sabato 28 ottobre 2017

Lettera a un futuro diacono da Pietro di Betsaida

PIETRO DI BETSAIDA DI GALILEA
(Mt 4,18-22; Mt 16,13-23, Lc 22,61, Gv 21,1-19)

Roma- Santissima Trinità dei Monti
         Carissimo.
Ci sono delle cose che si imprimono nella mia memoria come se fossero scolpite. Cose che rivivo quotidianamente in simultanea: sono quelle che io chiamo “le mie vocazioni”. Tenterò di spiegarmi.
Forse tu sai che io lavoravo con Andrea mio fratello, e con i miei soci, Giovanni e Giacomo. Un’impresa faticosa e onesta, siamo pescatori. Mi è sempre piaciuto il mio lavoro, sai? Un po’ anfibio, metà a terra metà in mare, senza mai schierarmi definitivamente.
Perché in fondo è rassicurante sapere che la tua vita sta tutta dentro un lago, che le persone che incontri ruotano tutte attorno al lago, che i pesci che peschi stanno tutti lì, e che escluso il pellegrinaggio annuale che facevamo a Gerusalemme, la nostra vita iniziava e finiva a Cafarnao. Tutto questo era per me molto confortante: mio fratello, mia moglie, i miei figli, i soci, la barca, il mercato...
Poi un giorno Gesù passò sulla spiaggia del nostro mare (lo chiamavamo così perché ci sembrava grande, enorme, ma in realtà tutto sembra grande quando si hanno pochi termini di paragone) e chiamò me e mio fratello a seguirlo. Ci promise che saremmo diventati pescatori di uomini. Chissà cosa voleva dire! Però fu di un fascino tale, che mio fratello e io mollammo le reti, e andammo dietro al Maestro di Nazaret. E mai avrei pensato di finire la mia vita a Roma, io che ero vissuto fino a quel momento sul lago.
Furono anni bellissimi dopo questa chiamata. Un giorno, stavamo alle sorgenti del Giordano, un luogo incantevole. E Gesù ci chiese cosa pensavamo di lui...
Io che lo avevo visto agire e parlare come mai nessun uomo aveva fatto, ne ero sicuro: «Tu sei l’Unto, il figlio del Dio Vivente!». Non so da dove mi vennero esattamente queste parole: le credevo, anche se forse non avrei mai potuto dirle così bene. Ma la cosa più strabiliante fu la sua risposta: egli mi disse che io sarei diventato una pietra di fondazione per la sua comunità, e che le potenze del male non l’avrebbero potuta abbattere.
Capisci? Io ero un pescatore, mica un architetto! Men che mai un muratore! La mia barca veniva sballottata dai venti e dalle correnti del lago. Se pioveva troppo non si pescava, se non cresceva la luna non si pescava... ero soggetto a continui mutamenti anche nel mio umore.
Ora lui mi dice che sarei diventato pietra... che su di me anche altri avrebbero costruito.
E non finisce qui, perché subito dopo mi disse anche che mi avrebbe dato le chiavi del regno dei cieli...
Che responsabilità, aprire quella porta ai fratelli! Ma allora mi sembravano tutte parole esagerate e incomprensibili, tanto che Gesù stesso ci ordinò di tacere questi nostri dialoghi. E cominciò a dire che sarebbe stato accusato a Gerusalemme, che lo avrebbero fatto soffrire, che lo avrebbero ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato.
Non ci vidi più, lo presi da parte e cominciai a rimproverarlo: «Come ti permetti? Dove andiamo noi senza di te!? Tu solo hai parole di vita eterna. Come faccio a costruire una comunità se tu vieni ucciso!?». D’altra parte ero ben più grande di lui, e poi lui non aveva mai parlato così. Stavamo bene in quel posto, chiacchieravamo come amici, possibile che dovesse pensare a queste cose?
Non mi aspettavo la sua reazione: fu di una forza e di una durezza straordinarie. Mi disse: «Tu mi farai cadere, sei mio nemico! Vai dietro a me!».
Io ero furente, e anche imbarazzato: Gesù non chiamava nemici neppure i farisei. Mi aveva chiamato satana. Possibile che avessi detto una cosa così sbagliata? Io gli volevo bene, non volevo che morisse.
Non mi rendevo pienamente conto che ancora una volta mi chiamava a seguirlo.
Prima pescatore di uomini, poi pietra di costruzione, poi clavigero del paradiso, ma sempre e soltanto discepolo.
Georges de la Tour - Tradimento di Pietro
Così arrivammo a quella notte, quella notte in cui capii cosa significavano quei discorsi, e in cui lo tradii davanti a una serva, e giurai e spergiurai di non conoscerlo.
Allora successe una cosa strana, mentre ero nel cortile di Caifa a Gerusalemme: io spiavo da lontano i movimenti delle guardie del sommo sacerdote. Una piccola folla si era radunata lì: tre volte mi chiesero se lo conoscessi e mi intimarono di dire la verità, e tre volte io negai. Avevo paura. Dio mio! Come sono caduto in basso. Aveva ragione lui, ero suo nemico. Avevo tradito il mio Maestro, il mio amico, colui dal quale avevo ricevuto solo del bene, che mi aveva dato una dignità che mai nessuno mi aveva dato.
