lunedì 27 marzo 2017

L'eucaristia guarisce e rafforza la fede - Quarantore a Sardara

Is 65,17-21
Gv 4, 43-54
L'eucaristia guarisce e rafforza la fede

La prima lettura di oggi ci riporta a ciò che dicevamo ieri: Siamo creati per la felicità. Il profeta Isaia descrive i tempi messianici come tempi di nuova creazione dove spariscono il passato fatto di tristezza, le lacrime, le grida di angoscia, la vita breve, e dove c'è spazio solo per una vita pienamente realizzata, di serenità e di abbondanza.
La profezia di Isaia era tesa tuttavia a una gioia modulata sulle nostre gioie terrene, magari soltanto amplificata.
Questa immagine, che pure è reale e profetica, e in quanto tale attende una sua realizzazione, viene compiuta da Gesù attraverso dei segni, i segni della sua presenza e della sua guarigione.
Particolare di un'opera del Centro Aletti
Ieri abbiamo detto che l'eucaristia ci dà uno sguardo nuovo sulla realtà, illumina i nostri occhi perché possiamo scorgere l'azione di Dio.
Il Vangelo di oggi ci mostra Gesù che dopo aver trascorso due giorni presso i samaritani, e dopo che numerosi tra loro gli hanno creduto, prosegue il suo viaggio verso la sua patria, la Galilea, luogo in cui aveva compiuto quel primo grande segno, a Cana, dove aveva cambiato l'acqua in vino.
E qui, entrando a Cana, preceduto dalla sua fama – a Gerusalemme aveva compiuto un altro segno profetico, aveva rovesciato i banchi dei cambiavalute e dei venditori di animali – a Cana un funzionario di Erode gli chiede la salute per il proprio figlioletto moribondo.
È necessario che facciamo un breve passo indietro: Gesù era stato due giorni tra i samaritani, dopo aver parlato con la samaritana al pozzo, e l'evangelista afferma espressamente che a loro è bastata la presenza e la parola di Gesù per credere in lui. Gesù non ha compiuto segni o prodigi tra i samaritani: è stato con loro, ha parlato con loro, ed essi hanno creduto.
Ora invece nella sua patria la gente ha bisogno di segni e prodigi.
In realtà questo dialogo tra Gesù e il funzionario regio è alquanto strano. Gesù muove una sorta di protesta: voi avete bisogno di una fede fatta di segni e prodigi: è un credere alla sua potenza miracolosa, non ancora un credere in lui.
È il grado di fede di tanta gente, forse anche tra noi, e la conseguente delusione quando le nostre preghiere e le nostre aspettative non sono realizzate come le volevamo noi.
Ma questo padre non si fa scoraggiare dal rimprovero di Gesù, anzi, come se non lo avesse sentito, lo prega di scendere a Cafarnao, che è piuttosto lontano da Cana e in basso.
Quanti padri e quante madri abbiamo visto imploranti salute per i propri figli malati, quanta insistenza, quante lacrime, quanta determinazione, quanti voti!
E noi ammiriamo l'audacia di questa richiesta che apre quest'uomo (e tutta la sua famiglia!) alla fede. Perché Gesù non lo accompagna dove vuole lui, non scende a Cafarnao con lui, ma gli dice soltanto «Va', tuo figlio vive» e lo congeda.
È in questo cammino che matura la fede del funzionario, ancor prima che arrivi a destinazione, quando i servi gli vengono incontro a dirgli che il figlio sta bene.
E noi ricordiamo di un altro padre e di un altro figlio minacciato di morte, Abramo e Isacco, e di quel cammino, fatto da Abramo per salire al monte Moria, con l'angoscia per questo figlio. E sul monte finalmente il segno della presenza di Dio: una mano che ferma il coltello e un ariete pronto per il sacrificio.
Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
La fede nei miracoli di Gesù si sta trasformando in fede in Lui, nella sua parola.
Questo percorso, questo cammino ci invita a fare l'eucaristia: essa ci rimette in cammino nella nostra fede.
Noi ci interroghiamo: perchè ha guarito lui e non guarisce quella persona per la quale stiamo pregando da tempo? Quel nostro amico, marito, sorella, figlio?
Questo passo che oggi leggiamo è tra quelli più adatti a farci comprendere cos'è la fede, e quindi anche cosa opera in noi.
Particolare di un'opera del Centro Aletti
Che cos'è infatti la fede per questo funzionario? La fede è una realtà, è un verbo al presente: «Tuo figlio vive». Tu sei chiamato a metterti in cammino sulla base di questa coincidenza di orario («riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”»). La fede non è prima di tutto un miracolo, un segno, una verità da credere. È una realtà, una presenza reale. In mezzo al nostro tempo, alle nostre vicissitudini, ai nostri dolori, si erge una forza su cui basare la propria debolezza, emerge un'ora che non è solo quella dell'orologio, emerge una strada che è la stessa di prima, e tuttavia la percorriamo in modo diverso... Tutto questo è reale, reale come il marmo di questo altare! Anzi, lo è in forma ancora più profonda.
Mettersi in cammino con questa fede allora, significa per questo padre prendere estremamente sul serio la parola di Gesù che dice Va', tuo figlio vive. Credere per quest'uomo ha significato poggiare tutta la sua speranza di padre che ha un figlio morente sulla parola di Gesù. Si è legato totalmente a questa parola. Ma noi crediamo che sia più reale il marmo, che l'interesse è più reale della gratuità, che il male è più reale del bene...
Quanto ci è difficile assumere questo sguardo quando usciamo di qui, ci mettiamo in cammino appunto, dopo aver ascoltato la parola di Gesù, e viviamo la nostra vita trasformati da questa parola. Come ci viene difficile scorgere la presenza di Dio (che volentieri accordiamo a un po' di pane e un po' di vino!) nei fatti della vita, in quella realtà che spesso ci pesa e ci opprime, e che Isaia sogna rinnovata.
Il Signore dice anche a noi: Va', mettiti in cammino, quello che cerchi di bello, quella felicità che brami e desideri è davanti a te. Non è una vita assicurata, senza patimenti, ma è una vita consapevole della presenza reale di Gesù. Tu non lo sai ancora con gli occhi dell'intelligenza, eppure ti metti in cammino su quella stessa strada che avevi fatto al contrario disperato per la sorte di tuo figlio.
Tenere in poca considerazione ciò che il mondo considera vero e potente, e affidarsi solo alla realtà e all'amore di Gesù Cristo: questo è il cammino che siamo invitati a percorrere uscendo da questa eucaristia
Ed ecco che allora si spiega quella “conversione” del funzionario e della sua famiglia: hanno sperimentato la realtà!

E davanti alla realtà, a una realtà toccata e che mi ha toccato, non ci sono deduzioni, ragionamenti, controprove. Come il cieco di ieri: Io so soltanto che prima non ci vedevo e ora ci vedo! C'è soltanto da chinare il capo e adorare. C'è soltanto da ringraziare per questo nuovo cammino aperto sulla mia strada che ho deciso di fondare sulla fede nella parola di Gesù.

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