È
bello che la festa di San Giorgio quest’anno cada nell’ottava di
Pasqua e possiamo celebrarla proprio in coincidenza con al seconda
domenica di Pasqua, la domenica della Divina Misericordia.
Perchè
a ben guardare la Parola di Dio di questa domenica sembra fatta per
descrivere la vita di San Giorgio, e quindi può aiutare anche noi,
non solo a ringraziare Dio per il dono di questo martire
intercessore, ma a cercare di modellare la nostra vita a partire
dall’ascolto di questa parola.
La
prima lettura ci riporta al clima della prima comunità cristiana, di
coloro che hanno conosciuto Gesù, gli apostoli, e di coloro che
hanno creduto alla parola degli apostoli, la nuova comunità che
andava formandosi.
Perché
proprio in quelle località, alcuni secoli dopo, anche questa deve
essere stata l’esperienza di Giorgio, un giovane soldato che
diventa cristiano perchè vede come vivono i cristiani: pregano
insieme, condividono l’eucaristia, sono poveri, vendono le loro
ricchezze per condividerle, vivono in letizia e semplicità di cuore.
Sembra
quasi una descrizione fiabesca, ci chiediamo se mai sia esistita una
comunità così idilliaca.
Forse
gli atti degli apostoli, più che una descrizione vogliono
trasmetterci un ideale: voi che siete credenti, cercate di vivere
così. E noi, poveri cristiani, ci sforziamo.
Questo
deve aver fatto anche san Giorgio: ha cercato di essere cristiano,
nella preghiera, nella condivisione dei suoi beni, nell’eucaristia,
nell’essere in pace con tutti.
Poi
abbiamo ascoltato la seconda lettura.
San
Pietro afferma una cosa all’apparenza strana: ci dice che dobbiamo
essere pieni di gioia, anche se per un po’ di tempo siamo afflitti
da varie prove. Ma se uno è afflitto non può essere gioioso,
diciamo noi. Perché il cristiano può e deve essere gioioso? Perché
nella sua vita egli ha una meta, ha una speranza, e questa meta e
questa speranza hanno un nome: Gesù Risorto.
Il
cristiano sperimenta la gioia di Gesù risorto che gli dona una
eredità che non va in malora, gli dà una ricchezza conservata nella
cassaforte del cielo, e gli assicura che la sua vita è custodita
dalla potenza di Dio attraverso la fede. Attenzione: San Pietro
descrive la fede come la corazza che custodisce il credente nella
tribolazione e nella prova.
E
anche questa informazione sembra richiamarci la vita di San Giorgio:
egli che era un soldato, si toglie la corazza e non combatte davanti
a chi vuole ucciderlo. Davanti a chi gli chiede di sacrificare agli
idoli per salvarsi, egli rifiuta, si spoglia della sua armatura di
soldato e si presenta nudo al martirio. O meglio, si presenta
rivestito solo dalla fede che è la potenza di Dio a custodirlo.
E
anche questo ci interroga, perchè noi innalziamo tante difese nella
nostra vita, indossiamo tante armature per paura che la vita ci
faccia male, siamo disposti a sacrificare a idoli, a dei che ci
promettono illusioni di felicità, elisir di lunga vita, amori
eterni... e invece oggi l’esempio di San Giorgio ci invita a
spogliarci di tutte le sovrastrutture, a essere semplici nella nostra
fede.
San
Giorgio, a un certo punto della sua vita ha capito cosa era davvero
importante per lui, e si è tolto l’armatura, ha rinunciato a
combattere i suoi fratelli e ha offerto la sua vita.
Ma
perchè ha fatto questo?
Qui
vorrei un momento ritornare ai luoghi di San Giorgio: Giorgio era
palestinese, quindi conterraneo di Gesù e degli apostoli, è nato ed
è morto in quella Terra che ancora oggi vede tanti martiri, tante
persone che soffrono a causa della fede. Ricerche recentissime
affermano che i cristiani sono i più perseguitati in tutto il
mondo.
Perché
un cristiano si rende disponibile al martirio?
Qui
ci viene in aiuto la parola del Vangelo che abbiamo ascoltato.
Vetrata Cappella Pontificio Seminario Lombardo - Roma |
È
il racconto di quella settimana da Pasqua all’ottavo giorno
successivo, in cui i discepoli di Gesù si sono chiusi dentro il
Cenacolo, si sono autosepolti per paura dei giudei. In mezzo a questa
congrega di gente impaurita Gesù si presenta in persona, ritorna a
loro con i segni della passione, perchè vedano cosa gli è successo,
e vedendo le sue ferite riconoscano le loro ferite, quelle prodotte
dalla sua morte, dalla loro codardia, dalla loro incapacità di
seguirlo, dalla loro paura.
Gesù
non va a cercare nuovi discepoli, rimandando a casa coloro che lo
avevano abbandonato, ma cerca ancora e di nuovo loro, affidando loro
il compito di perdonare chi ha ucciso il loro maestro, perchè senza
perdono non c’è vita neanche per loro.
Gesù
non li manda a vendicarsi, ma a perdonare. Tommaso però è assente
quel giorno, esprime i suoi dubbi, non vuole credere che questo Gesù
sia davvero tornato a loro. È il dubbio che assale anche noi, quando
ci sentiamo colpevoli: Dio mi perdonerà? Tante volte questo dubbio è
così forte che scoraggia alcune persone dal riavvicinarsi ai
sacramenti, alla confessione, all’eucaristia. È terribile.
E
qui vediamo la paziente pedagogia di Gesù, che dopo otto giorni, si
ripresenta, loro sempre a porte chiuse, come se non avessero capito
la lezione, e finalmente stavolta c’è anche Tommaso, il quale
davanti ai segni della passione esclama: «Mio Signore e mio Dio!».
Sono i segni della passione che gli fanno riconoscere il Risorto. Non
un annuncio sfolgorante, non miracoli eclatanti, ma i segni dei
chiodi sulle mani, sui piedi, sul costato di Gesù.
E Gesù proclama una beatitudine, che fu per Giorgio ed è per noi:
«Beati
quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Torno alla domanda: Perché
un cristiano si rende disponibile al martirio?
Oso
dire: perchè crede che Cristo è risorto, perchè riconosce nei
segni della passione il grande e definitivo segno della risurrezione.
Il
martire non è necessariamente una persona coraggiosa, come lo
intendiamo noi (benché si dica che San Giorgio era molto coraggioso,
tanto da affrontare un drago, e tante torture). Ma certamente il
martire è uno che sa in chi ha posto la propria fiducia, tanto da
poter esclamare con sicurezza: Mio Signore e mio Dio!
San
Giorgio deve aver visto altri cristiani dare la vita, e avrà
certamente percepito la bellezza della vita, la tristezza di
lasciarla. Ma questo non l’ha distratto, al momento decisivo, da
fare la sua scelta, e dallo scegliere Gesù.
Questa
testimonianza, come quella di tanti nostri fratelli e sorelle anche
oggi martirizzati, ci incoraggia nelle nostre paure, a volte molto
meno serie: il rispetto umano, la paura di apparire deboli se
perdoniamo, la paura che gli altri ci giudichino se ci accostiamo
alla confessione o alla comunione, se veniamo a Messa.
Paure
sciocche, se paragonate al rischio che oggi corrono tante persone pur
di andare a Messa la domenica.
E
noi, avremo il coraggio di scegliere? Avremo il coraggio di volgerci
a Gesù Cristo e dirgli con verità: «Mio
Signore e mio Dio»
e a vivere di conseguenza? San Giorgio interceda per noi, perchè la
nostra fede in Gesù risorto si rafforzi.
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