mercoledì 21 marzo 2018

Meditazione quaresimale (Vangelo di Marco 14, 1-31)


Lectio Adorazione quaresimale con gli operatori pastorali dell’Unità Pastorale
Villacidro – 20 marzo 2018

Dal vangelo secondo Marco (14,1-31)


1. Che senso ha tutto questo?
14 1Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. 2Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».

Mancano pochi giorni alla festa di Pasqua, festa della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, ma anche attesa del Messia, del liberatore ultimo e definitivo. E i capi hanno anch’essi qualcuno di cui liberarsi, qualcuno da catturare di nascosto, perché la gente si fida di lui, lo segue, lo osanna. Essi pensano di essere più liberi, liberandosi di lui, di far rispettare la Legge, di glorificare il nome di Dio. Pensano che questo maestro in fondo sia soltanto un bugiardo, un impostore.
La festa degli Azzimi, del pane non lievitato, del pane cotto in fretta, perché in fretta bisognava partire dall’Egitto, il giorno in cui si eliminava dalla casa il lievito, diventa il giorno in cui il lievito del male aumenta a dismisura fino a raggiungere proporzioni catastrofiche, fino a toccare la misura stessa di Dio. Il lievito del male cresce e sembra che nulla possa arginarlo, meno che mai un Maestro che a breve si farà consegnare, tradire, arrestare e crocifiggere.
La domanda che il Vangelo di Marco si pone, raccontandoci la passione, è dunque: che senso ha una vicenda così assurda?
Che senso hanno le nostre vicende così assurde, le vicende del mondo, della storia, così maledettamente feroci, così disgraziatamente lievitate da aver preso anche lo spazio della buona pasta?
Che senso dobbiamo aspettarci dal male?
Mettiamo questa domanda davanti a questo Pane azzimo, la presenza di Gesù Cristo in mezzo a noi, perché Egli ristabilisca la giusta proporzione, e ci aiuti a percepire la sua silenziosa vittoria sul lievito del male.

2. Ha fatto qualcosa di buono per me
3Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. 4Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? 5Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
6Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. 7I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. 8Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».

Ci sono sempre delle donne attorno a Gesù. Fateci caso: nessuna donna nei Vangeli è dipinta a tinte fosche, nessuna che faccia qualcosa di equivoco, che da Gesù non sia ricondotto a un pensiero più grande, nessuna che si comporti male nei suoi confronti... A differenza dei giornali scandalistici, i Vangeli ci riportano azioni di maschi contro Gesù, sotterfugi, tradimenti, gelosie, accuse false... Non che le donne non ne siano capaci, ma è come se i Vangeli custodissero e alimentassero una visione positiva della donna che non ammette repliche. E non diciamo questo per far contente le donne, ma perchè questo è il dato delle Scritture.
Così questa donna che a Betania, in casa di un personaggio famoso, forse un fariseo, Simone il Lebbroso, unge il capo di Gesù con nardo profumatissimo, sarà ricordata per sempre come colei che “ha fatto qualcosa di buono” a Gesù, che ha compiuto un gesto di amore e di tenerezza nei suoi confronti.
All’epoca di Gesù le donne non erano ammesse ai banchetti se non per servire, e già qui la prima stranezza: questa donna si avvicina a Gesù da dietro, mentre tutti sono sdraiati per consumare il pasto, portando un vaso di alabastro pieno di profumo di nardo, costosissimo e glielo versa sui capelli. Ci ricorda la sposa del Cantico dei Cantici quando afferma: «Mentre il re è sul suo divano, il mio nardo effonde il suo profumo» (Ct 1,12).
Questa donna dunque agisce da amante, da persona che ama, da persona che vuol bene a Gesù.
Il suo gesto di confidente e intima tenerezza verso il maestro produce irritazione tra i convitati: una quantità così grande di nardo, corrispondente alla paga di un intero anno a un contadino, non poteva essere venduta per darne il ricavato ai poveri?
Si pensano sempre paladini dei poveri, coloro che non comprendono la delicatezza verso il Cristo.
Vorrebbero far sentire in colpa la donna, fremendo contro di lei e accusandola. Ma è Gesù che accusano in fondo, accusando lei: pensano di essere nel giusto perché hanno sempre in bocca i poveri.
Ma è facile fare l’elemosina coi soldi altrui: del loro però non rischiano nulla!
Permalosi perché superati in tenerezza da una donna, incapaci di provare sentimenti, pronti soltanto a sputare sentenze.
E Gesù con pazienza a dir loro che non c’è opposizione tra l’onore a lui tributato, anticipazione di una sepoltura fatta troppo in fretta e senza alcun unguento profumato, e il servizio ai poveri, che abbiamo sempre vicino.
Non esiste una Chiesa della liturgia e una Chiesa dei poveri: esiste una sola Chiesa, la Chiesa di coloro che sono ricchi soltanto di Gesù, e che lui solo adorano, lui solo annunciano, lui solo amano anche nella carne sofferente dei poveri.
L’Eucaristia è qui a farci memoria del mistero di una presenza che non si scorge a uno sguardo superficiale, davanti al quale in fondo quello è solo un pezzo di pane. Così come lo sguardo superficiale vede nei poveri soltanto delle persone da aiutare, e non il Signore da amare. Il povero è il sacramento di Cristo: non c’è distanza tra l’adorazione del suo corpo eucaristico e il servizio del suo corpo fisico nei poveri.
Ah, se davvero capissimo questo, eviteremmo tante inutili beghe, tanti inutili distinguo, tante sterili opposizioni tra vita attiva e vita contemplativa.
Allora comincia a svelarsi il senso di una storia così assurda: Gesù, profumato dalla donna, Gesù povero anche lui, bisognoso di una carezza amica, trova in questo gesto il senso del suo imminente destino di Messia abbandonato, crocifisso, sepolto in fretta e furia, senza neppure gli onori dovuti ai morti: «Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura».
Davanti all’Eucaristia sostiamo allora chiedendo perdono per tutte le volte che abbiamo contrapposto l’amore a Dio e l’amore ai poveri, per tutte le volte nelle quali ci siamo scandalizzati perché la tal persona offriva del suo meglio a Gesù, e ci siamo nascosti dietro il paravento dell’amore ai poveri per giustificare la nostra tiepidezza.