A quel punto, era quasi l’alba, i galli cominciarono a cantare in tutta Gerusalemme. E Gesù, che era legato e veniva interrogato davanti alla porta, si voltò come per cercare qualcuno. E quando incrociò il mio sguardo mi fece un sorriso. Conoscevo quello sguardo e quel sorriso: quante volte nei nostri discorsi, quando dicevo qualche sciocchezza, lui mi guardava così. Erano occhi che non avevano bisogno di parole: dicevano la sua comprensione per me, la sua pazienza, la sua amicizia. Non parlava, non mi giudicava, non mi rimproverava. Mi guardava. E io non capivo esattamente cosa producesse quello sguardo in me, ma sentivo di essere compreso da lui in quel momento, di essere abbracciato, di essere amato così come ero, anche con le mie debolezze.
Ma quella notte quello sguardo finalmente fece sgorgare da me un pianto dirotto. Non potevo trattenere le lacrime e i singhiozzi. Uscii fuori e piansi per ore, finché non si fece giorno.
Georges de la Tour - Il pentimento di Pietro
Avevo capito che quell’annuncio della sua passione si stava ora realizzando, e che io non solo non ero stato capace di difenderlo, ma addirittura lo avevo tradito e rinnegato.
Ebbene, non ti narrerò dello schianto provato al vederlo crocifisso, da lontano ovviamente, né ti dirò di cosa ho provato al vedere la tomba vuota, quali pensieri, quali sentimenti...
Arriviamo al dunque: dopo che le donne vennero a dirci di averlo visto vivo, egli apparve anche a noi.
Eravamo tornati a pescare, là dove tutto era iniziato, proprio sul mare di Tiberiade. Eravamo tornati a pescare perchè in fondo, anche se lo avevamo visto, noi senza di lui pensavamo di non poter fare nulla. Non potevamo più stare chiusi a Gerusalemme, la testa ribolliva, le mani si dimenavano, dovevamo pur fare qualcosa!
Tuttavia quella notte non pescammo nulla.
All’alba notammo un uomo sulla riva, il quale ci chiese se avessimo del pesce e, accidenti, non avevamo nulla da vendere! Ma quell’uomo insisteva: Gettate la rete a destra e pescherete!
Non ci crederai, ma quella mattina tirammo su una quantità di pesci mai vista in tutta la nostra vita. Giovanni si accorse subito che era Gesù, io mi gettai in mare, e tutti corremmo a riva.
Lui ci aveva preparato del pesce arrostito e del pane, e mangiammo tutti in allegria.
A fine pasto si rivolse a me chiamandomi Simone, il mio vecchio nome, e mi chiese se gli volessi bene più degli altri. Oh Dio, speravo che non sarebbe più tornato sull’argomento. Arrossii come un bambino: Certo Signore, tu lo sai, no?
Per tre volte me lo chiese... non ce la facevo più. Alla terza volta gli dissi: Ma Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene!
Finalmente il suo sguardo ritornò quello di sempre, mi comandò di pascere il suo gregge, mi disse che sarei diventato vecchio, che mi avrebbero condotto dove non volevo. Ma stavolta ero pronto: ormai potevo fare qualunque cosa per lui.
Alla fine mi disse di nuovo, come la prima volta: «Seguimi!».
Ecco, queste sono le mie tre chiamate: all’inizio, quando con entusiasmo divenni discepolo; a metà del percorso, quando volevo diventare maestro del mio Maestro, e invece dovevo ritornare dietro, come un discepolo; e alla fine quando, pur comandandomi di guidare il suo gregge, mi disse che dovevo rimanere sempre discepolo.
Ti dicevo che questi avvenimenti della mia vita li vivo sempre in simultanea, e non come se fossero degli episodi passati: perché sempre, anche ora che sono vecchio e minacciano di uccidermi da un giorno all’altro, ho l’entusiasmo di quel primo giorno sulle rive del mare di Tiberiade, quando cominciai a seguire Gesù e lui mi chiamò a diventare suo amico.
Ma sempre anche mi ribolle il sangue quando talvolta il Vangelo non mi piace, quando faccio fatica a capire il perchè della croce, e allora mi ribello... e sento Gesù che mi dice: Vai dietro a me, Nemico!
E ancora sovente mi ritrovo a dire: Non ti conosco. E incrocio di nuovo il suo sguardo, e piango, piango, piango... ed egli mi si avvicina e mi chiede soltanto se lo amo... Dio se lo amo! Ma sono anche così fragile. E lui che fa?
Mi chiama di nuovo a pascere le sue pecore...
Ecco, la mia vita ruota continuamente in questo vortice mai risolto: sento di essere una frana, un peccatore, eppure sono sempre perdonato, e rimesso in piedi. Lui si fida di me.
Cosa potrei desiderare di più?

Ti saluto con affetto,
Pietro,
il pescatore di uomini, la roccia, il clavigero,
ma sempre e comunque discepolo

Nessun commento:

Posta un commento