domenica 2 aprile 2017

Et lacrimatus est Iesus - Quarantore a Collinas

ET LACRIMATUS EST

C'è una parola che sempre mi colpisce quando ascoltiamo questo vangelo ed è l'esperienza del pianto di Gesù: davanti alla tomba del suo caro amico Lazzaro, vedendo Marta e Maria piangere, vedendo piangere i giudei andati a fare le condoglianze, Gesù «scoppiò in un pianto dirotto».
Gesù si scioglie in lacrime, si trasforma in una maschera di lacrime, come accade a noi quando piangiamo per la morte di una persona che amiamo: «Et lacrimatus est Iesus», traduce la Vulgata.
Il Figlio di Dio ha pianto per la morte di un uomo, piange per la morte di ogni uomo.
Certamente questo pianto è originato anche dall'incredulità delle sorelle di Lazzaro, dalle rimostranze dei giudei, dalla mancanza di fiducia...
Dice l'evangelista che Gesù si commosse profondamente e fu molto turbato. È una reazione profetica: gli dei greci non piangevano, anzi semmai si burlavano della sorte dell’uomo. Il mio Dio piange per me, si turba e si commuove alla mia incredulità.
Certo il pianto di Gesù non è semplicemente la reazione dell'affetto. Non è un pianto disperato, come di chi non sa di avere un Padre che “lo ascolta sempre”. Ma è un pianto dovuto alla commozione e al dolore per il distacco, alla incapacità in quanto uomini di accettare la nostra fragilità, all'ingiustizia della morte, di ogni morte.
Forse avete letto il libro Il Piccolo Principe, dove appunto egli parla con l’aviatore disperso nel deserto:
Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. E lui si dice: «Il mio fiore è là in qualche luogo» Ma se la pecora mangia il fiore, è come se per lui tutto a un tratto, tutte le stelle si spegnessero! E non è importante questo!”
Non poté proseguire. Scoppiò bruscamente in singhiozzi. Era caduta la notte. Avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pianeta, il mio, la Terra, c’era un piccolo principe da consolare! Lo presi in braccio. Lo cullai. Gli dicevo: “Il fiore che tu ami non è in pericolo ... Disegnerò una museruola per la tua pecora... e una corazza per il tuo fiore... Io...” Non sapevo bene che cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo bene come toccarlo, come raggiungerlo... Il paese delle lacrime è così misterioso».
Sì, è davvero misterioso il paese delle lacrime, e ciò che è bello è che Gesù lo ha attraversato. E questo ci fa sentire Gesù profondamente vicino al nostro dolore
Il salmista prega così: Hai contato i passi del mio vagare, hai raccolto le mie lacrime in un vaso (Sal 56,9) perché non vadano perdute. E ancora il salmista parla di una valle del pianto che sarà cambiata in sorgente (Sal 84,7)
Sì, anche Gesù ha pianto. Ha preso seriamente la vita e la morte, ha preso seriamente la sua comunione con il Padre, ha preso seriamente il fatto che lui è la risurrezione e la vita, e che chiunque crede in lui non morirà in eterno. Ecco perchè ieri abbiamo detto che Gesù cerca una fede presente e non futura: Egli è già ora, da questa parte del tempo e della storia, risurrezione e vita, e perciò la morte, che pure verrà per tutti, è già stata inserita dentro la vita, non è l'ultima parola sulla nostra esistenza.
Lui ha detto «Io sono la risurrezione e la vita», non «Io sono la longevità». Nell'Antico Testamento i patriarchi erano definiti amici di Dio, vivevano a lungo, morivano sazi di giorni, in modo quasi mitologico. Il Nuovo Testamento ci mostra una vita altra, diversa, dove non conta semplicemente la lunghezza, ma l'intensità della vita stessa, la “gloria” di Dio, il suo “peso” (gloria) nella mia vita.
Il nostro Maestro e Signore non è morto anziano sul suo letto, ma crocifisso a poco più di trent'anni. La sua non è stata una vita lunga, ma una vita interamente vissuta nell'amore e per amore.
E poi ci sono quelle altre parole che ci danno uno squarcio di luce sul rapporto tra Gesù e il Padre: «Padre, ti rendo grazie perchè mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perchè credano che tu mi hai mandato». Gesù ha pronunciato per noi queste parole. Penso che qui ci sia un pungolo per riflettere sulla nostra preghiera, che si riempie di parole e spesso viene attraversata da pensieri come un vortice: se la nostra vita diventasse consapevolezza di stare sempre davanti a un Dio che ci ascolta, le nostre preghiere sarebbero esaudite, questo dice Gesù: «Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà» (Mc 11,24).
Ma come si fa ad avere questa fede?
Se noi andassimo in tribunale ad avanzare le nostre richieste di giustizia davanti a un giudice certamente non saremmo distratti, ma tutto il nostro desiderio, la nostra attenzione, la nostra volontà, sarebbe rivolta ad ottenere giustizia, non ci sarebbe spazio per pensieri futili, per riflessioni su stupidaggini, per preoccupazioni di poco conto...
Quanto deve cambiare la nostra preghiera per entrare in questo rapporto profondo con il Padre, per far sì che le nostre parole, quando le pronunciamo, abbiano la stessa forza delle parole di Gesù, che sanavano e portavano la risurrezione!
Chiediamo allora a Dio, come frutto di queste Quarantore, il dono delle lacrime. Anticamente c'era nel Messale una Messa per ottenere il dono delle lacrime. Così pregava la colletta:
O Dio onnipotente e mitissimo, che per il popolo assetato facesti uscire dalla roccia una fonte d'acqua viva, fa' uscire dalla durezza del nostro cuore lacrime di pentimento, perché possiamo piangere i nostri peccati e meritiamo di ricevere, da te che fai misericordia, la loro remissione.
Il pianto nasce dall'amore, da un cuore pentito e riconciliato, da un cuore che sa di avere un Padre pronto ad ascoltare.
Chiediamo a Dio che ci commuova, che muova il nostro cuore a riconoscere i nostri peccati e ad amarlo sempre più, che lo sciolga perchè si apra in un canto di lode.

Che faccia uscire dalla roccia del nostro cuore indurito lacrime di amore, perchè impariamo anche noi ad amare Dio e il nostro prossimo e a pronunciare sempre parole di vita e di risurrezione, parole efficaci che portino frutti di vita per tutti.

Nessun commento:

Posta un commento