lunedì 30 ottobre 2017

Lettera a un futuro diacono, da Abramo di Ur dei Caldei

ABRAMO DA UR DEI CALDEI
(Gn 12; 22)



Carissimo.
Ho saputo che presto sarai ordinato diacono, e questa notizia mi ha riempito di gioia, perchè mi ha ricordato i miei inizi, quando uscii dalla casa di mio padre, dalla mia parentela per andare verso una terra che non conoscevo.
Sai, io sono una persona concreta, sono un pastore, sono abituato a contare ogni sera le mie pecore e i miei cammelli per verificare che non ne manchi neanche uno. Tutto deve tornare a casa mia. Siamo benestanti, ma il patrimonio si conserva se si tiene sotto controllo, appunto.
La questione è proprio questa: che Dio invece mi ha promesso qualcosa fuori controllo!
Una notte, mi ricordo ancora come fosse oggi, il Signore mi ha parlato, mi ha fatto uscire fuori dalla mia tenda e mi ha chiesto di contare le stelle... Ma come si fa a contare le stelle?
E mi ha promesso che la mia discendenza sarebbe stata più numerosa delle stelle, se io fossi riuscito a contarle.
Un’altra volta, stavo insieme a Lot, mio nipote, e il Signore mi ha mostrato tutta la valle del Giordano, una enorme distesa di terra. E mi ha detto: «Se uno potrà contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti».
A me che avevo una moglie sterile! Comprendi?
Allora qui si tratta proprio di un’assurdità. Eppure qui sta il paradosso: che se fosse davvero un’assurdità, io non l’avrei fatta. Perché io – torno a dire – sono un uomo concreto.
Mi sono fidato di queste voci che sentivo, di queste visioni che vedevo... anche se non sempre capivo. Ci ho messo tanto tempo. Ed ero già grande! Avrei dovuto avere senno.
Sai, i miei mi hanno accusato di essere pazzo. Si stava così bene a casa mia, avevo tutto. E invece io ho preferito seguire un’altra strada.
Così ho avuto un figlio da Agar, che era la schiava di mia moglie, ma Sara non la sopportava, perché Agar la prendeva in giro, la umiliava per la sua sterilità. E tanto fece che mi costrinse a cacciarla, insieme a Ismaele. Qualche volta mi sono fatto condizionare da altre persone che avevano una certa influenza su di me.
Sì, non sono stato un santo, lo ammetto: avrei dovuto resistere. Così come quando presentai Sara al faraone come mia sorella e non come mia moglie: avevo paura che mi facesse fuori per prendersi la mia bellissima signora. E così ho fatto certe cose soltanto per cavarmi d’impiccio, non perchè fossero giuste.
Non so, è come se convivesse in me un affidamento totale a un Dio che neppure conoscevo tanto bene, nomade anche lui come me, e contemporaneamente però una fifa blu quando si trattava di prendere decisioni.
C’è stata però un’occasione nella quale la mia paura e il mio coraggio sono andati avanti insieme, e questo è stato la mia salvezza. È stato quando è nato Isacco, il mio figlio tanto desiderato, colui che ha rallegrato la mia vecchiaia e che ho amato infinitamente.
A un certo punto, questo Dio che mi aveva promesso una discendenza senza numero mi ha chiesto di sacrificarlo.
Lì mi è crollato il mondo addosso. Perché Dio mi chiedeva una cosa simile?
Mi chiedeva di odiare colui che amavo. Perché uccidere è odiare. Mi ricordavo bene di Caino e Abele, mio padre Terach ci raccontava sempre la storia... sai, noi siamo pastori, siamo abituati a risolvere le cose con il coltello. Ma io, grazie a Dio, poiché disponevo di molti soldi e sono sempre stato una persona pacifica, ho preferito spendere qualcosina in più per aggiustare le cose, quando qualcuno si appropriava di pozzi che non erano i suoi, o di pascoli che non erano i suoi. Pensa che a Lot dissi tranquillamente, pur di non litigare, che si scegliesse la terra che più gli piaceva. Io sarei andato dalla parte opposta. Io sono fatto così: non mi piace litigare, non mi piace odiare.
Beh, insomma... a un certo punto Dio mi fa: «Prendi il tuo unico figlio che ami, vai sul monte e offrilo in olocausto».
Non so se mi spiego: il mio unico figlio (Agar se n’era già andata con Ismaele)... offrirlo in sacrificio?
Lì ho capito che si può offrire in sacrificio solo ciò che si ama. Si può sacrificare non ciò che non conta niente nella vita, ma ciò che conta tutto, come un figlio, come la libertà, come i genitori.
