domenica 5 marzo 2017

Alle Querce di Mamre - Ritiro di Quaresima

[L'uomo]
Come può sperare e non sognare che la sua solitudine
schiuderà finalmente una fiamma vibrante che lo investa
per sempre
con il suo magico segreto di come improvvisare la vita?
(W.H. AUDEN, Per il tempo presente. Oratorio di Natale, Avvento, V, Coro, Trad. di Aurora Ciliberti, Vol. I, Lerici Editori, Milano 1966, 285.)

L'esilarante siparietto tra Agnese e don Abbondio nel cap. XXXVIII dei Promessi sposi:
- Oh! in quanto a questo mi scusi, - replicò Agnese: - ché, sebbene io sia una povera ignorante, le posso accertare che non gli si dice così; perché, quando siamo state la seconda volta per parlargli, come parlo a lei, uno di que’ signori preti mi tirò da parte, e m’insegnò come si doveva trattare con quel signore, e che gli si doveva dire vossignoria illustrissima, e monsignore.
- E ora, se vi dovesse tornare a insegnare, vi direbbe che gli va dato dell’eminenza: avete inteso? Perché il papa, che Dio lo conservi anche lui, ha prescritto, fin dal mese di giugno, che ai cardinali si dia questo titolo. E sapete perché sarà venuto a questa risoluzione? Perché l’illustrissimo, ch’era riservato a loro e a certi principi, ora, vedete anche voi altri, cos’è diventato, a quanti si dà: e come se lo succiano volentieri! E cosa doveva fare, il papa? Levarlo a tutti? Lamenti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di più, continuar come prima. Dunque ha trovato un bonissimo ripiego. A poco a poco poi, si comincerà a dar dell’eminenza ai vescovi; poi lo vorranno gli abati, poi i proposti: perché gli uomini son fatti così; sempre voglion salire, sempre salire; poi i canonici...
- Poi i curati, - disse la vedova.
- No no, - riprese don Abbondio: - i curati a tirar la carretta: non abbiate paura che gli avvezzin male, i curati: del reverendo, fino alla fin del mondo. Piuttosto, non mi maraviglierei punto che i cavalieri, i quali sono avvezzi a sentirsi dar dell’illustrissimo, a esser trattati come i cardinali, un giorno volessero dell’eminenza anche loro. E se la vogliono, vedete, troveranno chi gliene darà. E allora, il papa che ci sarà allora, troverà qualche altra cosa per i cardinali.


«La “conversione” di San Francesco non poteva essere l'adesione intellettuale riflessa ad una fede religiosa per lo innanzi disconosciuta. Egli non aveva mai rinnegato il simbolo del suo battesimo, e non si era mai pubblicamente allontanato dalle pratiche devozionali dei suoi conterranei. Le sue esuberanze giovanili non erano nulla di più grave e di più indecoroso di quello che ogni Chiesa ufficialmente costituita perdona generosamente alla sua gioventù. Se, reduce da Spoleto, il figlio di Bernardone aveva così violentemente rotto le consuetudini della sua esistenza, sfidando il sogghigno dei suoi amici della vigilia e le escandescenze volgari della sua famiglia, non era stato di certo per un arricchimento laborioso delle sue nozioni teologali o per un proposito imperioso di raggiungimento della perfezione attraverso le forme codificate dell'ascesi monastica, di cui pure lassù, sulla vetta del Subasio, il cenobio benedettino gli offriva, se non la pratica reale, senza dubbio la formulazione teorica completa. 
Francesco si è convertito piuttosto il giorno in cui, di contro a tutto il ciarpame vuoto e pesante delle convenzioni umane, delle menzogne sociali, delle ipocrisie sanzionate, dei gretti interessi materiali, che avvelenano le anime, offuscano i rapporti fraterni, stravolgono e contraffanno le leggi spontaneee primitive della vita associata, ha riguadagnato, di questa vita associata, l'economia spontanea e il tessuto elementare, nel precetto dell'amore e nel dovere del pronto, sorridente sacrificio. Quel giorno, annullando l'artefatta inversione di valori che è alle scaturigini e alla base della associazione pubblica ed economica degli uomini, ed invertendola a propria volta, ha ritrovato la genuina gerarchia di valori imposta dalla vita cosmica ad una creatura ragionevole, che sogni di attuare, nella pienezza delle sue energie specifiche, il proprio spirituale destino. La scena, che in quell'alba di primavera del 1206, svolgendosi alla presenza del popolo chiamato ad assistere sulla piazza di Santa Maria al giudizio del vescovo sul ricorso frapposto da Bernardone contro la discola insubordinazione dilapidatrice del figliuolo ribelle, riempì di stupore gli assisiati, quando Francesco riconsegnò al padre fin l'ultimo suo indumento, stette a simboleggiare l'esodo del “convertito” da tutte le divise dell'umana convenzione, per assumere, nella nudità della natura, la insegna della fraternità semplice che attende, fra gli uomini, l'assistenza amorevole del provvido Padre dei Cieli. Francesco, tornato primitivo pur con tutte le finezze del più progredito senso umano e sociale, ripristinava così, in pieno, la metànoia evangelica». E. BUONAIUTI, Storia del Cristianesimo, Newton & Compton Editori, Roma 2002, 617.

