Novena delle Grazie 1



Alcuni termini o realtà evocate nella liturgia della Parola di oggi colpiscono la nostra attenzione: la prima lettura e il vangelo soprattutto parlano di: amore, ricerca, desiderio, impegno, sete, previdenza...
Questi atteggiamenti, secondo le Scritture, facilitano e in qualche modo garantiscono, l’incontro con la Sapienza e con il Signore.
Ma soprattutto emerge una considerazione: che la sapienza si fa trovare, che il Signore è pronto, e viene.
Che c’è cioè per l’uomo una possibilità di accedere al mistero di Dio. Che Egli non è chiuso in una sfera inaccessibile, che tanto meno è riservato a pochi eletti, ma che Dio si fa trovare.
Di fronte al pessimismo umano che proclama che Dio non esiste, e che se esiste non può essere conosciuto dall’uomo, perchè i due livelli sono incomunicabili, la Parola di Dio ci rassicura che c’è una strada di accesso alla vita di Dio. Una via percorribile con fiducia, al termine della quale il Signore si fa trovare.
Ed egli si manifesta non come un Dio tremendo e superiore, ma come lo sposo dell’umanità. L’immagine del vangelo è molto chiara e non ha bisogno di spiegazioni: colui che si attende, anche se non si sa esattamente quando verrà, è lo sposo. Non uno qualsiasi, ma l’unico sposo dell’umanità!
E questo incontro è una festa di nozze! Celebra la gioia che deriva da una comunione profonda di vita, come sono appunto i banchetti nuziali.
Allora ci sono come due componenti della fede, della vita del cristiano: da una parte ci siamo noi, dall’altra c’è il Signore Gesù, in mezzo c’è la strada in cui incontrarsi.
Non è che Dio non venga per chi non lo ama, non lo cerca, non lo desidera, è superficiale, non è attento...
Egli viene sempre, anzi egli è Il veniente.
Ma cambia certamente l’intensità di un incontro.
Conosciamo tutti quel movimento interiore che ci prende quando desideriamo incontrare una persona amata e attendiamo la sua visita. Ricordate quella espressione del Piccolo Principe: Se io so che tu verrai alle quattro del pomeriggio, comincerò ad essere felice dalle tre!
Ma il movimento interiore nasce dal desiderio, nasce dall’amore. E quando nascono il desiderio e l’amore nei confronti di qualcuno?
Quando la sua compagnia ci ha fatto percepire una differenza dalla compagnia di altri, pur importanti. Allora possiamo chiederci: cosa ho percepito della compagnia del Signore finora nella mia vita?
Maria aveva sviluppato una compagnia così forte e potente, che la parola stessa del Padre in lei si è fatta carne, ha preso possesso della sua umanità fino a renderla generativa.
Cosa crea in me la frequentazione con Gesù? Ascoltare la sua parola, nutrirmi di lui, pregare...?
Perché questo è il nostro cruccio spirituale: se la nostra fede è soltanto un’adesione formale a una dottrina, o se al contrario prende in noi vita, se coinvolge i nostri sentimenti, le nostre aspirazioni, i nostri desideri, la nostra intelligenza, persino il nostro corpo, se coinvolge cioè tutta la vita e non solo la dimensione intellettuale.
Se Dio per me è soltanto un pensiero, quando avrò un pensiero più urgente, questo scaccerà il pensiero di Dio. Perché i pensieri sono così: chiodo schiaccia chiodo!
E allora ci lamentiamo di essere distratti nella preghiera, di non riuscire “a concentrarci”...
Ma se il Signore, come sposo della mia vita, è il mio desiderio, è il mio amore, è colui per cui mi alzo al mattino e vado a dormire la sera, allora non ci saranno più momenti vuoti, tempi di “distrazione”. Ma il desiderio non possiamo farcelo imprestare, come accade alle cinque ragazze stolte della parabola. O c’è o non c’è.