Ravenna, San Vitale - Mosaico del presbiterio
Mi sono reso conto che questo è stato sempre il filo rosso della mia vita: in fondo non sono mai contate per me le ricchezze, le donne, i greggi, bensì il fatto che tutta la mia vita sia stata sempre un perdere qualcosa: perdere la terra e la casa di mio padre, perdere la terra migliore e più fertile, perdere qualche pozzo, perdere Ismaele, e ora perdere Isacco.
Quella promessa assurda di Dio la riassumerei proprio così: prometti tutto, ma questo tutto te lo devo restituire.
I vostri evangelisti scrivono che Gesù ha detto una volta queste parole: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26).
Sì, lo so che per timore che suonasse troppo forte, questa parola è stata addolcita da chi vi ha tradotto la Bibbia. Ma io non fatico a pensare che Gesù abbia usato davvero il verbo “odiare”, perchè è stata anche la mia esperienza.
Io non potrei capire questa parola se non avessi sperimentato sulla mia pelle cosa significa. Come si fa infatti a odiare coloro che sono parte del nostro cuore, che rappresentano le nostre radici, le nostre aspirazioni, tutti i sentimenti di bene che può avere un uomo?
Come Dio può pretendere, chiedendoci di seguirlo per una strada che non conosciamo (e già questo dovrebbe bastargli), che addirittura odiamo coloro che ci sono cari?
L’ho capito salendo sul Moria con Isacco. Se Dio pretendesse da noi un amore tiepido, un amore da dividere in mille rivoli, un amore che non fosse esclusivo e assoluto... se non fosse così, che amore sarebbe?
Ma allo stesso tempo ci ha dato questi affetti, a che pro?
Ecco, mi pare di poter dire così: in realtà è proprio perchè io amo pazzamente questi miei cari che sono disponibile anche a sacrificarli. Quello che tutti chiamano odiare e ritengono una pazzia, come appunto in questa richiesta di Gesù, in realtà è un amore più grande, o meglio è un amore che non smette mai di amare. Se io avessi odiato Isacco, Dio non mi avrebbe chiesto di offrirlo in sacrificio... io ho potuto salire il monte Moria con Isacco perchè lo amavo infinitamente, e ancor più adesso. Ecco perchè Dio me lo stava chiedendo.
Nessuno può capirmi, se non chi ha fatto la mia stessa esperienza, e spero che anche tu la faccia. C’è qualcosa che supera il buonsenso comune, che supera persino una certa etica comune, ed è appunto la fede. Lì sono diventato veramente me stesso, lì sono diventato veramente autentico, perchè nessuno poteva fare la scelta al posto mio. Lì, in questa scelta assurda, sono diventato veramente Abramo. Sono rinato con una nuova paternità, con un nuovo figlio.
Lì, proprio sul Monte Moria, ho compreso che il Signore non vuole olocausti e sacrifici, ma vuole un cuore puro, che gli appartenga, vuole un amore grande, che faccia muovere le nostre scelte, che ci spinga verso mete sconosciute, che ci faccia sperare contro ogni speranza.
E sono sicuro che chiunque mette in pratica quelle parole di Luca, anche lui farà la stessa esperienza: rinascerà come figlio, come fratello, come padre, rinascerà nuovo, rinnovato, autentico...
Capirà che Dio non chiede sacrifici, ma chiede amore totale, e che proprio in questo amore totale ci fa ritrovare tutto ciò che per amore abbiamo abbandonato. Anzi il centuplo, anzi, in quantità incommensurabili.... Conta le stelle, se riesci, conta i granelli di sabbia se riesci... Tali saranno i doni che io ti farò!
Ecco, io sono stato solo con questi miei dubbi: li ho dovuti presentare infinite volte al Signore perchè mi aiutasse a comprendere cosa mi capitava.
Sono vissuto come forestiero la gran parte della mia vita. Alla fine della mia vita non avevo che un pezzo di terra per la mia tomba e quella di mia moglie... altro che grandi terre. E non avevo che un figlio, ormai, Isacco... altro che polvere della terra e stelle del cielo...
Eppure ho continuato a sperare.
E ora posso vedere che tante cose sono cambiate, Dio solo lo sa. Non mi troverei più nel vostro mondo. Eppure la fedeltà di Dio non è cambiata. Lui è rimasto fedele a me e rimarrà fedele anche a te, stanne pur certo.

Augurandoti ogni bene per il tuo futuro, ti saluta il tuo vecchio patriarca
Abramo

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