ABRAMO
DA UR DEI CALDEI
(Gn
12; 22)
Carissimo.
Ho
saputo che presto sarai ordinato diacono, e questa notizia mi ha
riempito di gioia, perchè mi ha ricordato i miei inizi, quando uscii
dalla casa di mio padre, dalla mia parentela per andare verso una
terra che non conoscevo.
Sai,
io sono una persona concreta, sono un pastore, sono abituato a
contare ogni sera le mie pecore e i miei cammelli per verificare che
non ne manchi neanche uno. Tutto deve tornare a casa mia. Siamo
benestanti, ma il patrimonio si conserva se si tiene sotto controllo,
appunto.
La
questione è proprio questa: che Dio invece mi ha promesso qualcosa
fuori controllo!
Una
notte, mi ricordo ancora come fosse oggi, il Signore mi ha parlato,
mi ha fatto uscire fuori dalla mia tenda e mi ha chiesto di contare
le stelle... Ma come si fa a contare le stelle?
E
mi ha promesso che la mia discendenza sarebbe stata più numerosa
delle stelle, se io fossi riuscito a contarle.
Un’altra
volta, stavo insieme a Lot, mio nipote, e il Signore mi ha mostrato
tutta la valle del Giordano, una enorme distesa di terra. E mi ha
detto: «Se uno potrà contare la polvere della terra, potrà contare
anche i tuoi discendenti».
A
me che avevo una moglie sterile! Comprendi?
Allora
qui si tratta proprio di un’assurdità. Eppure qui sta il
paradosso: che se fosse davvero un’assurdità, io non l’avrei
fatta. Perché io – torno a dire – sono un uomo concreto.
Mi
sono fidato di queste voci che sentivo, di queste visioni che
vedevo... anche se non sempre capivo. Ci ho messo tanto tempo. Ed ero
già grande! Avrei dovuto avere senno.
Sai,
i miei mi hanno accusato di essere pazzo. Si stava così bene a casa
mia, avevo tutto. E invece io ho preferito seguire un’altra
strada.
Così
ho avuto un figlio da Agar, che era la schiava di mia moglie, ma Sara
non la sopportava, perché Agar la prendeva in giro, la umiliava per
la sua sterilità. E tanto fece che mi costrinse a cacciarla, insieme
a Ismaele. Qualche volta mi sono fatto condizionare da altre persone
che avevano una certa influenza su di me.
Sì,
non sono stato un santo, lo ammetto: avrei dovuto resistere. Così
come quando presentai Sara al faraone come mia sorella e non come mia
moglie: avevo paura che mi facesse fuori per prendersi la mia
bellissima signora. E così ho fatto certe cose soltanto per cavarmi
d’impiccio, non perchè fossero giuste.
Non
so, è come se convivesse in me un affidamento totale a un Dio che
neppure conoscevo tanto bene, nomade anche lui come me, e
contemporaneamente però una fifa blu quando si trattava di prendere
decisioni.
C’è
stata però un’occasione nella quale la mia paura e il mio coraggio
sono andati avanti insieme, e questo è stato la mia salvezza. È
stato quando è nato Isacco, il mio figlio tanto desiderato, colui
che ha rallegrato la mia vecchiaia e che ho amato infinitamente.
A
un certo punto, questo Dio che mi aveva promesso una discendenza
senza numero mi ha chiesto di sacrificarlo.
Lì
mi è crollato il mondo addosso. Perché Dio mi chiedeva una cosa
simile?
Mi
chiedeva di odiare colui che amavo. Perché uccidere è odiare. Mi
ricordavo bene di Caino e Abele, mio padre Terach ci raccontava
sempre la storia... sai, noi siamo pastori, siamo abituati a
risolvere le cose con il coltello. Ma io, grazie a Dio, poiché
disponevo di molti soldi e sono sempre stato una persona pacifica, ho
preferito spendere qualcosina in più per aggiustare le cose, quando
qualcuno si appropriava di pozzi che non erano i suoi, o di pascoli
che non erano i suoi. Pensa che a Lot dissi tranquillamente, pur di
non litigare, che si scegliesse la terra che più gli piaceva. Io
sarei andato dalla parte opposta. Io sono fatto così: non mi piace
litigare, non mi piace odiare.
Beh,
insomma... a un certo punto Dio mi fa: «Prendi il tuo unico figlio
che ami, vai sul monte e offrilo in olocausto».
Non
so se mi spiego: il mio unico figlio (Agar se n’era già andata con
Ismaele)... offrirlo in sacrificio?
