Lectio
Adorazione quaresimale con gli operatori pastorali dell’Unità
Pastorale
Villacidro
– 20 marzo 2018
Dal
vangelo secondo Marco
(14,1-31)
1.
Che senso ha tutto questo?
14
1Mancavano
due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli
scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo
morire. 2Dicevano
infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del
popolo».
Mancano
pochi giorni alla festa di Pasqua, festa della liberazione dalla
schiavitù d’Egitto, ma anche attesa del Messia, del liberatore
ultimo e definitivo. E i capi hanno anch’essi qualcuno di cui
liberarsi, qualcuno da catturare di nascosto, perché la gente si
fida di lui, lo segue, lo osanna. Essi pensano di essere più liberi,
liberandosi di lui, di far rispettare la Legge, di glorificare il
nome di Dio. Pensano che questo maestro in fondo sia soltanto un
bugiardo, un impostore.
La
festa degli Azzimi, del pane non lievitato, del pane cotto in fretta,
perché in fretta bisognava partire dall’Egitto, il giorno in cui
si eliminava dalla casa il lievito, diventa il giorno in cui il
lievito del male aumenta a dismisura fino a raggiungere proporzioni
catastrofiche, fino a toccare la misura stessa di Dio. Il lievito del
male cresce e sembra che nulla possa arginarlo, meno che mai un
Maestro che a breve si farà consegnare, tradire, arrestare e
crocifiggere.
La
domanda che il Vangelo di Marco si pone, raccontandoci la passione, è
dunque: che senso ha una vicenda così assurda?
Che
senso hanno le nostre vicende così assurde, le vicende del mondo,
della storia, così maledettamente feroci, così disgraziatamente
lievitate da aver preso anche lo spazio della buona pasta?
Che
senso dobbiamo aspettarci dal male?
Mettiamo
questa domanda davanti a questo Pane azzimo, la presenza di Gesù
Cristo in mezzo a noi, perché Egli ristabilisca la giusta
proporzione, e ci aiuti a percepire la sua silenziosa vittoria sul
lievito del male.
2. Ha fatto qualcosa di
buono per me
3Gesù
si trovava a Betània,
nella casa di Simone
il lebbroso.
Mentre era a tavola, giunse
una donna
che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di
grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo
sul suo capo. 4Ci
furono alcuni,
fra loro,
che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? 5Si
poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed
erano infuriati contro di lei.
6Allora
Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto
un’azione buona verso di me. 7I
poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene
quando volete, ma non sempre avete me. 8Ella
ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo
per la sepoltura. 9In
verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il
mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».
Ci
sono sempre delle donne attorno a Gesù. Fateci caso: nessuna donna
nei Vangeli è dipinta a tinte fosche, nessuna che faccia qualcosa di
equivoco, che da Gesù non sia ricondotto a un pensiero più grande,
nessuna che si comporti male nei suoi confronti... A differenza dei
giornali scandalistici, i Vangeli ci riportano azioni di maschi
contro Gesù, sotterfugi, tradimenti, gelosie, accuse false... Non
che le donne non ne siano capaci, ma è come se i Vangeli
custodissero e alimentassero una visione positiva della donna che non
ammette repliche. E non diciamo questo per far contente le donne, ma
perchè questo è il dato delle Scritture.
Così
questa donna che a Betania, in casa di un personaggio famoso, forse
un fariseo, Simone il Lebbroso, unge il capo di Gesù con nardo
profumatissimo, sarà ricordata per sempre come colei che “ha fatto
qualcosa di buono” a Gesù, che ha compiuto un gesto di amore e di
tenerezza nei suoi confronti.
All’epoca
di Gesù le donne non erano ammesse ai banchetti se non per servire,
e già qui la prima stranezza: questa donna si avvicina a Gesù da
dietro, mentre tutti sono sdraiati per consumare il pasto, portando
un vaso di alabastro pieno di profumo di nardo, costosissimo e glielo
versa sui capelli. Ci ricorda la sposa del Cantico dei Cantici quando
afferma: «Mentre
il re è sul suo divano, il mio nardo effonde il suo profumo»
(Ct 1,12).
Questa
donna dunque agisce da amante, da persona che ama, da persona che
vuol bene a Gesù.
Il
suo gesto di confidente e intima tenerezza verso il maestro produce
irritazione tra i convitati: una quantità così grande di nardo,
corrispondente alla paga di un intero anno a un contadino, non poteva
essere venduta per darne il ricavato ai poveri?
Si
pensano sempre paladini dei poveri, coloro che non comprendono la
delicatezza verso il Cristo.
