venerdì 7 aprile 2017

Commento al Vangelo della Domenica delle Passione del Signore - Domenica delle Palme


M.I. Rupnik - Cristus Patiens
Scrive San Tommaso Moro, incarcerato e condannato a morte, meditando sulla preghiera di Gesù al Getsemani: «Lascia che il forte abbia davanti a se mille martiri coraggiosi e che possa gioire nell’imitarli. Tu, pecorella timorosa e inerme, accontentati di avere me come tuo unico pastore, segui me come tua guida. Se non ti fidi di te, spera in me. Ecco, io ti precedo su questa strada tanto spaventosa. Afferra il lembo del mio mantello. Da lì sentirai uscire una forza salutare che fermerà il flusso di sangue che scorre dal tuo cuore verso inutili timori, e renderà più vitale lo spirito, poiché ti ricorderai che stai camminando sui miei passi, e che io sono fedele e non permetterò che tu sia tentato oltre ciò che puoi sopportare, ma con la tentazione ti darò anche la grazia per superarla, e nello stesso tempo il peso lieve e passeggero della tua tribolazione produrrà in te effetti gloriosi. E infatti le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che in te sarà rivelata. Medita dentro di te queste cose, e fatti coraggio, e con il segno della mia croce dissolvi i vuoti e tenebrosi spettri del terrore, della tristezza, dell’angoscia e dello sconforto; va’ avanti con sicurezza e attraversa tutte le difficoltà, nella salda fiducia che con me come tuo difensore vincerai, e dalle mie mani riceverai l’alloro della vittoria» (Gesù al Getsemani, pp. 81-82).
La Passione di Matteo ci mostra la sfrenata insensatezza della violenza, dell'odio, della perversione dei sentimenti, della menzogna che assurge al rango della verità.
Il dramma si compie come una furia su Gesù, in un vortice di persone che lo azzannano come bestie feroci. A nulla valgono i sogni di mogli superstiziose, a nulla vale che quest'uomo non ha commesso nessun male.

La violenza riversata sul Figlio di Dio è tale che gli fa esclamare l'immenso grido dell'Abbandonato: «Eli, Eli, lema sabachthani!».
Ma è proprio qui il senso del dramma: egli percorre fino alla fine la strada della vita, la percorre nel silenzio quasi assoluto del martire, nello sgomento del malato che perde progressivamente le forze, nella lontananza dell'amico lasciato al suo destino.
Irriconoscibile figlio di Dio in croce.

A te anche noi andiamo per mentirti, beffeggiarti, chiedere segni appariscenti: insegnaci la tua pazienza, insegnaci il tuo modo di patire la vita, di essere appassionati. Perché solo così potremo portare la nostra croce ed essere crocifissi con te: non con l'eroismo di certi campioni di santità, ma con la tua povera umanità, la tua santa umanità, la tua umanissima divinità.

(Pubblicato su Il Portico del 9 aprile 2017)

Nessun commento:

Posta un commento