M.I. Rupnik - Cristus Patiens |
Scrive
San Tommaso Moro, incarcerato e condannato a morte, meditando sulla
preghiera di Gesù al Getsemani: «Lascia
che il forte abbia davanti a se mille martiri coraggiosi e che possa
gioire nell’imitarli. Tu, pecorella timorosa e inerme, accontentati
di avere me come tuo unico pastore, segui me come tua guida. Se non
ti fidi di te, spera in me. Ecco, io ti precedo su questa strada
tanto spaventosa. Afferra il lembo del mio mantello. Da lì sentirai
uscire una forza salutare che fermerà il flusso di sangue che scorre
dal tuo cuore verso inutili timori, e renderà più vitale lo
spirito, poiché ti ricorderai che stai camminando sui miei passi, e
che io sono fedele e non permetterò che tu sia tentato oltre ciò
che puoi sopportare, ma con la tentazione ti darò anche la grazia
per superarla, e nello stesso tempo il peso lieve e passeggero della
tua tribolazione produrrà in te effetti gloriosi. E infatti le
sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria
futura che in te sarà rivelata. Medita dentro di te queste cose, e
fatti coraggio, e con il segno della mia croce dissolvi i vuoti e
tenebrosi spettri del terrore, della tristezza, dell’angoscia e
dello sconforto; va’ avanti con sicurezza e attraversa tutte le
difficoltà, nella salda fiducia che con me come tuo difensore
vincerai, e dalle mie mani riceverai l’alloro della vittoria»
(Gesù
al Getsemani,
pp. 81-82).
La
Passione di Matteo ci mostra la sfrenata insensatezza della violenza,
dell'odio, della perversione dei sentimenti, della menzogna che
assurge al rango della verità.
Il
dramma si compie come una furia su Gesù, in un vortice di persone
che lo azzannano come bestie feroci. A nulla valgono i sogni di mogli
superstiziose, a nulla vale che quest'uomo non ha commesso nessun
male.
La
violenza riversata sul Figlio di Dio è tale che gli fa esclamare
l'immenso grido dell'Abbandonato: «Eli,
Eli, lema sabachthani!».
Ma
è proprio qui il senso del dramma: egli percorre fino alla fine la
strada della vita, la percorre nel silenzio quasi assoluto del
martire, nello sgomento del malato che perde progressivamente le
forze, nella lontananza dell'amico lasciato al suo destino.
Irriconoscibile
figlio di Dio in croce.
A
te anche noi andiamo per mentirti, beffeggiarti, chiedere segni
appariscenti: insegnaci la tua pazienza, insegnaci il tuo modo di
patire la vita, di essere appassionati. Perché solo così potremo
portare la nostra croce ed essere crocifissi con te: non con
l'eroismo di certi campioni di santità, ma con la tua povera
umanità, la tua santa umanità, la tua umanissima divinità.
(Pubblicato su Il Portico del 9 aprile 2017)
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