ET LACRIMATUS EST
C'è una parola che sempre
mi colpisce quando ascoltiamo questo vangelo ed è l'esperienza del
pianto di Gesù: davanti alla tomba del suo caro amico Lazzaro,
vedendo Marta e Maria piangere, vedendo piangere i giudei andati a
fare le condoglianze, Gesù «scoppiò in un
pianto dirotto».
Gesù
si scioglie in lacrime, si trasforma in una maschera di lacrime, come
accade a noi quando piangiamo per la morte di una persona che amiamo:
«Et lacrimatus est Iesus», traduce
la Vulgata.
Certamente
questo pianto è originato anche dall'incredulità delle sorelle di
Lazzaro, dalle rimostranze dei giudei, dalla mancanza di fiducia...
Dice
l'evangelista che Gesù si commosse
profondamente e fu
molto turbato. È una reazione
profetica: gli dei greci non piangevano, anzi semmai si burlavano
della sorte dell’uomo. Il mio Dio piange per me, si turba e si
commuove alla mia incredulità.
Certo
il pianto di Gesù non è semplicemente la reazione dell'affetto. Non
è un pianto disperato, come di chi non sa di avere un Padre che “lo
ascolta sempre”. Ma è un pianto dovuto alla commozione e al dolore
per il distacco, alla incapacità in quanto uomini di accettare la
nostra fragilità, all'ingiustizia della morte, di ogni morte.
Forse
avete letto il libro Il Piccolo
Principe, dove appunto egli parla
con l’aviatore disperso nel deserto:
“Se
qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e
milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda.
E lui si dice: «Il mio fiore è
là in qualche luogo» Ma se la pecora mangia il fiore, è come se
per lui tutto a un tratto, tutte le stelle si spegnessero!
E non è importante questo!”
Non
poté proseguire. Scoppiò bruscamente in singhiozzi. Era caduta la
notte. Avevo
abbandonato i miei utensili.
Me
ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della
morte. Su
di una stella, un pianeta, il mio, la Terra, c’era un piccolo
principe da consolare! Lo
presi in braccio. Lo cullai. Gli dicevo:
“Il fiore che tu ami non è in
pericolo ... Disegnerò una museruola per la tua pecora... e una
corazza per il tuo fiore... Io...” Non sapevo bene che cosa dirgli.
Mi sentivo molto maldestro. Non
sapevo bene come toccarlo, come raggiungerlo...
Il paese delle lacrime è così
misterioso».
Sì, è davvero misterioso
il paese delle lacrime, e ciò che è bello è che Gesù lo ha
attraversato. E questo ci fa sentire Gesù profondamente vicino al
nostro dolore
Il
salmista prega così: Hai contato i passi del mio vagare,
hai raccolto le mie lacrime in un vaso
(Sal 56,9) perché non
vadano perdute. E ancora il salmista parla di una valle del
pianto che sarà cambiata in sorgente
(Sal 84,7)
Sì,
anche Gesù ha pianto. Ha preso seriamente la vita e la morte, ha
preso seriamente la sua comunione con il Padre, ha preso seriamente
il fatto che lui è la risurrezione e la vita, e che chiunque crede
in lui non morirà in eterno. Ecco perchè ieri abbiamo detto
che Gesù cerca una fede presente e non futura: Egli è già ora,
da questa parte del tempo e della storia, risurrezione e vita, e
perciò la morte, che pure verrà per tutti, è già stata inserita
dentro la vita, non è l'ultima parola sulla nostra esistenza.
Lui ha detto «Io
sono la risurrezione e la vita», non «Io sono
la longevità». Nell'Antico Testamento i patriarchi erano
definiti amici di Dio, vivevano a lungo, morivano sazi di giorni, in
modo quasi mitologico. Il Nuovo Testamento ci mostra una vita altra,
diversa, dove non conta semplicemente la lunghezza, ma l'intensità
della vita stessa, la “gloria” di Dio, il suo “peso” (gloria)
nella mia vita.
Il nostro Maestro e Signore
non è morto anziano sul suo letto, ma crocifisso a poco più di
trent'anni. La sua non è stata una vita lunga, ma una vita
interamente vissuta nell'amore e per amore.
E poi ci sono quelle altre
parole che ci danno uno squarcio di luce sul rapporto tra Gesù e il
Padre: «Padre, ti rendo grazie perchè mi hai ascoltato. Io
sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi
sta attorno, perchè credano che tu mi hai mandato». Gesù ha
pronunciato per noi queste parole. Penso che qui ci sia un pungolo
per riflettere sulla nostra preghiera, che si riempie di parole e
spesso viene attraversata da pensieri come un vortice: se la nostra
vita diventasse consapevolezza di stare sempre davanti a un Dio che
ci ascolta, le nostre preghiere sarebbero esaudite, questo dice Gesù:
«Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo
ottenuto e vi accadrà» (Mc 11,24).
Ma come si fa ad avere
questa fede?
Se noi andassimo in
tribunale ad avanzare le nostre richieste di giustizia davanti a un
giudice certamente non saremmo distratti, ma tutto il nostro
desiderio, la nostra attenzione, la nostra volontà, sarebbe rivolta
ad ottenere giustizia, non ci sarebbe spazio per pensieri futili, per
riflessioni su stupidaggini, per preoccupazioni di poco conto...
Quanto deve cambiare la
nostra preghiera per entrare in questo rapporto profondo con il
Padre, per far sì che le nostre parole, quando le pronunciamo,
abbiano la stessa forza delle parole di Gesù, che sanavano e
portavano la risurrezione!
Chiediamo allora a Dio, come
frutto di queste Quarantore, il dono delle lacrime. Anticamente c'era
nel Messale una Messa per ottenere il dono delle lacrime. Così
pregava la colletta:
O Dio onnipotente e
mitissimo, che per il popolo assetato facesti uscire dalla roccia una
fonte d'acqua viva, fa' uscire dalla durezza del nostro cuore lacrime
di pentimento, perché possiamo piangere i nostri peccati e meritiamo
di ricevere, da te che fai misericordia, la loro remissione.
Il pianto nasce dall'amore,
da un cuore pentito e riconciliato, da un cuore che sa di avere un
Padre pronto ad ascoltare.
Chiediamo a Dio che ci
commuova, che muova il nostro cuore a riconoscere i nostri peccati e
ad amarlo sempre più, che lo sciolga perchè si apra in un canto di
lode.
Che faccia uscire dalla
roccia del nostro cuore indurito lacrime di amore, perchè impariamo
anche noi ad amare Dio e il nostro prossimo e a pronunciare sempre
parole di vita e di risurrezione, parole efficaci che portino frutti
di vita per tutti.
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