[L'uomo]
Come
può sperare e non sognare che la sua solitudine
schiuderà
finalmente una fiamma vibrante che lo investa
per
sempre
con
il suo magico segreto di come improvvisare la vita?
(W.H.
AUDEN, Per il tempo presente. Oratorio di Natale, Avvento, V,
Coro, Trad. di Aurora Ciliberti, Vol. I, Lerici Editori, Milano 1966,
285.)
L'esilarante
siparietto tra Agnese e don Abbondio nel cap. XXXVIII dei Promessi
sposi:
- Oh! in quanto a
questo mi scusi, - replicò Agnese: - ché, sebbene io sia una povera
ignorante, le posso accertare che non gli si dice così; perché,
quando siamo state la seconda volta per parlargli, come parlo a lei,
uno di que’ signori preti mi tirò da parte, e m’insegnò come si
doveva trattare con quel signore, e che gli si doveva dire
vossignoria illustrissima, e monsignore.
- E ora, se vi dovesse
tornare a insegnare, vi direbbe che gli va dato dell’eminenza:
avete inteso? Perché il papa, che Dio lo conservi anche lui, ha
prescritto, fin dal mese di giugno, che ai cardinali si dia questo
titolo. E sapete perché sarà venuto a questa risoluzione? Perché
l’illustrissimo, ch’era riservato a loro e a certi principi, ora,
vedete anche voi altri, cos’è diventato, a quanti si dà: e come
se lo succiano volentieri! E cosa doveva fare, il papa? Levarlo a
tutti? Lamenti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di più, continuar
come prima. Dunque ha trovato un bonissimo ripiego. A poco a
poco poi, si comincerà a dar dell’eminenza ai vescovi; poi lo
vorranno gli abati, poi i proposti: perché gli uomini son fatti
così; sempre voglion salire, sempre salire; poi i canonici...
- Poi i curati, -
disse la vedova.
- No no, - riprese don
Abbondio: - i curati a tirar la carretta: non abbiate paura che gli
avvezzin male, i curati: del reverendo, fino alla fin del mondo.
Piuttosto, non mi maraviglierei punto che i cavalieri, i quali sono
avvezzi a sentirsi dar dell’illustrissimo, a esser trattati come i
cardinali, un giorno volessero dell’eminenza anche loro. E se la
vogliono, vedete, troveranno chi gliene darà. E allora, il papa che
ci sarà allora, troverà qualche altra cosa per i cardinali.
«La “conversione”
di San Francesco non poteva essere l'adesione intellettuale riflessa
ad una fede religiosa per lo innanzi disconosciuta. Egli non aveva
mai rinnegato il simbolo del suo battesimo, e non si era mai
pubblicamente allontanato dalle pratiche devozionali dei suoi
conterranei. Le sue esuberanze giovanili non erano nulla di più
grave e di più indecoroso di quello che ogni Chiesa ufficialmente
costituita perdona generosamente alla sua gioventù. Se, reduce da
Spoleto, il figlio di Bernardone aveva così violentemente rotto le
consuetudini della sua esistenza, sfidando il sogghigno dei suoi
amici della vigilia e le escandescenze volgari della sua famiglia,
non era stato di certo per un arricchimento laborioso delle sue
nozioni teologali o per un proposito imperioso di raggiungimento
della perfezione attraverso le forme codificate dell'ascesi
monastica, di cui pure lassù, sulla vetta del Subasio, il cenobio
benedettino gli offriva, se non la pratica reale, senza dubbio la
formulazione teorica completa.
Francesco si è convertito piuttosto
il giorno in cui, di contro a tutto il ciarpame vuoto e pesante delle
convenzioni umane, delle menzogne sociali, delle ipocrisie
sanzionate, dei gretti interessi materiali, che avvelenano le anime,
offuscano i rapporti fraterni, stravolgono e contraffanno le leggi
spontaneee primitive della vita associata, ha riguadagnato, di questa
vita associata, l'economia spontanea e il tessuto elementare, nel
precetto dell'amore e nel dovere del pronto, sorridente sacrificio.
