Is
65,17-21
Gv
4, 43-54
L'eucaristia
guarisce e rafforza la fede
La
prima lettura di oggi ci riporta a ciò che dicevamo ieri: Siamo
creati per la felicità. Il profeta Isaia descrive i tempi messianici
come tempi di nuova creazione dove spariscono il passato fatto di
tristezza, le lacrime, le grida di angoscia, la vita breve, e dove
c'è spazio solo per una vita pienamente realizzata, di serenità e
di abbondanza.
La
profezia di Isaia era tesa tuttavia a una gioia modulata sulle nostre
gioie terrene, magari soltanto amplificata.
Questa
immagine, che pure è reale e profetica, e in quanto tale attende una
sua realizzazione, viene compiuta da Gesù attraverso dei segni, i
segni della sua presenza e della sua guarigione.
Particolare di un'opera del Centro Aletti |
Ieri
abbiamo detto che l'eucaristia ci dà uno sguardo nuovo sulla realtà,
illumina i nostri occhi perché possiamo scorgere l'azione di Dio.
Il
Vangelo di oggi ci mostra Gesù che dopo aver trascorso due giorni
presso i samaritani, e dopo che numerosi tra loro gli hanno creduto,
prosegue il suo viaggio verso la sua patria, la Galilea, luogo in cui
aveva compiuto quel primo grande segno, a Cana, dove aveva cambiato
l'acqua in vino.
E
qui, entrando a Cana, preceduto dalla sua fama – a Gerusalemme
aveva compiuto un altro segno profetico, aveva rovesciato i banchi
dei cambiavalute e dei venditori di animali – a Cana un funzionario
di Erode gli chiede la salute per il proprio figlioletto moribondo.
È
necessario che facciamo un breve passo indietro: Gesù era stato due
giorni tra i samaritani, dopo aver parlato con la samaritana al
pozzo, e l'evangelista afferma espressamente che a loro è bastata la
presenza e la parola di Gesù per credere in lui. Gesù non ha
compiuto segni o prodigi tra i samaritani: è stato con loro, ha
parlato con loro, ed essi hanno creduto.
Ora
invece nella sua patria la gente ha bisogno di segni e prodigi.
In
realtà questo dialogo tra Gesù e il funzionario regio è alquanto
strano. Gesù muove una sorta di protesta: voi avete bisogno di una
fede fatta di segni e prodigi: è un credere alla sua potenza
miracolosa, non ancora un credere in lui.
È
il grado di fede di tanta gente, forse anche tra noi, e la
conseguente delusione quando le nostre preghiere e le nostre
aspettative non sono realizzate come le volevamo noi.
Ma
questo padre non si fa scoraggiare dal rimprovero di Gesù, anzi,
come se non lo avesse sentito, lo prega di scendere a Cafarnao, che è
piuttosto lontano da Cana e in basso.
Quanti
padri e quante madri abbiamo visto imploranti salute per i propri
figli malati, quanta insistenza, quante lacrime, quanta
determinazione, quanti voti!
E
noi ammiriamo l'audacia di questa richiesta che apre quest'uomo (e
tutta la sua famiglia!) alla fede. Perché Gesù non lo accompagna
dove vuole lui, non scende a Cafarnao con lui, ma gli dice soltanto
«Va', tuo figlio vive» e lo congeda.
È
in questo cammino che matura la fede del funzionario, ancor prima che
arrivi a destinazione, quando i servi gli vengono incontro a dirgli
che il figlio sta bene.
E
noi ricordiamo di un altro padre e di un altro figlio minacciato di
morte, Abramo e Isacco, e di quel cammino, fatto da Abramo per salire
al monte Moria, con l'angoscia per questo figlio. E sul monte
finalmente il segno della presenza di Dio: una mano che ferma il
coltello e un ariete pronto per il sacrificio.
Quell'uomo
credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
La
fede nei miracoli di Gesù si sta trasformando in fede in Lui, nella
sua parola.
Questo
percorso, questo cammino ci invita a fare l'eucaristia: essa ci
rimette in cammino nella nostra fede.
Noi
ci interroghiamo: perchè ha guarito lui e non guarisce quella
persona per la quale stiamo pregando da tempo? Quel nostro amico,
marito, sorella, figlio?
Questo
passo che oggi leggiamo è tra quelli più adatti a farci comprendere
cos'è la fede, e quindi anche cosa opera in noi.
Particolare di un'opera del Centro Aletti |
Che
cos'è infatti la fede per questo funzionario? La fede è una realtà,
è un verbo al presente: «Tuo figlio vive». Tu sei chiamato a
metterti in cammino sulla base di questa coincidenza di orario
(«riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: “Tuo
figlio vive”»). La fede non è prima di tutto un miracolo, un
segno, una verità da credere. È una realtà, una presenza reale. In
mezzo al nostro tempo, alle nostre vicissitudini, ai nostri dolori,
si erge una forza su cui basare la propria debolezza, emerge un'ora
che non è solo quella dell'orologio, emerge una strada che è la
stessa di prima, e tuttavia la percorriamo in modo diverso... Tutto
questo è reale, reale come il marmo di questo altare! Anzi, lo è in
forma ancora più profonda.
Mettersi
in cammino con questa fede allora, significa per questo padre
prendere estremamente sul serio la parola di Gesù che dice Va',
tuo figlio vive.
Credere per quest'uomo ha significato poggiare tutta la sua speranza
di padre che ha un figlio morente sulla parola di Gesù. Si è legato
totalmente a questa parola. Ma noi crediamo che sia più reale il
marmo, che l'interesse è più reale della gratuità, che il male è
più reale del bene...
Quanto
ci è difficile assumere questo sguardo quando usciamo di qui, ci
mettiamo in cammino appunto, dopo aver ascoltato la parola di Gesù,
e viviamo la nostra vita trasformati da questa parola. Come ci viene
difficile scorgere la presenza di Dio (che volentieri accordiamo a un
po' di pane e un po' di vino!) nei fatti della vita, in quella realtà
che spesso ci pesa e ci opprime, e che Isaia sogna rinnovata.
Il
Signore dice anche a noi: Va', mettiti in cammino, quello che
cerchi di bello, quella felicità che brami e desideri è davanti a
te. Non è una vita assicurata, senza patimenti, ma è una vita
consapevole della presenza reale di Gesù. Tu non lo sai ancora con
gli occhi dell'intelligenza, eppure ti metti in cammino su quella
stessa strada che avevi fatto al contrario disperato per la sorte di
tuo figlio.
Tenere
in poca considerazione ciò che il mondo considera vero e potente, e
affidarsi solo alla realtà e all'amore di Gesù Cristo: questo è il
cammino che siamo invitati a percorrere uscendo da questa eucaristia
Ed
ecco che allora si spiega quella “conversione” del funzionario e
della sua famiglia: hanno sperimentato la realtà!
E
davanti alla realtà, a una realtà toccata e che mi ha toccato, non
ci sono deduzioni, ragionamenti, controprove. Come il cieco di ieri:
Io so soltanto che prima non ci vedevo e ora ci vedo! C'è
soltanto da chinare il capo e adorare. C'è soltanto da ringraziare
per questo nuovo cammino aperto sulla mia strada che ho deciso di
fondare sulla fede nella parola di Gesù.
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