3. Giuda, il mistero del male
10Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. 11Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.

Irrompe così violento il male, davanti a un gesto di tenerezza femminile, di estrema devozione a Gesù.
Sempre così il male: nasce dalla visione del bene che viene considerato pericoloso, sovversivo, troppo limpido, troppo buono. Il male nasce dalla contemplazione del bene, a dirci che non basta essere presenti nella cerchia di Gesù, essere uno dei Dodici, contemplare la sua presenza in mezzo a noi, per garantirci che il male non abiti in noi.
Se non si accetta di condividere quel destino di morte e sepoltura, se non si accetta la logica del chicco di grano che se non cade in terra e muore non porta frutto, non si può capire neanche Gesù.
Giuda diventa il capo degli eterni delusi e scontenti, che ciclicamente “vendono Gesù”. La sua delusione non lo porta a trovare una strada per crescere e migliorare, a raddrizzare nuovamente la strada verso il Regno, ma ad abbandonarla.
Qui la logica del mondo, cinica e desiderosa di far fuori Dio, rappresentata dai capi, si incontra tristemente con la logica ferita del Regno, di chi non vuole accettare un Regno non influente alla maniera mondana, rappresentata da Giuda. E tristemente queste due logiche si incontrano in un accordo economico, perché quando spariscono gli ideali entrano in gioco sempre i denari, entra in gioco l’utilitarismo e la domanda non è più: «Questa azione è giusta o è sbagliata?», ma piuttosto, «Questa azione mi torna utile oppure no?».
È la logica di un’umanità al ribasso, dove tutto diventa utile possibile, guadagno possibile, fruizione istantanea.
E i delusi sono sempre in agguato, perché spesso diventano animali feroci. In fondo lo vediamo anche nella storia della Chiesa di oggi: i delusi contro papa Benedetto, i delusi contro papa Francesco... dividere la Chiesa in tifoserie: io sono a favore, io sono contro... io sono a favore di quel prete, io sono contro... qui non si tratta del giusto diritto di critica che ciascuno ha e deve esercitare, ma di una logica di base che è fuori, chiunque sia a propugnarla, perché pensa che servire sia in realtà comandare.
Bartolomeo Schedoni - Ultima Cena (Pinacoteca di Parma)

4. Il maestro dice: Dov’è la mia stanza?
12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. 14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

E così quella sera Gesù volle fare pasqua con i suoi discepoli, volle celebrare la cena più importante dell’anno con coloro che erano diventati la sua famiglia.
Ancora il Signore manda i suoi discepoli davanti a noi, e ci chiede di preparargli una bella sala, al piano di sopra, con divani e cuscini, ben arredata e confortevole, per fare pasqua con noi.
Il Maestro dice: «Dov’è la mia stanza perché io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?».
A noi che siamo saturi di impegni, di incontri, di riunioni, di attenzioni, il Signore chiede di preparare una stanza per lui, accogliente e ben disposta, silenziosa. Preparare una stanza interiore alla presenza di Dio in noi.
Mi tornano sempre alla mente le parole di Etty Hillesum, che morì in un campo di concentramento nazista:
L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi e anche l’unica che veramente conti è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati di altri uomini. Sì mio Dio sembra che Tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la Tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore cresce la mia certezza: Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare Te, difendere fino all'ultimo la Tua casa in noi.
Esistono persone che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento, invece di salvare te, mio Dio. E altre persone che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: non prenderanno proprio me. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle Tue braccia.