Quel giorno, annullando l'artefatta inversione di valori che è alle
scaturigini e alla base della associazione pubblica ed economica
degli uomini, ed invertendola a propria volta, ha ritrovato la
genuina gerarchia di valori imposta dalla vita cosmica ad una
creatura ragionevole, che sogni di attuare, nella pienezza delle sue
energie specifiche, il proprio spirituale destino. La scena, che in
quell'alba di primavera del 1206, svolgendosi alla presenza del
popolo chiamato ad assistere sulla piazza di Santa Maria al giudizio
del vescovo sul ricorso frapposto da Bernardone contro la discola
insubordinazione dilapidatrice del figliuolo ribelle, riempì di
stupore gli assisiati, quando Francesco riconsegnò al padre fin
l'ultimo suo indumento, stette a simboleggiare l'esodo del
“convertito” da tutte le divise dell'umana convenzione, per
assumere, nella nudità della natura, la insegna della fraternità
semplice che attende, fra gli uomini, l'assistenza amorevole del
provvido Padre dei Cieli. Francesco, tornato primitivo pur con tutte
le finezze del più progredito senso umano e sociale, ripristinava
così, in pieno, la metànoia evangelica». E. BUONAIUTI,
Storia del Cristianesimo, Newton & Compton Editori, Roma
2002, 617.
Ancora
Auden, nel monologo di Erode che sta decidendo di compiere la strage
di bambini all'annuncio della nascita di Gesù:
«Ahimé, perchè
questo disgraziato bambino non è nato altrove? Perché la gente non
può essere ragionevole? Io non voglio rendermi odioso. Perché non
possono capire che il concetto di un Dio finito è assurdo? Perché
è così. E supponiamo, per puro amore dialettico, che questa storia
sia vera, che questo bambino sia inesplicabilmente Dio e Uomo al
tempo stesso, che egli viva e muoia senza commettere un solo peccato.
Migliorerebbe la vita con questo? Al contrario la peggiorerebbe, e di
molto. Perché la cosa non potrebbe significare che questo: una volta
mostrato il modo, Dio avrebbe la pretesa che ogni uomo, qualunque sia
la sua fortuna, conducesse una vita senza peccato nella carne e sulla
terra. Allora davvero la razza umana sprofonderebbe nella pazzia e
nella disperazione. E per me personalmente ora significherebbe che
Dio mi ha dato il potere di distruggerLo. Io mi rifiuto di essere
ingannato. Dio non potrebbe farmi questo orribile scherzo. Perché mi
detesterebbe a tal punto? Ho lavorato come uno schiavo. Chiedetelo a
chiunque. Leggo i dispacci ufficiali senza saltare una parola. Ho
preso lezioni di eloquenza. Non ho quasi mai accettato dei doni. Come
osa permettermi di decidere? Ho cercato di essere buono. Ogni sera mi
lavo i denti. Per un mese sono stato perfettamente casto. Mi oppongo.
Io sono un liberale. Io voglio che tutti siano felici. Io vorrei non
essere mai nato».
(W.H. AUDEN, Per il
tempo presente. Oratorio di Natale, La strage degli Innocenti, I,
Erode, Trad. di Aurora Ciliberti, Vol. I, Lerici Editori, Milano
1966, 405.)
Per
ultimo lascio la parola al visionario Auden, che ci incoraggia a
camminare, a credere, a vivere dietro Gesù Cristo:
Egli
è la Via.
SeguiteLo
attraverso la Terra dell'Inverosimile;
vedrete
rari animali, e avrete avventure uniche.
Egli
è la Verità.
CercateLo
nel Regno dell'Ansia;
arriverete
a una grande città che ha atteso il vostro
ritorno
per anni.
Egli
è la Vita.
AmateLo
nel Mondo della Carne;
e
al vostro matrimonio tutte le occasioni danzeranno di gioia.
(W.H. AUDEN, Per il
tempo presente. Oratorio di Natale, La fuga in Egitto, IV, Coro,
Trad. di Aurora Ciliberti, Vol. I, Lerici Editori, Milano 1966, 425.)
Nessun commento:
Posta un commento