Vorrebbero
far sentire in colpa la donna, fremendo contro di lei e accusandola.
Ma è Gesù che accusano in fondo, accusando lei: pensano di essere
nel giusto perché hanno sempre in bocca i poveri.
Ma
è facile fare l’elemosina coi soldi altrui: del loro però non
rischiano nulla!
Permalosi
perché superati in tenerezza da una donna, incapaci di provare
sentimenti, pronti soltanto a sputare sentenze.
E
Gesù con pazienza a dir loro che non c’è opposizione tra l’onore
a lui tributato, anticipazione di una sepoltura fatta troppo in
fretta e senza alcun unguento profumato, e il servizio ai poveri, che
abbiamo sempre vicino.
Non
esiste una Chiesa della liturgia e una Chiesa dei poveri: esiste una
sola Chiesa, la Chiesa di coloro che sono ricchi soltanto di Gesù, e
che lui solo adorano, lui solo annunciano, lui solo amano anche nella
carne sofferente dei poveri.
L’Eucaristia
è qui a farci memoria del mistero di una presenza che non si scorge
a uno sguardo superficiale, davanti al quale in fondo quello è solo
un pezzo di pane. Così come lo sguardo superficiale vede nei poveri
soltanto delle persone da aiutare, e non il Signore da amare. Il
povero è il sacramento di Cristo: non c’è distanza tra
l’adorazione del suo corpo eucaristico e il servizio del suo corpo
fisico nei poveri.
Ah,
se davvero capissimo questo, eviteremmo tante inutili beghe, tanti
inutili distinguo, tante sterili opposizioni tra vita attiva e vita
contemplativa.
Allora
comincia a svelarsi il senso di una storia così assurda: Gesù,
profumato dalla donna, Gesù povero anche lui, bisognoso di una
carezza amica, trova in questo gesto il senso del suo imminente
destino di Messia abbandonato, crocifisso, sepolto in fretta e furia,
senza neppure gli onori dovuti ai morti: «Ella ha fatto ciò che era
in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura».
Davanti
all’Eucaristia sostiamo allora chiedendo perdono per tutte le volte
che abbiamo contrapposto l’amore a Dio e l’amore ai poveri, per
tutte le volte nelle quali ci siamo scandalizzati perché la tal
persona offriva del suo meglio a Gesù, e ci siamo nascosti dietro il
paravento dell’amore ai poveri per giustificare la nostra
tiepidezza.
3. Giuda, il mistero del
male
10Allora
Giuda
Iscariota,
uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro
Gesù. 11Quelli,
all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed
egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
Irrompe
così violento il male, davanti a un gesto di tenerezza femminile, di
estrema devozione a Gesù.
Sempre
così il male: nasce dalla visione del bene che viene considerato
pericoloso, sovversivo, troppo limpido, troppo buono. Il male nasce
dalla contemplazione del bene, a dirci che non basta essere presenti
nella cerchia di Gesù, essere uno dei Dodici, contemplare la sua
presenza in mezzo a noi, per garantirci che il male non abiti in noi.
Se
non si accetta di condividere quel destino di morte e sepoltura, se
non si accetta la logica del chicco di grano che se non cade in terra
e muore non porta frutto, non si può capire neanche Gesù.
Giuda
diventa il capo degli eterni delusi e scontenti, che ciclicamente
“vendono Gesù”. La sua delusione non lo porta a trovare una
strada per crescere e migliorare, a raddrizzare nuovamente la strada
verso il Regno, ma ad abbandonarla.
Qui
la logica del mondo, cinica e desiderosa di far fuori Dio,
rappresentata dai capi, si incontra tristemente con la logica ferita
del Regno, di chi non vuole accettare un Regno non influente alla
maniera mondana, rappresentata da Giuda. E tristemente queste due
logiche si incontrano in un accordo economico, perché quando
spariscono gli ideali entrano in gioco sempre i denari, entra in
gioco l’utilitarismo e la domanda non è più: «Questa
azione è giusta o è sbagliata?», ma piuttosto, «Questa azione mi
torna utile oppure no?».
È
la logica di un’umanità al ribasso, dove tutto diventa utile
possibile, guadagno possibile, fruizione istantanea.
E
i delusi sono sempre in agguato, perché spesso diventano animali
feroci. In fondo lo vediamo anche nella storia della Chiesa di oggi:
i delusi contro papa Benedetto, i delusi contro papa Francesco...
dividere la
Chiesa
in tifoserie: io sono a favore, io sono contro... io sono a favore di
quel prete, io sono contro... qui non si tratta del giusto diritto di
critica che ciascuno ha e deve esercitare, ma di una logica di base
che è fuori, chiunque sia a propugnarla, perché pensa che servire
sia in realtà comandare.