5. Uno di voi mi tradirà
17Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. 18Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». 19Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». 20Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. 21Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».
22E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. 25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

I Dodici sono i testimoni di questa cena. Noi non abbiamo avuto questa possibilità, non vediamo Gesù risorto, ma conosciamo i fatti e gli effetti della risurrezione, effetti comprensibili e visibili però soltanto a chi crede. Altrimenti resta un bell’evento del passato, una ultima e definitiva cena dove Gesù ha comunicato un ricordo di sé e tutto finisce lì.
Raccontandoci l’ultima cena invece, Marco e tutti gli evangelisti, hanno voluto consegnarci il senso più profondo della nostra fede e della Chiesa: la Chiesa non è la comunità dei perfetti, dove tutti sono in gamba, bravi, buoni e belli.
È «Uno di voi», «Uno dei Dodici» (l’unica volta che Marco utilizza questa definizione per parlare di un apostolo, la usa per Giuda! Che grande mistero!) a consegnare Gesù ai suoi assassini.
Ritorna prepotente la presenza del male attraverso «colui che mangia con me, che intinge il suo pane nel mio stesso piatto»: mistero del male, mysterium iniquitatis.
Il male è compiuto da chi sta vicino a Gesù, da chi gli sta più vicino. Quante volte abbiamo accusato chi sta fuori di fare il male, di allontanarsi da Dio... Il Vangelo ci invita a guardare dentro il Cenacolo, non per cercare colpevoli, ma per trovare senso al male. Che senso ha tutto questo?
In questa scena Marco ci dice che se anche il male allontana da Dio, Dio non si allontana dal malvagio, anzi, accetta che egli stia a tavola con lui!
Per Gesù non c’è nessuno di veramente perduto: tutti sono figli e fratelli invitati al banchetto preparato; c’è spazio per tutti. Se te ne vai, qualunque sia la giustificazione che ti dai per ammantarla di buoni sentimenti, te ne vai sempre coi tuoi piedi.
Comprendere questo atto di totale fiducia nell’uomo che Gesù compie nell’Ultima Cena, intingendo allo stesso piatto del suo traditore, intingendo nel piatto insieme a coloro che lo abbandoneranno quella stessa notte, lavando loro i piedi come vedremo Giovedì Santo! Questo significa entrare nell’Eucaristia!
Questa è l’Eucaristia: il suo corpo donato e il suo sangue versato per la moltitudine, cioè per tutti. Perché nel cuore di Gesù non ci sono distinzioni.
Entrare in quella stanza, farlo entrare nella nostra stanza interiore preparata per lui, senza questa disposizione massima di apertura, significa tradire il senso dell’Eucaristia.
Altri possono avercela con me, altri possono accusarmi e tradirmi, ma io, per parte mia non voglio avercela con nessuno, non voglio accusare nessuno, non voglio tradire nessuno.

6. Anche se tutti, io no!
26Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 27Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto:
Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.
28Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». 29Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». 30Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». 31Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.
Bartolomeo Schedoni - Tradimento di Pietro (Pinacoteca di Parma)

Quante volte abbiamo detto le stesse parole di Pietro. Quante volte ci è facile accusare il Giuda che vediamo fuori, e non ci accorgiamo del Pietro che ci abita!
Nella sua sapienza il Vangelo ci mette in guardia dalla presunzione di essere migliori. Anche se tutti cadranno, io no! Il male sono sempre gli altri, a farlo.
Io no, Signore. Io sono tuo fedele discepolo, sono disposto a morire con te pur di non rinnegarti. Povero Pietro, e poveri tutti gli altri.
Fino alla fine, sulla strada che li porta al Getsemani, Gesù li terrà in guardia sui loro sentimenti, sulle loro paure irrazionali, sulle loro fughe.
A volte prendiamo il Vangelo come un ricettario in cui cercare un modo di comportarci, e i comandamenti come la formula della serenità.
Ma dimentichiamo facilmente che anzitutto il Vangelo ci racconta di una strada fatta di inciampi, di cadute, di rinnegamenti, di allontanamenti. Cioè ci racconta la nostra vita, dicendo che quegli inciampi, quelle cadute, quegli allontanamenti Lui li ha messi in conto, e ci ama così, strafottenti, boriosi, presuntuosi.
Sempre dirò che dopo la sua risurrezione Gesù non si è rivolto ad altri discepoli, non ha cercato altri e buttato fuori questi dal cenacolo... è andato a trovarli proprio in quella stanza dove tutto era gioia, seppure mescolata a un presentimento, a una tristezza incombente.
È andato a trovarli lì, per mostrar loro le sue ferite, per dire loro «Pace a voi!».
Ancora sta in mezzo a noi, non si allontana disgustato da noi, ci accoglie, ci conosce. Vuole ancora fare pasqua con noi.
Solo ci chiede di stare con lui, e di imparare a vivere da persone eucaristiche, capaci cioè di diventare un dono per gli altri, una benedizione, di essere pane spezzato e vino versato sul mondo, su tutti e per tutti, perchè l’Eucaristia trasformi ogni relazione, ogni gesto, ogni persona, persino le pietre e gli alberi, perché anche da noi, povere creature, salga l’inno di benedizione e di lode:

10«Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo,
perché è stato precipitato
l’accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusava davanti al nostro Dio
giorno e notte.
11Ma essi lo hanno vinto
grazie al sangue dell’Agnello
e alla parola della loro testimonianza,
e non hanno amato la loro vita
fino a morire.
12Esultate, dunque, o cieli
e voi che abitate in essi!».
Amen.
(Ap 12, 10-12)


Renato Zero - Ti andrebbe di cambiare il mondo?


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