martedì 28 marzo 2017

L'eucaristia guarisce dalla paralisi e rimette in cammino - Quarantore a Sardara

Ez 47,1-9.12
Gv 5,1-16
L'eucaristia guarisce dalla paralisi e rimette in cammino

Trentotto anni non sono uno scherzo. Chissà a che età si sarà ammalato quest'uomo, ma trentotto anni sono una vita. Una vita paralizzato.
Una vita solo. Pensate la tragedia di quest'uomo. Ci è più che lecito pensare che Gesù adolescente, quando discusse coi dottori del tempio, dovette incontrarlo alla Porta delle Pecore, che era la Porta di fronte alla quale si trovava la piscina nella quale venivano lavati gli agnelli per il sacrificio (detta appunto piscina probatica, in ebraico Betzatà= casa della misericordia).
Questa piscina, forse per l'uso sacrale che se ne faceva, aveva fama di portare la guarigione a chiunque vi si immergesse per primo quando l'acqua si agitava.
Capite la frustrazione di quest'uomo paralizzato, che davanti alla domanda di Gesù: «Vuoi diventare sano?», risponde sconsolato: «Hominem non habeo», non ho nessuno che mi immerga.
Quest'uomo, oltre che paralitico è solo. Folle di persone sono passate davanti a lui, ma nessuno si è fermato con lui. Trentotto anni così.

Ora qui noi saremmo tentati di vedere nel gesto di Gesù un gesto di misericordia e di attenzione al prossimo, e certamente c'è anche questo.
Ma Gesù qui fa un gesto che lo pone in contrasto con i capi del popolo: compie questa guarigione in giorno di sabato e comanda all'ex paralitico, che neppure lo conosce, di prendere la sua barella e camminare, cioè di compiere un lavoro in giorno di sabato.
Allora siamo davanti a questo: il problema non è che Gesù guarisce, ma che guarisce in un giorno che è dedicato a Dio, giorno nel quale bisogna astenersi dagli sforzi. Gesù mette in discussione usanze fossilizzate che non sono più capaci di riconoscere l'intento originario di Dio nel comandare il riposo sabbatico. Intento originario che era quello di una vita appagante dell'uomo nel suo rapporto con Dio.
Quest'uomo per trentotto anni ha passato, potremmo dire, un lungo sabato come lo intendevano i giudei: non si è mosso mai a causa della sua infermità.
Ora ci è facile pensare a tutte quelle situazioni di paralisi che ci colpiscono, che colpiscono tante persone che conosciamo, che forse non sono paralisi fisiche, ma morali. Che ci intrappolano nei nostri comportamenti, nei nostri modi di ragionare e di giudicare. Che ci bloccano e non ci consentono di vivere un rapporto appagante con Dio e con i fratelli.
Le cause sono più diverse: peccato, traumi, ignoranza, mancanza di guida. Eppure siamo bloccati.
Gesù passa anche davanti a noi e ci chiede se vogliamo diventare sani. Lo fa spesso sotto mentite spoglie, senza essere immediatamente riconosciuto. Lo fa attraverso la parola di un amico, la lettura di un libro, un film, uno spettacolo naturale.
Chiede al più profondo del nostro cuore: Ma tu vuoi essere sano? Vuoi poterti sbloccare?
E davanti al nostro lamento, che nessuno ci aiuta, lui intima al nostro cuore: Alzati e cammina!
La forza taumaturgica della sua Parola è in grado di risollevarci.
Misteriosamente ma realmente.
In agguato però c'è sempre il peccato, quello da cui Gesù mette in guardia l'ex paralitico: «Non peccare più perchè non ti accada qualcosa di peggio!».
La nostra salute/salvezza, il nostro camminare da cristiani è sempre sottoposto alla tentazione, all'apertura della nostra libertà.
C'è un momento nella vita in cui diciamo: Non ho nessuno che mi salvi, che mi guarisca. Giaccio nella mia paralisi, nella mia chiusura, nella mia tristezza, magari da tanto... ci sono tristezze che ci accompagnano per tutta la vita!
Finché, talvolta in sordina, arriva una parola a risollevarci.
Avremo il coraggio di rialzarci e vincere il giudizio degli altri che ci dicono: Perché ti sei rialzato? In fondo, non potevi aspettare ancora, almeno un giorno?
Penso che talvolta il nostro permanere in certi peccati e in certe paralisi sia dovuto alla nostra paura del giudizio degli altri.
Davanti a questa paralisi l'Eucaristia è il sacramento che ci rimette in cammino, che non ci lascia nella nostra paralisi.
Ma ci crediamo davvero? Anni, decenni di comunioni forse non hanno scalfito neanche un po' certi lati del nostro carattere, certi peccati che facciamo a ripetizione. Perché?
Perché in fondo, diciamolo, ci piace stare su quella barella a chiedere l'elemosina. Troviamo giustificazione anche ai nostri peccati, alle nostre incongruenze, alla nostra pigrizia a volerci alzare.
Perché guarire richiede una responsabilità, richiede di essere interrogati e accusati dai capi di turno: «è sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Guarire, essere salvati, suscita sempre una responsabilità: cioè una chiamata a rispondere, a renderci respons-abili, appunto.


Essere guariti dal peccato ci rende abili a rispondere alla vita col bene piuttosto che col male.
L'eucaristia allora deve diventare responsabilizzante per noi: abbiamo ricevuto la vita di Dio in noi, abbiamo ricevuto il suo perdono. Che ne facciamo?
Accettiamo che il mondo ci dica: non è bene che tu perdoni, non è bene che tu cerchi vie di pace, non è bene che tu ami, che tu faccia il bene, invece fatti scaltro, frega, offendi, non perdonare, non farti mangiare la pastasciutta in testa... Sii uno che si fa valere, che dice sempre l'ultima parola...
Avremo il coraggio, uscendo da questa eucaristia e da ogni eucaristia, di essere responsabili del dono ricevuto? A comprendere, che quando Gesù ci dice: «Alzati, prendi la tua barella e cammina» ci sta dicendo: Guarda che sei guarito, ora non è più la tua barella, il segno della tua infermità, a portare te, ma tu puoi portare lei come un segno di salvezza. Ci sta dicendo, se lo vogliamo accogliere: Non è più il tuo peccato a portare te, ma tu puoi prenderlo in mano, hai potere su di lui!

Ogni eucaristia è una iniezione di fiducia su di noi, una chiamata alla responsabilità.

Usciamo nuovi, perchè da oggi in poi non ci facciamo più dominare dal peccato, dal male, ma cerchiamo noi di dominarlo. E per fare questo, per chiedere e ottenere sempre questa grazia, ogni domenica ritorniamo alla fonte della salvezza che ci rialza e ci mette in cammino.

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