giovedì 18 aprile 2019

Omelia per il Giovedì Santo - Coena Domini e Lavanda dei piedi

Due segni ci vengono mostrati in questa sera. Due segni semplici che noi conosciamo benissimo, perché appartengono ai nostri rituali quotidiani, a quella che potremmo chiamare la nostra liturgia domestica: mangiare e lavarsi. E proprio perché sono due azioni che appartengono alla vita comune di ogni persona, in qualsiasi parte del mondo abiti, ogni ricerca umana di una strada che porta a Dio ne ha fatto dei riti religiosi. In un modo o nell’altro, le religioni sparse nel mondo hanno un riferimento ai pasti sacri, o quantomeno regolano il modo di mangiare, di macellare la carne, di cucinare certi cibi e altri no, e alle abluzioni, alle purificazioni rituali.
Allora potremmo dire che Gesù in fondo non ha fatto nulla di nuovo, ha dato una cosa in più, ha creato una religione in più...
Beh, non è proprio così.
I pasti rituali infatti, ottenuti attraverso sacrifici di animali, o offerta di primizie, di frutti della terra, hanno lo scopo di nutrire Dio, di placare la sua ira verso gli uomini, di offrirgli qualcosa attraverso la quale Lui sia contento di noi.
Così anche i lavaggi, le abluzioni sacre, dicono il desiderio di autopurificarsi per essere degni di avvicinarsi a Dio.
Ma nulla di tutto questo stasera.
Nulla di tutto questo nell’eucaristia, e nulla di tutto questo nella lavanda dei piedi che tra poco faremo per ripetere il gesto di Gesù.
Attraverso questi gesti infatti, Gesù non ha voluto darci qualcosa che servisse a tenere buono Dio, a evitare i mali che incombono inevitabilmente sulla nostra vita. Non ha voluto purificarci per essere degni di accedere a Dio.
In questi gesti noi vediamo ciò che Dio ha fatto e continua a fare per noi: vediamo che è lui a offrirsi all’umanità in cibo, è lui a offrirsi all’umanità come servo, a stare in mezzo a noi non come colui che comanda e che vuole essere ubbidito, ma come colui che serve, che vuole darci la gioia vera. Una gioia che passa dall’amore, non dall’esecuzione di compiti, o dal rispetto esteriore di regole.
La stessa gioia che passa in una famiglia quando si condivide il pranzo della festa, la stessa gioia del bambino rilassato e beato nelle braccia della mamma che gli ha appena fatto il bagnetto o dell’anziano che ormai impossibilitato a lavarsi da solo viene accudito, lavato, profumato, impomatato e fatto bello.
Sì, noi stasera dobbiamo essere ben coscienti di questo: non siamo noi che facciamo qualcosa per Dio, ma è lui a fare qualcosa per noi.
Fateci caso: nella lavanda dei piedi non ci si lava i piedi da soli, ma è Gesù a lavarli ai discepoli. I bambini molto piccoli hanno bisogno di qualcuno che li lavi, o i vecchi non autosufficienti. Noi sappiamo lavarci da soli. Ma ai tempi di Gesù anche i ricchi si facevano lavare i piedi dagli schiavi.
Dunque Gesù si consegna agli uomini come pane e come servo, che sono due cose veramente scandalose, e che ancora oggi noi, dopo duemila anni di cristianesimo, stentiamo a comprendere. Non si consegna a noi come Superiore, come uno che vuole essere osannato, glorificato, servito, ma come colui che vuole essere mangiato, come colui che vuole che impariamo a servirci gli uni gli altri.
E ce lo insegna attraverso dei gesti che sono così comuni e così frequenti nella nostra vita, che rischiamo proprio di non capirli, perché nutrirci – e cioè vivere – e curare l’altro, cioè curare che l’altro stia bene, che l’altro sia felice e sereno, essere responsabili di qualcuno, dovrebbero essere in fondo lo scopo della nostra vita.
È come se dicesse: guardate che l’eucaristia è questa: che Dio ti vuole felice, e che per questa tua felicità ha rinunciato a tutto, ha rinunciato alla sua gloria, ha rinunciato al piedistallo, ha rinunciato al potere, si è abbassato.
E ogni volta che noi compiamo questi gesti nella nostra vita, nella nostra quotidianità, nella nostra esistenza più feriale, stiamo facendo passare l’eucaristia celebrata nella vita vissuta. Ecco perché dobbiamo attingere continuamente al mistero dell’eucaristia, ecco perché dobbiamo nutrircene, dobbiamo partecipare, dobbiamo rinunciare a cose apparentemente urgenti per cercare l’essenziale. 
Perché noi non sappiamo vivere, guastiamo continuamente i rapporti, siamo pieni di doppi fini, a volte persino inconsciamente, oppure di scrupoli, di ambiguità, di sotterfugi.
Chi ci libera e ci consegna a noi stessi e consegna a noi stessi l’autentico modo di amare? Solo l’eucaristia.
E vedete: a tutta questa ricchezza noi frapponiamo continuamente ostacoli. E magari diciamo: ma la comunità è composta di tizio, caio e sempronio, che non mi piacciono, che sono così e così, che fanno questo e quest’altro. E forse diciamo anche: ma quel prete è così e così, non mi piace.
Certo, c’è tanto di vero. Eppure se Gesù avesse voluto una comunità perfetta, credete che avrebbe lavato i piedi a Pietro? O a Giuda? Ma credete veramente che fosse uno sprovveduto?
Gesù non ha scelto persone perfette, ha scelto persone complesse, complicate, con mille sfaccettature, come noi, piene di luci e di ombre. Non ha scelto santi. Li ha scelti perché sapeva che nessuno è mai all’altezza del vangelo, e tuttavia ha scelto i suoi, cioè noi, per dirci che l’amore vero mette in conto la pochezza, il tradimento, la dabbenaggine, il rinnegamento. L’amore di Dio è davvero senza doppi fini, senza tornaconto. In un mondo dove ognuno pensa al proprio orticello, l’amore di Dio viene a dirci ancora una volta, stasera, e in ogni eucaristia che celebriamo, che o ami così, o non è amore.
E che non è un problema che tu non ne sia all’altezza. È importante soltanto che lo riconosci e che continui ad attingere da questa fonte, e continui a percorrere le orme di Cristo, e continui a guardare al suo esempio. Perché soltanto così sarai davvero in conversione continua. Soltanto così il tuo essere cristiano smetterà di essere la tessera di un club e diventerà vita vissuta. Se noi, fratelli e sorelle, stasera torniamo a casa con la convinzione, con la decisione, con la determinazione di voler imparare ad amare così, state tranquilli che il mondo sarà cambiato, che le nostre relazioni saranno relazioni di servizio, che il nostro guardarci in faccia sarà più mite, perché bagnato dal sangue di un amore che non ha esitato a consegnare tutto quanto, e a non volere in cambio nulla.
Perché così ama Dio, e quando noi entriamo in questo amore, la nostra gioia è piena, e nulla ci manca, e nulla abbiamo da recriminare, ma solo da ringraziare, da lodare, da servire.
E questa è la vita eterna: la vita eterna comincia qui, ogni volta che poniamo un gesto di amore. 
Il Signore ci insegni ad amare così.

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