Lì
ho capito che si può offrire in sacrificio solo ciò che si ama. Si
può sacrificare non ciò che non conta niente nella vita, ma ciò
che conta tutto, come un figlio, come la libertà, come i genitori.
Ravenna, San Vitale - Mosaico del presbiterio |
Quella
promessa assurda di Dio la riassumerei proprio così: prometti tutto,
ma questo tutto
te lo devo restituire.
I
vostri evangelisti scrivono che Gesù ha detto una volta queste
parole: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo
padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino
la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc
14,26).
Sì,
lo so che per timore che suonasse troppo forte, questa parola è
stata addolcita da chi vi ha tradotto la Bibbia. Ma io non fatico a
pensare che Gesù abbia usato davvero il verbo “odiare”, perchè
è stata anche la mia esperienza.
Io
non potrei capire questa parola se non avessi sperimentato sulla mia
pelle cosa significa. Come si fa infatti a odiare coloro che sono
parte del nostro cuore, che rappresentano le nostre radici, le nostre
aspirazioni, tutti i sentimenti di bene che può avere un uomo?
Come
Dio può pretendere, chiedendoci di seguirlo per una strada che non
conosciamo (e già questo dovrebbe bastargli), che addirittura odiamo
coloro che ci sono cari?
L’ho
capito salendo sul Moria con Isacco. Se Dio pretendesse da noi un
amore tiepido, un amore da dividere in mille rivoli, un amore che non
fosse esclusivo e assoluto... se non fosse così, che amore sarebbe?
Ma
allo stesso tempo ci ha dato questi affetti, a che pro?
Ecco,
mi pare di poter dire così: in realtà è proprio perchè io amo
pazzamente questi miei cari che sono disponibile anche a
sacrificarli. Quello che tutti chiamano odiare e ritengono una
pazzia, come appunto in questa richiesta di Gesù, in realtà è un
amore più grande, o meglio è un amore che non smette mai di amare.
Se io avessi odiato Isacco, Dio non mi avrebbe chiesto di offrirlo in
sacrificio... io ho potuto salire il monte Moria con Isacco perchè
lo amavo infinitamente, e ancor più adesso. Ecco perchè Dio me lo
stava chiedendo.
Nessuno
può capirmi, se non chi ha fatto la mia stessa esperienza, e spero
che anche tu la faccia. C’è qualcosa che supera il buonsenso
comune, che supera persino una certa etica comune, ed è appunto la
fede. Lì sono diventato veramente me stesso, lì sono diventato
veramente autentico, perchè nessuno poteva fare la scelta al posto
mio. Lì, in questa scelta assurda, sono diventato veramente Abramo.
Sono rinato con una nuova paternità, con un nuovo figlio.
Lì,
proprio sul Monte Moria, ho compreso che il Signore non vuole
olocausti e sacrifici, ma vuole un cuore puro, che gli appartenga,
vuole un amore grande, che faccia muovere le nostre scelte, che ci
spinga verso mete sconosciute, che ci faccia sperare contro ogni
speranza.
E
sono sicuro che chiunque mette in pratica quelle parole di Luca,
anche lui farà la stessa esperienza: rinascerà come figlio, come
fratello, come padre, rinascerà nuovo, rinnovato, autentico...
Capirà
che Dio non chiede sacrifici, ma chiede amore totale, e che proprio
in questo amore totale ci fa ritrovare tutto ciò che per amore
abbiamo abbandonato. Anzi il centuplo, anzi, in quantità
incommensurabili.... Conta le stelle, se riesci, conta i granelli di
sabbia se riesci... Tali saranno i doni che io ti farò!
Ecco,
io sono stato solo con questi miei dubbi: li ho dovuti presentare
infinite volte al Signore perchè mi aiutasse a comprendere cosa mi
capitava.
Sono
vissuto come forestiero la gran parte della mia vita. Alla fine della
mia vita non avevo che un pezzo di terra per la mia tomba e quella di
mia moglie... altro che grandi terre. E non avevo che un figlio,
ormai, Isacco... altro che polvere della terra e stelle del cielo...
Eppure
ho continuato a sperare.
E
ora posso vedere che tante cose sono cambiate, Dio solo lo sa. Non mi
troverei più nel vostro mondo. Eppure la fedeltà di Dio non è
cambiata. Lui è rimasto fedele a me e rimarrà fedele anche a te,
stanne pur certo.
Augurandoti
ogni bene per il tuo futuro, ti saluta il tuo vecchio patriarca
Abramo
Nessun commento:
Posta un commento