Il grande psicologo e psichiatra austriaco Viktor E. Frankl, fu rinchiuso insieme alla moglie in un campo di concentramento nazista perchè entrambi ebrei.
Successivamente alla liberazione egli ha raccontato la sua esperienza terribile in un libro dal titolo “Uno psicologo nei Lager”: era scampato, mentre sua moglie e i suoi familiari erano morti. Ma durante la prigionia, il lavoro durissimo, le sofferenze patite, egli descrive il modo in cui riuscì a sopravvivere in una situazione disumana: Fu il desiderio di ritrovare in vita la moglie, la madre e gli amici che gli fece affrontare le terribili sofferenze del campo di concentramento.
Più tardi elaborò una vera e propria teoria psicologica, nota come Logoterapia, che ha proprio lo scopo di cercare il “perché” della nostra vita.
Perché viviamo? Per quale scopo? Cosa anima la nostra giornata, la nostra ricerca, il nostro peregrinare, persino le nostre sofferenze?
Forse voi avete letto Il giorno del giudizio, di Salvatore Satta. Il protagonista, don Sebastiano, quando voleva zittire la moglie donna Vincenza, le rispondeva con una battuta da far gelare il sangue: «Tu stai al mondo soltanto perchè c’è posto», le diceva.
Spero che nessuno ci dica mai una cosa del genere, però l’interrogativo possiamo mettercelo: Perché sto al mondo? Per quale motivo vivo e faccio tutto ciò che faccio?
Queste ultime domeniche dell’anno ci mettono davanti la riflessione sulle cose ultime, quelli che si chiamavano un tempo i novissimi. Le cose ultime sono le cose per le quali vale la pena di vivere. Sono i motori che trainano la nostra vita in avanti, e mai indietro, perchè ci attirano!
Vivere accendendo il nostro desiderio di conoscere Dio non è la stessa cosa che vivere nel rimpianto e nella nostalgia del passato.
Raccontandoci questa parabola il Signore vuole alimentare la nostra lampada, chiede a noi di procurarci olio per accenderla al momento opportuno.
Nell’inno Veni creator Spiritus, uno dei versi dice: Accende lumen sensibus, accendi la luce ai sensi. Perché Dio non si percepisce soltanto con la testa, né soltanto con i sentimenti, ma in modo speciale attraverso i nostri sensi, illuminati, accesi, pronti a cercarlo: la mia carne ti desidera, abbiamo pregato nel salmo di oggi.
Mi colpiscono sempre le dita delle persone cieche: intuiscono la realtà attraverso di esse. Così come la capacità di chi lavora le stoffe di riconoscerle al tatto: ci vuole allenamento.
Finché il nostro Dio sarà un Dio soltanto del cervello, il nostro desiderio sarà piccolo, moderato, sempre soggetto a tentennamenti. Non avremo olio a sufficienza per accendere le lampade a notte fonda. L’avremo già consumato tutto nell’illusione di averlo atteso.
Ma alimentare il nostro desiderio e il nostro amore è possibile?
Certo che lo è. In che modo?
Ascoltando la sua parola, nutrendoci di lui, imparando ad amarci da fratelli e sorelle.
Cercando la sua presenza nei gesti silenziosi, nei segni poco appariscenti: allora la Sapienza ci verrà incontro, la scopriremo già accovacciata di buon mattino alla nostra porta, come un cagnolino fedele.
Dunque allenare la vista e il cuore a cercare i segni della sua presenza, sfogliare ogni pagina della nostra vita come un desiderio mai saziato di incontro, come una benedizione sempre presente nelle persone che incontro, persino nel nemico, persino in chi mi ha fatto del male. È la dimensione storica della Chiesa.
La vita non è sempre idilliaca, non è sempre bellezza. Per questo è necessaria la Sapienza: perchè ogni cosa sia illuminata dal di dentro, e scopriamo il mistero di Dio nella nostra umanità.

Maria, donna dell’attesa, ci aiuti e ci incoraggi nel nostro percorso incontro allo Sposo.

Nessun commento:

Posta un commento