Ancora Auden, nel monologo di Erode che sta decidendo di compiere la strage di bambini all'annuncio della nascita di Gesù:
«Ahimé, perchè questo disgraziato bambino non è nato altrove? Perché la gente non può essere ragionevole? Io non voglio rendermi odioso. Perché non possono capire che il concetto di un Dio finito è assurdo? Perché è così. E supponiamo, per puro amore dialettico, che questa storia sia vera, che questo bambino sia inesplicabilmente Dio e Uomo al tempo stesso, che egli viva e muoia senza commettere un solo peccato. Migliorerebbe la vita con questo? Al contrario la peggiorerebbe, e di molto. Perché la cosa non potrebbe significare che questo: una volta mostrato il modo, Dio avrebbe la pretesa che ogni uomo, qualunque sia la sua fortuna, conducesse una vita senza peccato nella carne e sulla terra. Allora davvero la razza umana sprofonderebbe nella pazzia e nella disperazione. E per me personalmente ora significherebbe che Dio mi ha dato il potere di distruggerLo. Io mi rifiuto di essere ingannato. Dio non potrebbe farmi questo orribile scherzo. Perché mi detesterebbe a tal punto? Ho lavorato come uno schiavo. Chiedetelo a chiunque. Leggo i dispacci ufficiali senza saltare una parola. Ho preso lezioni di eloquenza. Non ho quasi mai accettato dei doni. Come osa permettermi di decidere? Ho cercato di essere buono. Ogni sera mi lavo i denti. Per un mese sono stato perfettamente casto. Mi oppongo. Io sono un liberale. Io voglio che tutti siano felici. Io vorrei non essere mai nato».
(W.H. AUDEN, Per il tempo presente. Oratorio di Natale, La strage degli Innocenti, I, Erode, Trad. di Aurora Ciliberti, Vol. I, Lerici Editori, Milano 1966, 405.)



Per ultimo lascio la parola al visionario Auden, che ci incoraggia a camminare, a credere, a vivere dietro Gesù Cristo:

Egli è la Via.
SeguiteLo attraverso la Terra dell'Inverosimile;
vedrete rari animali, e avrete avventure uniche.

Egli è la Verità.
CercateLo nel Regno dell'Ansia;
arriverete a una grande città che ha atteso il vostro
ritorno per anni.

Egli è la Vita.
AmateLo nel Mondo della Carne;
e al vostro matrimonio tutte le occasioni danzeranno di gioia.

(W.H. AUDEN, Per il tempo presente. Oratorio di Natale, La fuga in Egitto, IV, Coro, Trad. di Aurora Ciliberti, Vol. I, Lerici Editori, Milano 1966, 425.)









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