martedì 21 marzo 2017

Quaresimale sul Perdono

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 15-35)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». 


Non esistono discussioni accademiche su peccato e perdono: c'è sempre la concretezza di un peccato fatto “contro di me” all'interno della comunità di fratelli.
Non esistono peccati contro Dio”, ma sempre contro i fratelli. Questo dovrebbe interrogarci...
Allora Matteo ci prospetta “tre gradi di giudizio”:
1) Parlare a quattr'occhi;
2) Parlare con/davanti a due o tre testimoni con la persona, non della persona!;
3) Parlare davanti all'assemblea riunita.
Noi spesso cominciamo direttamente dall'ultima.
Se poi non vuole ascoltare? Sia per te come pagano e pubblicano, che non significa: Non deve contare più nulla, hai fatto tutto quello che hai potuto, ora abbandonalo al suo destino. Ma piuttosto: i pagani e i pubblicani sono coloro ai quali Gesù si rivolgeva, quindi è lecito capire che questa persona che ha peccato contro di me, che non sono riuscito a riguadagnare alla comunità né parlandoci francamente, né con l'aiuto di altri, né con l'intera comunità, questa persona ha bisogno di un aiuto speciale, di una cura speciale, la comunità deve seguirla di più, deve cercare di amarla e di intrattenersi con lei, come faceva Gesù con i pubblicani e i pagani.
Gesù estende il potere di sciogliere e legare, che aveva dato a Pietro e agli apostoli a Cesarea di Filippo, a tutti i discepoli. Esiste nella Chiesa il sacramento della riconciliazione, ma questo sacramento, che celebra il sacerdote con il singolo penitente, non è slegato da un altrettanto forte impegno alla riconciliazione tra fratelli.
«Ma se pecca sette volte contro di me?». Pietro sembra quasi voler porre un limite a questo comando assoluto, a questo impegno da parte di Gesù di tenere in considerazione i nostri passi sulla via della riconciliazione tra di noi, a usare come metro per il cielo, il metro che noi usiamo nei nostri rapporti.
Quando Gesù viene richiesto sul perdono racconta la parabola del Re che vuole regolare i conti, quindi decentra l'attenzione. Al centro non ci sono io coi miei torti subiti, ma la misericordia di un re magnanimo. La parabola sul Perdono spinge il discepolo a ritornare al sentimento della Presenza di Dio (G. Brasó).
In ultima analisi tutta la mia vita, comprese le mie relazioni, è davanti a Dio.
Se non capisco questo, e penso di essere solo (peccato = la mia vita me la gestisco io), allora prendo al collo il mio fratello.
Pietro fa questa domanda dopo che Gesù ha dato indicazioni su come affrontare un fratello che pecca contro di me.
Perché forse, almeno in teoria, tutti siamo disposti a perdonare una volta, diciamo: è una cosa abbastanza ragionevole. Il problema sono i recidivi... È qui che Gesù ci spiazza! Il sommo grado di giudizio è paradossale: misericordia per tutti.
Allora quali sono i passi che io posso compiere?
Posso disprezzare il mio peccato, quei diecimila talenti di debito che mi sono stati condonati perchè non avrei mai potuto restituirli, una cifra esorbitante (cinquanta milioni di euro) e guardare a Gesù sottomesso al Padre. Allora mi accorgerò di passare lentamente dalla legge estrinseca, da quella legge che dovrebbe farmi restituire il mio debito all'amore puro che mi condona tutto, perchè non saprei come fare a restituire, non ne ho le forze.
Questo amore mi fa sopportare l'ingiustizia, mi fa cercare la verità e me la fa preferire anche alla reputazione.
Penetrati e salvati, guariti da lui, non ci accontentiamo di ammirarlo, ma nasce in noi l'esigenza di emularlo, di imitarlo, per corrispondere pienamente a questo amore.
L'amore infatti è emulativo, la legge no. Come quando sentiamo il bene che uno ci fa o ci ha fatto, e sentiamo il bisogno, il desiderio di essere una volta almeno come lui/lei, non solo di restituirgli un gesto di bontà, ma di essere così anche noi. Noi abbiamo dimenticato il grande valore dell'imitazione. I cristiani di un tempo ne avevano fatto addirittura una scuola.
Noi, col pretesto che dobbiamo essere noi stessi, non accettiamo più che il cristianesimo sia anche in parte “imitazione”, perchè pensiamo che così facendo potremmo correre il rischio di essere ipocriti.