![]() |
Bartolomeo Schedoni - Ultima Cena (Pinacoteca di Parma) |
4. Il maestro dice: Dov’è la mia stanza?
12Il
primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i
suoi discepoli
gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa
mangiare la Pasqua?». 13Allora
mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi
verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. 14Là
dove entrerà, dite
al padrone di casa:
“Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare
la Pasqua con i miei discepoli?”. 15Egli
vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già
pronta; lì preparate la cena per noi». 16I
discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto
loro e prepararono la Pasqua.
E
così quella sera Gesù volle fare pasqua con i suoi discepoli, volle
celebrare la cena più importante dell’anno con coloro che erano
diventati la sua famiglia.
Ancora
il Signore manda i suoi discepoli davanti a noi, e ci chiede di
preparargli una bella sala, al piano di sopra, con divani e cuscini,
ben arredata e confortevole, per fare pasqua con noi.
Il
Maestro dice: «Dov’è la mia stanza perché io possa mangiare la
Pasqua con i miei discepoli?».
A
noi che siamo saturi di impegni, di incontri, di riunioni, di
attenzioni, il Signore chiede di preparare una stanza per lui,
accogliente e ben disposta, silenziosa. Preparare una stanza
interiore alla presenza di Dio in noi.
Mi
tornano sempre alla mente le parole di Etty Hillesum, che morì in un
campo di concentramento nazista:
L’unica cosa che
possiamo salvare di questi tempi e anche l’unica che veramente
conti è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse
possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati di
altri uomini. Sì mio Dio sembra che Tu non possa far molto per
modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di
questa vita. Io non chiamo in causa la Tua responsabilità, più
tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito
del mio cuore cresce la mia certezza: Tu non puoi aiutarci, ma tocca
a noi aiutare Te, difendere fino all'ultimo la Tua casa in noi.
Esistono persone che
all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri,
forchette e cucchiai d'argento, invece di salvare te, mio Dio. E
altre persone che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di
innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il
proprio corpo. Dicono: non prenderanno proprio me. Dimenticano che
non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle Tue
braccia.
5. Uno di voi mi tradirà
17Venuta
la sera, egli arrivò con i
Dodici.
18Ora,
mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi
dico: uno
di voi,
colui che mangia con me, mi tradirà». 19Cominciarono
a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?».
20Egli
disse loro: «Uno
dei Dodici,
colui che mette con me la mano nel piatto. 21Il
Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a
quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio
per quell’uomo se non fosse mai nato!».
22E,
mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò
e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23Poi
prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E
disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato
per molti. 25In
verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino
al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
I
Dodici sono i testimoni di questa cena. Noi non abbiamo avuto questa
possibilità, non vediamo Gesù risorto, ma conosciamo i fatti e gli
effetti della risurrezione, effetti comprensibili e visibili però
soltanto a chi crede. Altrimenti resta un bell’evento del passato,
una ultima e definitiva cena dove Gesù ha comunicato un ricordo di
sé e tutto finisce lì.
Raccontandoci
l’ultima cena invece, Marco e tutti gli evangelisti, hanno voluto
consegnarci il senso più profondo della nostra fede e della Chiesa:
la Chiesa non è la comunità dei perfetti, dove tutti sono in gamba,
bravi, buoni e belli.
È
«Uno di voi», «Uno dei Dodici» (l’unica volta che Marco
utilizza questa definizione per parlare di un apostolo, la usa per
Giuda! Che grande mistero!) a consegnare Gesù ai suoi assassini.
Ritorna
prepotente la presenza del male attraverso «colui che mangia con me,
che intinge il suo pane nel mio stesso piatto»: mistero del male,
mysterium
iniquitatis.
Il
male è compiuto da chi sta vicino a Gesù, da chi gli sta più
vicino. Quante volte abbiamo accusato chi sta fuori di fare il male,
di allontanarsi da Dio... Il Vangelo ci invita a guardare dentro il
Cenacolo, non per cercare colpevoli, ma per trovare senso al male.
Che senso ha tutto questo?
In
questa scena Marco ci dice che se anche il male allontana da Dio, Dio
non si allontana dal malvagio, anzi, accetta che egli stia a tavola
con lui!
Per
Gesù non c’è nessuno di veramente perduto: tutti sono figli e
fratelli invitati al banchetto preparato; c’è spazio per tutti. Se
te ne vai, qualunque sia la giustificazione che ti dai per ammantarla
di buoni sentimenti, te ne vai sempre coi tuoi piedi.
Comprendere
questo atto di totale fiducia nell’uomo che Gesù compie
nell’Ultima Cena, intingendo allo stesso piatto del suo traditore,
intingendo nel piatto insieme a coloro che lo abbandoneranno quella
stessa notte, lavando loro i piedi come vedremo Giovedì Santo!
Questo significa entrare nell’Eucaristia!
Questa
è l’Eucaristia: il suo corpo donato e il suo sangue versato per la
moltitudine, cioè per tutti. Perché nel cuore di Gesù non ci sono
distinzioni.
Entrare
in quella stanza, farlo entrare nella nostra stanza interiore
preparata per lui, senza questa disposizione massima di apertura,
significa tradire il senso dell’Eucaristia.
Altri
possono avercela con me, altri possono accusarmi e tradirmi, ma io,
per parte mia non voglio avercela con nessuno, non voglio accusare
nessuno, non voglio tradire nessuno.
6. Anche se tutti, io no!
26Dopo
aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 27Gesù
disse loro: «Tutti
rimarrete scandalizzati, perché sta scritto:
Percuoterò
il pastore e le pecore saranno disperse.
28Ma,
dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».
29Pietro
gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». 30Gesù
gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte,
prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». 31Ma
egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con
te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti
gli altri.
![]() |
Bartolomeo Schedoni - Tradimento di Pietro (Pinacoteca di Parma) |
Quante
volte abbiamo detto le stesse parole di Pietro. Quante volte ci è
facile accusare il Giuda che vediamo fuori, e non ci accorgiamo del
Pietro che ci abita!
Nella
sua sapienza il Vangelo ci mette in guardia dalla presunzione di
essere migliori. Anche se tutti cadranno, io no! Il male sono sempre
gli
altri,
a farlo.
Io
no, Signore. Io sono tuo fedele discepolo, sono disposto a morire con
te pur di non rinnegarti. Povero Pietro, e poveri tutti gli altri.
Fino
alla fine, sulla strada che li porta al Getsemani, Gesù li terrà in
guardia sui loro sentimenti, sulle loro paure irrazionali, sulle loro
fughe.
A
volte prendiamo il Vangelo come un ricettario in cui cercare un modo
di comportarci, e i comandamenti come la formula della serenità.
Ma
dimentichiamo facilmente che anzitutto il Vangelo ci racconta di una
strada fatta di inciampi, di cadute, di rinnegamenti, di
allontanamenti. Cioè ci racconta la nostra vita, dicendo che quegli
inciampi, quelle cadute, quegli allontanamenti Lui li ha messi in
conto, e ci ama così, strafottenti, boriosi, presuntuosi.
Sempre
dirò che dopo la sua risurrezione Gesù non si è rivolto ad altri
discepoli, non ha cercato altri e buttato fuori questi dal
cenacolo... è andato a trovarli proprio in quella stanza dove tutto
era gioia, seppure mescolata a un presentimento, a una tristezza
incombente.
È
andato a trovarli lì, per mostrar loro le sue ferite, per dire loro
«Pace a voi!».
Ancora
sta in mezzo a noi, non si allontana disgustato da noi, ci accoglie,
ci conosce. Vuole ancora fare pasqua con noi.
Solo
ci chiede di stare con lui, e di imparare a vivere da persone
eucaristiche, capaci cioè di diventare un dono per gli altri, una
benedizione, di essere pane spezzato e vino versato sul mondo, su
tutti e per tutti, perchè l’Eucaristia trasformi ogni relazione,
ogni gesto, ogni persona, persino le pietre e gli alberi, perché
anche da noi, povere creature, salga l’inno di benedizione e di
lode:
10«Ora
si è compiuta
la salvezza, la forza e
il regno del nostro Dio
e la potenza del suo
Cristo,
perché è stato
precipitato
l’accusatore dei nostri
fratelli,
colui che li accusava
davanti al nostro Dio
giorno e notte.
11Ma
essi lo hanno vinto
grazie al sangue
dell’Agnello
e alla parola della loro
testimonianza,
e non hanno amato la loro
vita
fino a morire.
12Esultate,
dunque, o cieli
e voi che abitate in
essi!».
Amen.
(Ap 12, 10-12)
Renato Zero - Ti andrebbe di cambiare il mondo?
Nessun commento:
Posta un commento