Ma andate a chiedere a un ragazzo che gioca a calcio e ha talento, se non va a vedersi i video dei giocatori migliori in attività. O andate a chiedere a una ballerina se non osserva come si muove la sua istruttrice, o come balla l'étoile della Scala. Tutte le cose belle hanno bisogno, oltre che di un talento personale – di una certa predisposizione del carattere, potremmo dire in questo caso – anche di vedere in qualcuno di concreto (Gesù, e dietro di lui i santi) che è davvero possibile raggiungere certi limiti e superarli. La grazia non è una bacchetta magica, ma si serve prima di tutto degli strumenti che la nostra stessa natura di creature ci ha messo a disposizione: il mio carattere, le cose che mi hanno insegnato, gli esempi che ho visto.
Un principio che dovremmo sempre osservare è il seguente: Summum non stat sine infimo (Imitazione di Cristo II, 10, 2). Cioè le cose più alte poggiano su quelle più basse. Se io non lascio mai passare nulla, se non scuso le cose più banali, non sarò capace di perdonare le offese più gravi.
Noi come Pietro, ne facciamo soltanto una questione di norme, di numeri, per sentirci in ordine con la nostra coscienza. «Si può perdonare fino a?»
«Fino a infinito» è la risposta dell'Evangelo.
Ma che cos'è il perdono cristiano?
Perdono significa smettere di fare confronti. Può darsi che l'altro abbia fatto contro di me delle azioni malvagie, che in certi casi richiedono anche un distacco, per evitare conseguenze peggiori. Penso alle vittime di una violenza fisica o psicologica, che devono tutelare se stesse, a volte i propri figli. Devono allontanarsi, separarsi dall'aguzzino. Questo impedirà loro di perdonare? No di certo! A volte ci portiamo dietro rancori anche verso persone morte da tempo, che ci hanno fatto molto male... Se vogliamo vivere davvero dobbiamo imparare a perdonare anche quelle!
Perdonare è un percorso, abbiamo visto che ha delle tappe. Un pieno perdono di cuore forse arriverà dopo anni di ricerca. Perdonare significa non mettersi al posto di Dio nel giudizio su quella persona, ma cercare comunque il suo bene (insieme al nostro, ovviamente, non a discapito del nostro).
Sapete perchè facciamo fatica a perdonare chi ci ha fatto un torto (magari anche piccolo talvolta)?
Perché il senso del nostro isolamento, la nostra frustrazione per essere stati fraintesi in quella buona intenzione che avevamo, in quella proposta che abbiamo fatto e non è stata accettata, in quella nostra mano tesa che è stata rifiutata, in quel silenzio imbarazzato quando siamo arrivati improvvisamente in un capannello di persone, il nostro isolamento e la nostra frustrazione gridano dentro di noi, e noi non abbiamo armi per combatterli, o cominciamo a diventare competitivi (tu mi hai fatto così e allora io ti faccio cosà) o ci chiudiamo ancor più nel nostro mutismo.
Gli esperti dicono che l'isolamento è causa oltre che di comportamenti autolesionistici (alcoolismo, suicidi, etc) anche di quei disturbi che spesso avvertiamo: il mal di pancia, la gastrite, la schiena dolorante...
Perdonare non significa dunque essere cordiali con l'altro, fare come se nulla fosse. Significa piuttosto fare un cammino di riconciliazione prima di tutto con l'immagine di sé stessi.
Il problema è che quando c'è qualcosa che non va tra noi, facciamo due cose uguali e contrarie nella loro inutilità: o la mettiamo sotto il tappeto oppure ne parliamo ai quattro venti (il grande guaio di tante comunità cristiane e di tante famiglie!).

Invece siamo chiamati a seguire un percorso, una disciplina... quella che il Vangelo ci suggerisce; siamo invitati non a recriminare sulla nostra lesa maestà, ma a guadagnare un fratello che compiendo un peccato ha rotto la sua comunione con la comunità, e noi non vogliamo che resti fuori, ma che ritorni a farne parte!
E il secondo problema è che noi pensiamo che gli altri (a cominciare dai rapporti più vicini: la moglie, l'amico, il figlio, la nuora, la suocera, i fratelli e le sorelle della parrocchia, il collega di lavoro...) siano nati per riempire il nostro vuoto esistenziale e il nostro isolamento: «Tutti ti stanno accanto nessuno ti sta vicino» (Fedez, J-Ax, Piccole cose).
Per questo ci offendiamo a morte quando qualcuno ci fa un torto, perchè è come se dicesse: tu volevi che io mi comportassi con te in un certo modo e invece io non ho voluto. L'altro mette dei limiti al mio bisogno di possesso. Mentre io voglio disporre totalmente di me stesso e degli altri, come quel servo a cui il re condonò il debito enorme, ma che non fu capace di condonare un piccolo debito di un suo compagno. «Restituisci quel che devi!» Ci mettiamo al posto del re, dimenticandoci che siamo tutti compagni nel servizio (syndouloi).
E perchè non avremmo diritto di recriminare, di gridare che abbiamo subito un torto, forse anche un'ingiustizia?
Direi così: perchè non è quella la strada della guarigione. Neppure se striscia per terra chiedendoci perdono, l'altro soddisferà la nostra sete di potere, la nostra smania di essere re al posto del Re.
Questo gioco invece alimenterà in noi uno spropositato ego e diventerà un circolo vizioso. Così vizioso che mi allontanerà dal Padre, che ha voluto che il metro del perdono tra di noi diventasse il metro del nostro perdono finale. Come a dire: prima accogli il grande perdono di Dio nella tua vita, e poi, con pazienza, perseveranza e chiedendo con fede il dono della conversione, sarai anche capace di perdonare di cuore il tuo fratello che ha peccato contro di te.

CRISTIANI E PAGANI Poesia
1
Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione,
piangono per aiuto, chiedono felicità e pane,
salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte.
Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani.
2
Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione,
lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane,
lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte.
I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza.
3
Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione,
sazia il corpo e l’anima del suo pane,
muore in croce per cristiani e pagani

e a questi e a quelli perdona. (Dietrich Bonhoeffer)

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